Un Mondo Ecosostenibile
Verso il Futuro

Verso una economia umanistica e sostenibile

Verso una economia umanistica e sostenibile

Giunti al traguardo del 3° millennio, ed iniziata la terza decade, quella che per Agenda 2030, sembra essere decisiva per le sorti dell’umanità e del pianeta che la sostiene, molte sono le domande che ci assillano, le paure che ci pervadono, i dubbi che ci assalgono.
Eppure su tutti andiamo maturando (con diverse sensibilità personali) una certezza: non possiamo più sostenere certi stili di vita, certi modi di relazionarci con gli altri, certi sistemi di economia.
Siamo di fronte ad un passaggio storico notevole, dove non solo è messo in discussione il nostro modo di rapportarci con le persone e le cose, ma anche le politiche che scaturiscono da questa visione.
È in profonda analisi e revisione lo stesso rapporto tra economia (intesa come scienza ampia delle risorse e della loro gestione) e libertà: libertà umana e di tutti gli esseri viventi, così come affrontata da Papa Francesco nelle sue ultime encicliche ed esortazioni apostoliche, a partire dalla Laudato Sì, alla Fratelli Tutti, fino alla più recente Laudate Deum.
Eppure in questi primi venti anni del 3° millennio in tutto il mondo si è imposto un capitalismo – da quello democratico dell’Occidente all’autoritario della Cina – senza nessun contrasto. E con tutte le conseguenze del caso. In tutto questo arco di tempo non si è mai levata una voce alternativa, per lo meno di così autorevole livello, se non quella di Papa Francesco.
Nemmeno Agenda 2030 ha toccato con tale decisione, sincronia e interdipendenza il legame tra economia e libertà. Perché al di là di tutte le belle parole e i programmi varati dalle Nazioni Unite, non c’è in gioco solo la ricaduta di questo sfrenato capitalismo sull’intero pianeta ma la libertà di ogni essere vivente che lo abita: dal più microscopico all’essere umano.
Si, perché, al di sopra dello stesso bene tangibile che è l’ecosistema (su cui tanto ambientalismo è nato, e per fortuna), il bene supremo per eccellenza è la libertà.
E qui dobbiamo rispolverare quella persona tanto scomoda e, apparentemente, sempre più emarginata che è Gesù Cristo (Betlemme, 6-7 a.C. – Gerusalemme, 26-36 d.C.), con il suo insegnamento.
Siamo bravi a fare riferimenti a grandi filosofi e storici del passato più o meno recente; basti pensare alla frase di I. Kant “Agisci in modo da considerare l’umanità sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre come nobile fine, mai come semplice mezzo” ma mai ci soffermiamo (e speso non lo fanno nemmeno i cristiani) sulla profondità del messaggio di questa persona che, pur se non vista con l’occhio della Fede dei cattolici, storicamente, col suo pensiero, oltre che con le sue azioni, ha determinato uno spartiacque profondo della storia, tanto da datare gli anni con un prima e dopo la sua venuta.
Proprio partendo da questi concetti, lo studioso francese Charles Gave ha analizzato il pensiero economico di Gesù Cristo, così come emerge dai vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Ne è venuto fuori un saggio dal titolo “Gesù economista”, edito dall’Istituto Bruno Leoni libri. Così come I promessi sposi di Alessandro Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873) spiegano la formazione dei prezzi, in un’economia di mercato, molto meglio di dieci trattati specialistici, i vangeli illustrano la dottrina socio-economica di Gesù meglio di un esercito di esegeti.
Per Charles Gave Gesù è straordinariamente moderno. Meglio, atemporale. È il primo a sollecitare la separazione tra Stato e Chiesa (“Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio”). È il primo a sublimare la cultura del rischio, vera essenza della parabola dei talenti (“Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a chi ha dieci talenti”). È il primo a comprendere la nozione di valore in economia (“Alzati gli occhi, Gesù vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli e disse: “In verità vi dico, questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno deposto come offerta il loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere”»).
Gesù non demonizza la ricchezza. Caccia i mercanti dal tempio perché è inammissibile fare soldi con la religione, né si deve conquistare il potere politico con la fede. Gesù condanna i ricchi malvagi, non i ricchi buoni. Il Samaritano apparteneva a questa categoria, non avrebbe mai attirato un anatema su di sé.
Anche sulla giustizia sociale, l’economista Gesù non si lascia, per così dire, strumentalizzare. La giustizia sociale è una nozione collettiva. Ma Gesù si rivolge alla persona, all’individuo. Scrive Gave: “Il Giorno del Giudizio, il Cristo non dirà: alla mia destra il proletariato, verso il paradiso; alla mia sinistra il capitale, direzione inferno. I bravi padroni e i bravi proletari staranno a destra, gli altri a sinistra”. Scriveva l’evangelista Giovanni: Giuda è un grande ipocrita che pretende di dire cosa è bene e che, in realtà, rovina la vita di tutti. Giuda adorava il denaro, ma fingeva di disprezzarlo, come capita tuttora presso parecchie frange della classe dirigente.
Da questo libro emerge una visione dell’uomo Gesù ancora oggi rivoluzionaria, come dice Gave, atemporale.
E così la lezione che emerge dalla sua dottrina è ancora in parte non applicata e non compresa da quel mondo liberista che, sfruttando l’etimologia ”libero” inficia il suo stesso significato, la sua stessa esistenza, determinando spesso e di frequente schiavitù, dipendenze, oppressioni.
Potremmo definire la visione di Gesù sull’economia, al di là ovviamente del suo principale obiettivo dottrinale ed escatologico, quella di un Capitalismo Umanistico e di un’Umana Sostenibilità.
Eppure, proprio dalle emergenze di questo arco di tempo della storia, notevolmente correlate ad una deviata concezione liberista e capitalista, emergono, in tutta la loro crudezza le ombre di un passato buio ma anche la luce di una prospettiva rinnovata, quella prospettiva atemporale che adesso sta divenendo più nitida.
Questa luce arriva proprio dagli insegnamenti che la natura, tanto maltrattata ed oppressa da un capitalismo senza scrupoli, sta manifestando. In essa stiamo comprendendo che non c’è storia, economia, capitalismo, umanità, fuori dai suoi principi e dalle sue regole. La Natura contiene i principi e le regole dell’economia, sono atemporali e perfettamente indicate nell’insegnamento di Gesù.
Mirabile, come detto, la trilogia di Papa Francesco (soprattutto nella Laudato Sì), dà un saggio encomiabile di economia ed ecologia umanistica, segno che qualcosa di nuovo sta avvenendo nella storia umana e che troppo stretta è la nostra prospettiva storica per valutarne gli effetti e la profondità.
Potranno storcere il naso gli atei (anche se questo articolo non tratta aspetti teologici), potranno muovere obiezioni gli amanti, da una parte del marxismo e dall’altra del liberalismo.
La verità è che la storia è in movimento e cammino. Deve maturare ancora molte energie inespresse ma presenti nel suo DNA.
Così come nella cultura e nella spiritualità, oltre che nell’economia e nell’ambiente, si stanno maturando le forme che completano il significato di Umana Sostenibilità, e la sostenibilità è un tutt’uno con il Capitalismo Umanistico, come concezione inclusiva di ogni cosa materiale e immateriale che riguarda la persona umana. Di tutto questo è matrice e massimo comune denominatore l’umanesimo universale.
Questo arco della storia, pur con tutte le emergenze e le catastrofi a cui andrà incontro, prelude a qualcosa, nascosta da secoli (non per tutti) e che si sta manifestando nella sua pienezza.
Si sta prospettando quella sostenibilità inclusiva dei valori materiali e spirituali, quel luogo concreto dove l’ambiente, l’economia, la tecnologia, la cultura, lo spirito e la morale vivano insieme.
Come affermava Leibniz la natura “non fa salti”, cioè i rapporti tra le cose sono di continuità e non di diversità e questo apre scenari culturali, sociopolitici ed umanistici completamente nuovi.

Guido Bissanti




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