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Cibo Etico e Sostenibile

Cibo Etico e Sostenibile

La connessione tra ecologia e termodinamica dei sistemi dissipativi ci fa comprendere come le attività umane, la loro economia, i sistemi sociali e, non certo ultimo, il modo di produrre cibo, dovranno gradualmente riallinearsi o, se vogliamo, sincronizzarsi alle leggi della natura. L’assunto di una economia liberista e capitalista, della crescita illimitata, sganciata da questi criteri, è un’utopia, condotta per troppo tempo, non più percorribile.
Per questo motivo per produrre cibo, fibre, servizi, ecc., secondo gli assunti citati, bisogna riconvertire i modelli agricoli tenendo conto degli aspetti energetici collegati alla produttività primaria dei sistemi ecologici e quindi anche agroecologici.
Abbiamo sottolineato come i sistemi ecologici, che siano naturali o artificiali (costruiti dall’uomo), sono sistemi energetici che rispondono alle leggi della termodinamica e che tali principi vanno applicati all’intero sistema agroalimentare, visto sia nella sua complessità che nella sua unitarietà.
Una tale revisione del sistema non può non avere, ovviamente, ricadute significative sulle organizzazioni e sugli ordinamenti produttivi delle stesse aziende agricole, nella direzione agroecologica, che coinvolge, pertanto, l’intera struttura produttiva e di offerta dei loro servizi.
Tale presupposto rappresenta, ovviamente, un fattore di notevole cambiamento nelle logiche agronomiche e colturali che tenderà sempre più a determinare una trasformazione non solo dei sistemi produttivi ma anche dei rapporti tra questi ed i fruitori dei prodotti e dei servizi agricoli.
I principi di base su cui si fonda l’agroecologia, in tal senso, non coinvolgono solo l’ambito produttivo e di organizzazione dei sistemi delle aziende agricole ma l’intera impalcatura del sistema agroalimentare e dei modelli sociali e delle loro organizzazioni.
Ovviamente alla parte teorica di questa più ampia visione energetico-produttiva-organizzativa deve gradualmente seguire un sistema di ricerca che approfondisca e sviluppi ordinamenti produttivi biodiversificati, interconnessi sia dal punto di vista energetico, produttivo e sociale, considerando che, oramai, la ricerca abbia sempre più evidente come i sistemi basati sulla biodiversità sono maggiormente stabili, mentre quelli ad agricoltura intensiva, sono sempre meno stabili (Dardonville M. et al. 2022).
Tuttavia il riassetto ecologico delle aziende agricole passa anche dal recupero e dalla rivalutazione del patrimonio genetico, sia di origine naturale che creato dagli agricoltori attraverso millenni di pratiche agricole.
Una revisione del sistema di produrre che deve rivedere il principio delle rese unitarie, su cui si sono costruiti ordinamenti aziendali spesso specializzati e monocolturali, a bassa biodiversità, eccessivamente legati alla necessità di input esterni di sostanze di sintesi, spesso necessari per ripristinare la fertilità o per il controllo di patogeni o di specie indesiderate.
Tra l’altro questo scenario produttivo è fortemente legato ad un sistema energetico di origine fossile non prospettabile nel tempo; questo modello energetico, inoltre, ha impoverito notevolmente la capacità dei sistemi agricoli che sono stati spesso depauperati dei servizi ecologici forniti dalla biodiversità (insetti, impollinatori, fauna, piante, scambi energetici, microbiologici, ecc.) con conseguente perdita di resilienza dei sistemi agro-silvo-pastorali.
Il sistema energetico fossile, necessario al funzionamento delle aziende condotte con ordinamenti specializzati ha, negli ultimi decenni, sostituito gradualmente quello proprio degli ecosistemi fino a creare un modello alternativo, totalmente disancorato dai principi e dalle regole dell’ecologia, alterando gli equilibri di interi habitat.
La conseguenza è che la deriva dai principi ecologici e dai loro assetti energetici e biochimici ha richiesto un crescente fabbisogno di tutti quegli input che, ordinariamente, venivano invece forniti in natura.
Sistemi di controllo, feedback, fertilizzanti, apporti idrici, aria, suolo, ecc. sono stati coinvolti e spesso sostituiti da processi e tecniche alternative richiedendo sempre più un fabbisogno di materiali o tecniche sostitutive che, spesso, provengono o vengono realizzati con l’ausilio di materiali o energia di derivazione fossile.
Tra il processo agricolo ed il sistema delle fossili si è stabilito un legame sempre più stretto da degenerare il primo e mettere in crisi il secondo.
Inoltre, la comparazione tra varie esperienze di pieno campo, indica che l’efficienza energetica non rinnovabile è maggiore nell’agricoltura biologica, mentre il consumo di questo tipo di energia è inferiore (Alonso A.M., Guzmán G.J. 2010).
Basti pensare che il sistema agricolo moderno è uno dei maggiori consumatori di minerali di estrazione, sia per il fabbisogno energetico e di materiali delle aziende agricole (carburanti, metalli, materie prime, ecc.) sia per il ripristino della fertilità dei suoli sottoposti ad un modello biochimico non rinnovabile (concimi chimici, insetticidi, diserbanti, ormoni, regolatori di crescita, ecc.).
È oramai noto da anni come l’estrazione di minerali e metalli non potrà continuare all’infinito e diventerà sempre meno conveniente prima del reale esaurimento delle miniere. Una sezione speciale della rivista Nature Geoscience, dedicata alla geologia economica, ha già tracciato, negli ultimi anni, un quadro delle questioni più complesse, delineando le soluzioni per uscire dall’impasse, che puntano principalmente alla razionalizzazione dello sfruttamento delle materie prime, al riciclaggio e all’utilizzo di nuove tecnologie estrattive ma anche, soprattutto in campo agricolo, ad un differente modo (agroecologico) di intendere alla produzione di cibo e dei servizi ecosistemici.
L’inevitabile esaurimento delle scorte di minerali fu argomento sottoposto all’attenzione di studiosi e opinione pubblica dal famoso libro del 1972, il cosiddetto “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, commissionato dal Club di Roma agli studiosi del Massachusetts Institute of Technology di Boston. Da allora diversi studi hanno analizzato tempi e modalità dell’esaurimento delle scorte di materie prime, prevedendo in molti casi che la produzione mondiale di minerali debba raggiungere un valore di picco per poi diminuire gradualmente, man mano che le difficoltà di raggiungere le vene metallifere renderanno l’attività sempre meno conveniente dal punto di vista economico.
Tra l’altro la produzione di minerali è fortemente concentrata in alcune zone geografiche; per esempio: l’80 per cento del platino viene dal Sudafrica, mentre il 30 per cento del rame dal Cile. Questa concentrazione espone al rischio d’interruzione della fornitura globale di materiali cruciali in caso di crisi politiche regionali, ponendo un serio problema nella struttura stessa della società e dei suoi equilibri geopolitici.
Un interessante contributo, per quel che riguarda più da vicino il settore agricolo, ci viene da Michael Obersteiner, ricercatore dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) e dell’Ecosystem Services and Management Program, di Laxenburg, in Austria. In questo studio M. Obersteiner, insieme ad altri colleghi, hanno analizzato il problema della disponibilità di fosforo, un elemento essenziale per la fertilizzazione dei suoli e quindi per la produzione di cibo, e ultimamente anche di biocombustibili (Obersteiner M. et al. 2013).
La maggior parte del fosforo è infatti estratta da depositi sedimentari di fosforite, e con gli attuali tassi di consumo si esaurirà in un arco di tempo variabile tra 40 e 400 anni. Tuttavia, ben prima dell’effettivo esaurimento, si prevede che il prezzo del fosforo salirà fino a livelli inaccettabili, proprio per le nazioni che ne avrebbero più bisogno. Basti pensare che nel 2008 il prezzo del fosforo è aumentato 1,5 volte più velocemente di qualunque altra materia prima per l’agricoltura quando la Cina ha deciso di interrompere l’esportazione di minerali che lo contengono.
La conclusione semplice ma evidente a cui sono arrivati M. Obersteiner ed i suoi colleghi, è che siamo obbligati moralmente, soprattutto gli operatori dei sistemi produttivi dei paesi più ricchi, a razionalizzare la produzione e il consumo di fosforo, cercando di ridurre al massimo gli sprechi, e aumentando il riciclaggio degli scarti alimentari, in modo da mantenere i prezzi a livelli accessibili anche ai paesi a basso reddito.
Inoltre la notevole diminuzione faunistica (in particolar modo l’avifauna) degli ecosistemi naturali ed agricoli degli ultimi decenni ha fatto venir meno quell’apporto di sostanze, quali guano, sostanza organica, ecc., che contribuivano a ripristinare costantemente la loro fertilità.
In poche parole il criterio con cui si sono aumentate le rese produttive, utilizzando questo fertilizzante, così come altri fattori esterni, non ha tenuto conto di un modello sostenibile di lungo periodo, ponendo le basi per una grande crisi alimentare mondiale negli anni se non intervengono concrete politiche di riorganizzazione del sistema agroalimentare e delle sue tecniche.
Principi analoghi possono essere applicati a tutti gli altri input oggi impiegati nelle aziende agricole, come azoto, potassio ed altri elementi o per la meccanizzazione, spesso irrazionale, di molti sistemi produttivi e l’uso di risorse non rinnovabili, almeno nel breve-medio periodo come acqua, aria, suolo, ecc.
La soluzione di questo, apparentemente irrisolvibile, problema sta invece nel riportare i sistemi di produzione del cibo e di tutti i servizi ecologici, che possono fornire le future aziende agricole, all’interno di un modello ciclico energetico e di uso di materiali che sia consono ai principi adottati in generale dalla natura e nello specifico dagli ecosistemi.
Tale transizione dovrà avvenire individuando un equilibrio tra le necessità umane e quelle ecologiche; l’agricoltura, cosiddetta industriale, è responsabile, infatti, delle quattro grandi crisi ambientali che il pianeta sta affrontando: l’estinzione di massa delle specie, il cambiamento climatico, il degrado dei terreni e la crisi idrica (Shiva V., Leu A. 2019).
Riepilogando, e a beneficio di una maggiore sistematicità dell’argomento, possiamo sintetizzare quelli che saranno i principali aspetti che coinvolgeranno la transizione degli anni a venire.
Sappiamo infatti che l’agroecologia è un approccio all’agricoltura che integra principi ecologici e sociali nella produzione di alimenti. Il suo obiettivo è quello di creare sistemi produttivi sostenibili, che preservino la salute degli ecosistemi, promuovano la biodiversità e rispettino il benessere delle comunità agricole.
Ecco perché l’agroecologia si basa su principi e pratiche che differiscono dal modello convenzionale dell’agricoltura industriale, come di seguito viene riportato nei suoi principi fondamentali:
1. diversificazione delle colture: l’agroecologia promuove la diversità delle colture come mezzo per ridurre il rischio di malattie, migliorare l’efficienza dell’uso delle risorse e aumentare la resilienza degli agroecosistemi;
2. rotazione delle colture: la rotazione delle colture aiuta a prevenire l’esaurimento del suolo e la proliferazione di parassiti e malattie specifiche delle piante. Questo sistema riduce la dipendenza da fertilizzanti chimici e pesticidi;
3. agricoltura conservativa del suolo: l’agroecologia promuove pratiche che riducono l’erosione del suolo, come l’uso di coperture vegetali, il terrazzamento e la lavorazione minima del terreno. Ciò migliora la fertilità del suolo e riduce l’impatto ambientale;
4. uso razionale delle risorse idriche: l’agroecologia incoraggia pratiche di irrigazione sostenibili che riducono lo spreco di acqua, come irrigazione a goccia, microirrigazione e l’uso di tecniche di conservazione dell’acqua;
5. gestione integrata dei parassiti: invece di affidarsi a pesticidi chimici, l’agroecologia adotta approcci naturali per la gestione dei parassiti. Questi includono alcune tecniche come l’uso di piante repellenti, insetti benefici e tecniche di controllo biologico;
6. conservazione della biodiversità: l’agroecologia promuove la conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità agricola, inclusi i semi tradizionali e le razze animali locali. Ciò aiuta a preservare la diversità genetica delle piante e degli animali, riducendo la dipendenza da varietà geneticamente omogenee;
7. coinvolgimento delle comunità locali: l’agroecologia promuove la partecipazione attiva delle comunità agricole nella pianificazione e nell’attuazione delle pratiche agricole. Questo coinvolgimento favorisce la resilienza sociale ed economica delle comunità e promuove la sostenibilità a lungo termine.
Da questa sintesi si intuisce come il sistema produttivo dell’agroecologia richiede una transizione graduale dalle monoculture intensive e dipendenti dai prodotti chimici verso sistemi agricoli più diversificati e sostenibili. Richiede anche una maggiore cooperazione tra agricoltori, ricercatori, politici e consumatori per promuovere la consapevolezza e adottare politiche che sostengano l’agroecologia come modello agricolo unico e possibile.

Guido Bissanti




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