Agroambiente
Agroambiente
Il secondo millennio rappresenta lo spartiacque tra due concezioni della vita sostanzialmente differenti.
Quella discendente dai bisogni individuali degli uomini e l’altra derivante da una visione universale e globale dell’umanità. La prima concezione è nata e si è sviluppata con l’uomo; attraverso una sempre maggiore consapevolezza dei propri bisogni che da elementari (come quello del cibo) sono diventati sempre più complessi (come quello dello svago).
Tale concezione, pur subendo una lenta e graduale evoluzione, è rimasta comunque incardinata in un limite ben configurato che è stato, fino ad oggi, quello di un rapporto egocentrico tra bisogni individuali e diritto pubblico.
L’avvento dell’era postindustriale, caratterizzata dal processo della globaliz-zazione e dalle emergenze ambientali ha generato una serie di necessità concrete che stanno interessando sempre più i rapporti tra responsabilità, diritti individuali e diritto pubblico.Per fare un esempio di immediata comprensione basti pensare che oggi ogni singola attività produttiva incide nel bilancio energetico mondiale con ripercussioni dirette sulla questione del protocollo di Kyoto.
Tale protocollo tende a implementare un criterio di autogestione mondiale delle emissioni di anidride carbonica e gas ad effetto serra al fine di raggiungere, in un lungo periodo, un bilancio in cui la composizione dell’atmosfera terrestre non muti la sua composizione originaria.
Ecco perché la visione egocentrica del proprio sviluppo (e delle proprie necessità) deve necessariamente essere concentrica ad una visione d’insieme in cui ogni singolo individuo (ed attività) sia organica dentro questa nuova e grande visione (il rispetto del protocollo di Kyoto).
Va subito chiarito che il protocollo di Kyoto non sarà l’ultimo atto di una visione sufficientemente valida nella tutela ambientale ma, esso, rappresenta un primo passo che, dalla definizione del Rapporto Brundtland del 1987, all’interno della conferenza dell’UNEP, ad oggi garantisce per lo meno una frontiera entro la quale potersi muovere.
Ma se il Protocollo indica agli Stati che hanno aderito e che, ci auguriamo, aderiranno in futuro, un orizzonte da raggiungere in varie periodicità, più complessa diventa la sua attuazione a livello privatistico; cioè nella sua attuazione pratica da parte dei singoli individui che, con i loro comportamenti sociali, determinano attivazione di bilanci emissioni/assorbimenti che contribuiscono all’insieme di una nazione.
1. La questione Agro-ambientale
Tralasciando l’intero scibile delle attività umane, vogliamo analizzare, un po’ più da vicino, le questioni legate ai settori agricoli e forestali, soprattutto per le ripercussioni nei riguardi delle politiche nazionali ed internazionali di riferimento.
Riteniamo sempre più congrua una visione che comprenda non solo le tradizionali leggi di mercato ma un insieme di riferimento dove, bilanci energetici, contributi emissioni/assorbimenti e, ovviamente, leggi di mercato tradizionali assumano un’unica funzione.
In tale ottica il rapporto tra titolare del bene ambientale (azienda agricola o forestale, incolti, parchi, giardini, ecc.) e utilità pubblica deve avere un legame di responsabilità oggettiva.
Un esempio su tutti: se fino ad oggi la politica europea (e quelle nazionali) hanno prodotto incentivi in relazione alla qualità delle produzioni, nel concetto di qualità dovrà essere inserito il principio di riferimento, per ogni singola unità territoriale, del protocollo di Kyoto. Il titolare del bene ambientale dovrà essere incentivato o disincentivato a seconda che contribuisca negativamente o positivamente a tale bilancio più complesso.
Si innesca pertanto un percorso che non può evidentemente ledere il diritto privato, in quanto tale, ma il ruolo e rapporto (fiscale e di incentivi) tra la sovranità statale ed il titolare del bene ambientale.
Tale principio, una volta tarato nelle sue attuazioni concrete, avrebbe notevoli ripercussioni negli indirizzi produttivi, nel rapporto titolare/unità territoriale e mercato delle stesse.
Un altro esempio di immediata lettura può essere fatto nell’osservazione, anche nel nostro paese, di interi comprensori agricoli abbandonati e che al momento vivono una condizione di stagnazione produttiva ed immobiliare.
Le norme dovranno entrare nel merito anche di queste situazioni indirizzando i privati verso l’attuazione di un principio produttivo più conforme alla complessità delle norme termodinamiche generali entro cui il protocollo di Kyoto vuole educarci.
In un Paese, come il nostro, carente di tradizionali forme energetiche (petrolio, carbon fossile, ecc.) assume rilevanza assoluta la possibilità di indirizzare il nostro territorio all’interno di questa rinnovata ottica produttivo-energetica conforme, tra l’altro, alle necessità applicative del protocollo di Kyoto.
2. Indirizzi politici nazionali
Questa nuova visione tra diritto privato e necessità pubblica, come è evidente, non può lasciare indifferente l’indirizzo politico dei singoli Paesi.
Diventa fondamentale un livello di rapporto di responsabilità diretto tra Stato e Cittadino titolare dell’unità territoriale. Un rapporto che deve entrare nel merito, preferibilmente fiscale (di incentivi o disincentivi), in funzione della capacità di questa nuova forma di imprenditore di contribuire positivamente, negativamente o neutralmente al Protocollo di Kyoto.
Questo ci fa comprendere come in futuro, sempre più, il ruolo di ogni singolo cittadino sarà quello di attore responsabile e diretto in un modello energetico- produttivo dai rendimenti termodinamici efficienti.
In tale direzione assume sempre più valore l’efficienza energetica delle attività all’interno delle unità territoriale, efficienza che si muove coerentemente con i principi e le regole ecosistemiche e non secondo i criteri di un sistema finanziario ed economico da riscrivere completamente.
D’altronde nel 1997 a Kyoto, in Giappone, la Conferenza ha adottato un protocollo che stabilisce:
L’impegno dei Paesi industrializzati, entro il periodo compreso tra il 2008 e il 2012, di ridurre le emissioni dei sei principali gas serra nella misura complessiva del 5,3% rispetto ai livelli del 1990 e sono: Anidride Carbonica (CO2), il Metano (PFC), il Protossido di Azoto (N20), gli Idrofluorocarburi (HFC), i Perfluorocarburi (PFC), e l’Esafluoro di zolfo (SF6).
Ha individuato le azioni che dovranno essere realizzate dai Paesi “Annex I”, Paesi industrializzati e Paesi con economia in transizione, per la riduzione delle emissioni, con particolare riferimento:
· Promozione dell’efficienza energetica in tutti i settori;
· Sviluppo delle fonti rinnovabili per la produzione di energia e delle tecnologie innovative per la riduzione delle emissioni;
· Protezione ed estensione delle foreste per l’assorbimento del carbonio;
· Promozione dell’agricoltura sostenibile;
· Limitazione e riduzione delle emissioni di metano delle discariche di rifiuti e dagli altri settori energetici;
· Misure fiscali appropriate per disincentivare le emissioni di gas serra.
In realtà negli anni successivi molti dei Paesi firmatari dell’accordo non hanno approvato programmi che applicassero il protocollo, indebolendo così l’accordo stesso.
In sintesi il protocollo di Kyoto, semmai ci fossero ancora dubbi, ci fa comprendere che il concetto di produzione, energia, efficienza, inquinamento, sia un’unica equazione dove riconvertire i modelli ed i comportamenti umani.
Nel settore agroambientale si aprono scenari ed indirizzi sulle politiche di sostegno e di incentivi che, gioco forza, l’Unione Europea dovrà sempre più tenere conto.
Facciamo notare oltretutto che i singoli stati membri, sulla base del protocollo di Kyoto e degli altri documenti internazionali, come ad es. La Carta di Nizza, possono mettere in atto norme legislative di riferimento che si muovono in tal misura. Ma qui purtroppo entriamo in un principio di sensibilità politica della questione che stenta ancora a decollare, perché bassa è la consapevolezza in materia.
Guido Bissanti
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curati dal Dott. For. Maria Giovanna Mangione