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Pistacia lentiscus

Pistacia lentiscus

Il lentisco (Pistacia lentiscus, L. 1753) è un arbusto sempreverde della famiglia delle Anacardiaceae, tra i più rappresentativi dell’Oleo-ceratonion. In alcune zone è detto lentischio.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico il Lentisco appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Sottoclasse Rosidae, Ordine Sapindales, Famiglia Anacardiaceae e quindi al Genere Pistacia ed alla Specie P. lentiscus.

Etimologia –
Il nome di questo genere deriva dal greco “pistákion”, assonante con il persiano “pistáh” ricco di farina. Il termine lentìscus invece identificava in latino questa specie.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
La Pistacia lentiscus è una pianta tipica delle coste meridionali atlantiche e mediterranee. È una entità mediterranea in senso stretto e quindi con areale limitato alle coste mediterranee e pertanto all’ area dell’Olivo.
È una pianta eliofila, termofila e xerofila che vegeta dal livello del mare fino ai 600 metri. Come visto è un componente della macchia mediterranea sempreverde spesso in associazione con l’olivastro, la fillirea e il mirto; molto adattabile per il terreno cresce meglio però sui suoli silicei. Non è una specie colonizzatrice ma può assumere aspetto dominante nelle fasi di degradazione della macchia, in particolare dopo ripetuti incendi.
La zona fitoclimatica di vegetazione è il Lauretum. In Italia è diffuso in Liguria, nella penisola e nelle isole. Sul versante adriatico occidentale non si spinge oltre Ancona. In quello orientale risale molto più a Nord, arrivando a tutta la costa dell’Istria.
È uno degli arbusti più diffusi e rappresentativi dell’Oleo-ceratonion, spesso in associazione con l’olivastro e il mirto. Più sporadica è la sua presenza nella macchia mediterranea e nella gariga. Grazie alla sua frugalità e ad una discreta resistenza agli incendi è piuttosto frequente anche nei pascoli cespugliati e nelle aree più degradate residue della macchia.

Descrizione –
Il lentisco è una pianta con portamento cespuglioso, raramente arboreo, in genere fino a 3-4 metri d’altezza. La chioma è generalmente densa per la fitta ramificazione, glaucescente, di forma globosa. L’intera pianta emana un forte odore resinoso. La corteccia è grigio cinerina, il legno di colore roseo. La pianta raramente assume un portamento arboreo alto 6-8 m. Ha un accentuato odore di resina; chioma generalmente densa per la fitta ramificazione, di forma globosa, con rami a portamento tendenzialmente orizzontale; corteccia squamosa di colore cenerino nei giovani rami e bruno-rossastro nel tronco; legno di colore roseo. Possiede delle foglie alterne, paripennate, glabre, di colore verde cupo, con 6-10 segmenti ottusi ellittico-lanceolati a margine intero e apice ottuso, lunghi fino a 30 mm, coriacee, glabre, con piccolo mucrone apicale e rachide leggermente alato.
Il lentisco è una specie dioica, con fiori femminili e fiori maschili separati su piante differenti.
I fiori del Lentisco sono attinomorfi, pentameri, tetraciclici, in pannocchie cilindriche brevi e dense disposte all’ascella delle foglie dei rametti dell’anno precedente; i fiori maschili presentano 4-5 stami ed un pistillo rudimentale; sono vistosi per la presenza di stami di colore rosso vivo; i fiori femminili sono di un colore verde con ovario supero; i petali risultano assenti.
Il frutto del lentisco è una drupa globosa o lenticolare, di diametro 4-5 mm, carnosa, rossastra, tendente al nero a maturità, contenente un unico seme.
La fioritura ha luogo in primavera, da aprile a maggio. I frutti rossi sono ben visibili in piena estate e in autunno e maturano in inverno.

Coltivazione –
Il lentisco è una specie che necessita di posizioni soleggiate per svilupparsi al meglio, ma può sopportare anche la mezz’ombra; in genere può sopportare temperature vicine ai 10°C, anche se nelle regioni con inverni particolarmente rigidi è bene ripararlo oppure porlo a dimora nei pressi di un muro o di altri arbusti. È una pianta che in assoluto ama la luce diretta e il caldo. L’ideale quindi è inserirla in una posizione posta a Sud.
Chiaramente questo diventa sempre più importante mano a mano che la sua coltivazione si sposta verso le regioni settentrionali.
Se viviamo sulle coste o sulle isole possiamo ottenere begli esemplari con una esposizione anche leggermente ombreggiata. Per esempio l’ombra del mattino non è deleteria se nel pomeriggio l’illuminazione invece è costante.
Questo arbusto in genere non necessita di annaffiature, anche se nei mesi estivi, particolarmente caldi e siccitosi, potrebbe essere necessario annaffiare ogni 15-20 giorni. Per quanto riguarda la concimazione è bene in autunno interrare ai piedi della pianta del concime organico ben maturo.
Il Lentisco va posto a dimora in terreno ricco, sciolto e ben drenato; in natura il lentisco cresce in terreni rocciosi e poveri, in giardino spesso tende a svilupparsi più velocemente che nei luoghi di origine, potendo trarre maggiori quantità di elementi nutritivi dal terreno. Il lentisco è pianta molto tollerante sotto questo punto di vista. Si adatta a tutti i tipi di suolo, dal più povero e sassoso al più ricco. Vive anche discretamente bene in substrati argillosi e compatti.
Per quanto riguarda la moltiplicazione, in primavera è possibile seminare i semi raccolti durante l’inverno; volendo è possibile anche praticare talee semilegnose in primavera inoltrata, ma in genere le talee di lentisco radicano con grande difficoltà.
Il metodo però più utilizzato in ambito vivaistico è la talea erbacea. In genere si procede nel mese di luglio prelevando dei segmenti dell’anno e inserendoli in un composto molto leggero con un’alta percentuale di sabbia e agriperlite. Il substrato dovrà sempre essere mantenuto umido e ad una temperatura di circa 20°C, in una zona ombreggiata. Di solito la radicazione è veloce e le piante possono già essere messe in contenitori singoli in autunno per poi essere spostate in piena terra la primavera successiva, dopo la fine delle gelate.
Per il lentisco, in genere, la potatura non è necessaria perché acquisisce naturalmente la forma che riscontriamo allo stato spontaneo. Ad ogni modo possiamo anche decide di farlo crescere ad albero. In quel caso bisognerà scegliere un singolo getto proveniente da sottoterra e liberarlo per una certa porzione. Al di sopra modelleremo la chioma, possibilmente con una forma aperta. Il lentisco può anche essere utilizzato per la realizzazione di siepi formali od informali in ambiente mediterraneo. Tollera bene i tagli anche drastici e grazie alle foglie di piccole dimensioni può essere facilmente modellato secondo i nostri gusti. Gli interventi più importanti si dovranno fare durante i primi anni. I rami principali andranno troncati per incrementare la nascita di branche secondarie e conseguentemente rendere l’arbusto più folto e coprente. In seguito si dovrà intervenire solo per mantenere le forme e eventualmente eliminare rami deboli, morti o mal direzionati.
Al lentisco vengono riconosciute proprietà pedogenetiche ed è considerata una specie miglioratrice nel terreno. Il terriccio presente sotto i cespugli di questa specie è considerato un buon substrato per il giardinaggio. Per questi motivi la specie è importante, dal punto ecologico, per il recupero e l’evoluzione di aree degradate.
Questa pianta rimane verde anche d’estate durante il periodo di maggiore aridità, grazie alla sua resistenza all’aridità. Ha una grande capacità pollonifera; anche se i rami vengono praticamente distrutti dal fuoco, la pianta forma rapidamente nuova vegetazione dopo un incendio.
Tra le avversità del lentisco si ricordano soprattutto l’oidio, gli acari e la cocciniglia. Questi possono attaccare talvolta la pianta, soprattutto se viene coltivata in zone poco ventilate. Si tratta di un vegetale piuttosto sano e in natura infatti è piuttosto autonomo.
Viene colpito abitualmente da alcuni acari (come l’Eriophyes stephanii) e da degli afidi (Anopleura lentisci). Entrambi questi parassiti causano la comparsa di galle a scapito delle foglie. Viene in particolare colpito il limbo fogliare che si arriccia.

Usi e Tradizioni –
Nella medicina tradizionale dei paesi del bacino del Mediterraneo la resina del lentisco (ottenuta incidendo il tronco) è comunemente utilizzata per combattere affezioni dell’apparato digerente e in particolare le ulcere dello stomaco. La sua efficacia ad ogni modo è stata confermata da recenti studi scientifici, in particolare è capace di combattere il batterio Heliobacter pylori. Un modo comunque di effettuare queste cure avviene attraverso la masticazione della resina. È una pratica molto comune in alcune isole della Grecia.
Gli impieghi attuali della resina vanno dalla profumeria all’odontotecnica (come componente di paste per le otturazioni e mastici per le dentiere).
In alcune aree e in alcune lingue questo vegetale viene anche chiamato “albero del mastice”. Infatti viene utilizzato per ricavarne una gomma dal profumo e dal sapore molto aromatico. Vi sono prove che questa venisse già utilizzata nell’antichità come oggi facciamo con il chewing-gum. Infatti effettuando incisioni sul tronco e sui rami si ottiene una resina che si rapprende all’aria (mastice); essa ha un odore caratteristico e viene chiamato mastice di Chio. Il mastice, se masticato, diventa una pasta malleabile che aderisce ai denti e, grazie alla sua azione antinfiammatoria e antisettica, combatte la gengivite, la piorrea e profuma l’alito.
In Chio, che è il luogo di produzione della resina di maggior pregio, è prodotto un liquore aromatico derivato dalla resina, con funzioni digestive, molto apprezzato, il Mastika. In Sardegna, la resina viene usata nella produzione di un gin locale, il Giniu.
Viene richiesta inoltre dall’industria dolciaria e da quella della cosmetica.
Il legno di lentisco ha un colore che va dal rosa all’ocra con bellissie venature gialle. Viene utilizzato per la realizzazione di piccole sculture lignee e anche per l’ebanisteria.
L’olio che si estrae dai suoi frutti ha un colore giallo e un profumo molto intenso. È utilizzato a scopo terapeutico e come olio essenziale per massaggi. Alcune sue proprietà decongestionanti nei confronti del sistema linfatico sono universalmente riconosciute. In Sardegna, dove è molto comune, il suo olio veniva utilizzato dalla popolazione in mancanza di quello di oliva. Era anche impiegato come olio lampante.
I più recenti studi scientifici di fitoterapia hanno però confermato la bontà di questo prodotto, che grande successo aveva ottenuto nella medicina popolare. Ricco di acidi grassi essenziali, per le sue ottime proprietà può esser efficacemente impiegato come antinfiammatorio, antisettico, cicatrizzante, idratante e nutriente, tanto che in tempi recenti sia la dermatologia che l’industria cosmetica e quella alimentare paiono averlo riscoperto.
Alcune ricerche hanno dimostrato l’efficacia di quest’olio nell’abbassare il livello ematico del colesterolo e dei trigliceridi, nel combattere alcune affezioni gastro-intestinali (ad es. la dispepsia) e nel contribuire a prevenire alcuni tipi di tumore, grazie alle sue proprietà antiossidanti.
Il lentisco è una specie che in passato ha avuto una larga utilizzazione per molteplici scopi; oggi i suoi usi sono più limitati.
Il lentisco ha notevole importanza ecologica per la rapidità con cui ripristina un buon grado di copertura vegetale del suolo denudato. È infatti considerata una specie miglioratrice nel terreno. Il terriccio presente sotto i cespugli di questa specie è considerato un buon substrato per il giardinaggio. Per la sua rusticità è tra le più adatte all’impiego nella riqualificazione ambientale e per l’arredo verde di zone marginali o difficili, quali quelle in forte pendio e altamente rocciose.
I teneri germogli, freschi e poco tannici, sono appetiti dai ruminanti selvatici.
Il lentisco si presta per essere impiegato come componente di giardini mediterranei e giardini rocciosi. Poiché resiste bene alle potature drastiche è adatto anche per la costituzione di siepi geometriche; la ramificazione fitta e le ridotte dimensioni delle foglioline si prestano bene a questo scopo.
Tra le specie spontanee, questa pianta è la più richiesta dal mercato floricolo per le sue fronde verdi recise che, per la delicatezza del fogliame, sono particolarmente idonee alla costituzione di composizioni floreali miste; tale massiccio uso con tagli indiscriminati sta causando seri danni in Albania, in Tunisia ma anche in sud Italia. Per ovviare a tale distruzione dell’habitat si è cominciato timidamente a coltivarlo.
Il legname del lentisco è apprezzato per lavori di intarsio e per piccoli lavori al tornio, grazie alla sua durezza e al bel colore rosso-venato. In passato veniva usato per produrre carbone vegetale e ancora oggi è apprezzato per alimentare i forni a legna delle pizzerie in quanto la sua combustione permette di raggiungere in tempi rapidi alte temperature.
Le foglie, ricche di tannini, venivano usate per la concia delle pelli.
L’olio essenziale prodotto dai frutti è considerato efficace nella cura dei reumatismi; esso ha proprietà balsamiche, antinfiammatorie, sedative ed antisettiche delle mucose; l’alto contenuto di sostanze tanniche ne fa un valido aiuto in caso di dissenterie, anche se l’uso del lentisco come pianta medicinale è attualmente sconsigliato per uso interno perché può provocare intossicazioni e fenomeni di intolleranza.
L’olio ricavato dai semi è usato in cosmetica per fare saponi con caratteristiche balsamiche ed antisettiche.
L’olio essenziale di Lentisco è un ottimo balsamico, tonificante e rinfrescante da aggiungere all’acqua del bagno. Può essere usato anche per profumare l’aria in casa. La resina essiccata può essere utilizzata per profumare gli armadi e tenere lontano gli insetti.
Ancora oggi il mastice viene utilizzato come sostanza adesiva. Ha anche impieghi artistici: disciolto in essenza di trementina fornisce un’ottima vernice finale per i dipinti a tempera e ad olio soprattutto per restauri neutri su dipinti antichi.
In passato i frutti venivano sottoposti a bollitura e a spremitura per estrarre un olio impiegato come combustibile per l’illuminazione e come succedaneo dell’olio d’oliva per l’alimentazione, soprattutto nei periodi di carestia o in caso di scarso raccolto dagli olivi e dagli olivastri.
Anticamente le bacche erano usate per aromatizzare le carni e venivano usate in insalata insieme con altre erbe di prato o come mangime per gli uccelli.
Il mastice viene utilizzato, nel Mediterraneo Orientale, oltre che come sostanza da masticare, come aromatizzante di bevande (es. vino), di gelati, di liquori.
Nell’alimentazione animale, il panello residuo dall’estrazione dell’olio è utilizzabile tale e quale come mangime, soprattutto per i suini, ed ha buone caratteristiche dietetiche.
Sin dall’antichità (Dioscoride, Ippocrate, Galeno, Plinio) erano apprezzate le sue molteplici proprietà. Plinio il Vecchio nella sua “Storia naturale”, suggerisce di utilizzare l’olio ricavato dai frutti e mescolato a cera per medicare le escoriazioni e le foglie fresche per le infiammazioni del cavo orale.
In Grecia la pianta era consacrata a Dictymna, una ninfa di Artemide che amava adornarsene; poiché analogo uso ne facevano le vergini elleniche, nel tempo questa pianta è rimasta legata ai simboli di purezza e verginità.
In Medio Oriente veniva utilizzata per disinfettare e profumare ed era conosciuta per le sue proprietà antisettiche, tanto che vi si faceva ricorso per trattare le ferite, curare le ulcere gastriche e conservare l’igiene orale, sotto forma di una specie di gomma da masticare per la cura di denti e gengive e la purificazione dell’alito. In effetti,  grazie alla masticazione il mastice diventa plastico e svolge una notevole azione terapeutica su denti e gengive. Ancora oggi la resina è quindi utilizzata come ingrediente dei moderni chewing-gum, trova svariati utilizzi in profumeria e, in campo odontotecnico, rientra nelle paste per le otturazioni e nei mastici per dentiere.  Inoltre viene anche impiegata dagli artisti come vernice e nei restauri.
Basta leggere i classici greci e latini per trovare ampi riferimenti agli innumerevoli utilizzi di questa pianta, conosciuta per le sue proprietà diuretiche, antinfiammatorie, antisettiche, cicatrizzanti ecc., così da esser sfruttata per la produzione di olio alimentare, la cura delle ferite e delle ulcere gastriche, la pulizia e purificazione della pelle, il trattamento di tosse e raffreddore  e perfino la  tintura dei capelli.
Nella tradizione sarda, specialmente nelle aree agro-pastorali, era abitudine frequente quella di preparare impacchi di foglie per sanare le ferite e deodorare i piedi, tanto che le foglie più giovani e tenere venivano poste all’interno delle scarpe per profumare e impedire l’eccesso di sudorazione.
Il Lentisco, assieme al Mirto (Mirtus communis) era alla base del commercio delle Mortelle.  Nel vastese veniva ampiamente raccolto per essere venduto ai commercianti Veneziani che lo utilizzavano soprattutto per conciare le pelli. Dal porto di Vasto venivano imbarcati grossi quantitativi di mirto e lentisco, raccolti anche nell’entroterra vastese (Lentella, Fresagrandinaria e altre località).
Pur avendo perso gran parte della sua antica importanza, il lentisco è una specie che ha ancora una larga utilizzazione per molteplici scopi e che andrebbe pertanto reintrodotta per le sue incredibili proprietà e caratteristiche.
In Sardegna l’olio di lentisco (oll’e stincu) è stato fino al XX secolo il grasso alimentare vegetale più consumato dopo l’olio d’oliva e dell’olio di olivastro. L’olio d’oliva di una certa qualità era infatti destinato alle mense dei ricchi e per le occasioni particolari, mentre gran parte dell’olio prodotto, essendo di scarsa qualità, era utilizzato prevalentemente per alimentare le lampade. L’olio di lentisco era forse apprezzato per le sue spiccate proprietà aromatiche, di gran lunga superiori a quelle dell’olio lampante, ma in ogni modo si trattava di un alimento destinato alle mense dei poveri, a cui si faceva largo ricorso in periodi di carestia e in occasioni di scarso raccolto dagli olivi e dagli olivastri.
La tradizione dell’olio di lentisco come grasso alimentare si è persa nella metà del XX secolo, allorché nel Secondo Dopoguerra si è avuta una maggiore diffusione prima dell’olio d’oliva, poi degli oli di semi. Si tratta di un olio con una resa bassa (8-13%), conseguentemente relativamente costoso, con una distribuzione di acidi grassi ( 50-60% acido oleico, 20-30% acido palmitico, 10-25% acido linoleico molto simile a quella di decine di piante oleaginose con resa molto più alta. In seguito, l’olio di lentisco ha avuto rare utilizzazioni sporadiche come prodotto di nicchia o per scopi folcloristici.
Un altro utilizzo è quello derivato dalla lavorazione del legname. Il legname del lentisco è apprezzato per lavori di intarsio grazie al colore rosso venato. In passato veniva usato per produrre carbone vegetale e ancora oggi è apprezzato per alimentare i forni a legna delle pizzerie, in quanto la sua combustione permette di raggiungere alte temperature in tempi rapidi.
Anticamente le foglie di Pistacia lentiscus, ricche di tannini, venivano usate per la concia delle pelli. I rami sono usati come verde ornamentale. Tale uso massiccio attraverso tagli indiscriminati senza alcun controllo da parte degli organi preposti sta causando seri danni ai boschi dell’Albania della Tunisia e del sud Italia. È inoltre considerato antidiarroico. Ancora oggi, come per il passato con la resina, sciolta nella trementina purissima, si prepara una vernice per impieghi artistici (pittura a olio e/o a tempera) sia per “mesticare” colori sia per restauri neutri su dipinti antichi.

Modalità di Preparazione –
Dal lentisco, come detto, si può ricavare un olio; di seguito citeremo un metodo per estrarlo.
Si può fare chiaramente il tutto in maniera anche artigianale, per iniziare a prenderci la mano e, se poi la cosa vi “prende la mano” potete passare a sistemi più impegnativi.
Vi serviranno:
– Due-tre chili di drupe di lentisco;
– Un torchietto ;
– Diversi barattoli e recipienti e cucchiai per i vari travasi.
– Delle boccette per mettere  l’olio estratto.
-Alcuni giorni di tempo, anche se non continuativi.
-Pazienza, amore e un pizzico di curiosità
Tra Novembre e Gennaio raccogliete alcuni chili di drupe scegliendo preferibilmente quelle nere (mature). È facile che anche le rosse e le bianche vadano nel vostro cestino: nessun problema! Solo che da quelle non avrete molto olio.
Nella tradizione popolare era uso prendere i frutti da diverse piante, sia per rispetto che per incrementare le proprietà dell’olio. Seguendo questo consiglio le piante ringrazieranno.
A questo punto, raccolte le drupe, armatevi di un pestello e pestate fino ad ottenere una pasta piuttosto omogenea.
Lasciatele anche riposare rigirandole di tanto in tanto, facendo quello che nei frantoi delle olive si chiama gramolazione, possibilmente vicino ad una fonte di calore. Questo passaggio agevola l’unione delle micro goccioline di olio presenti nella pasta dei fruttini e facilita la rottura delle emulsioni acqua-oli facendoli così separare più facilmente durante l’estrazione.
Una volta pestate e ripestate e girate e rigirate si può cominciare la spremitura. Mettete l’impasto nel cestello del torchio e cominciate a pressare.
Riempite il cestello del torchio con i fruttini di lentisco schiacciati. Chiudete ora la pressa del torchio! È consigliato fare questa operazione con molta calma. Girate fino a che il torchio non inizia a fare resistenza. A quel punto non esagerate con la forza e aspettate.
Ecco il primo succo uscire.  Si notano anche le prime gocce di olio.
È evidente che all’inizio della spremitura esce pochissimo olio e molto succo (abbastanza schiumoso): mettete questa prima parte in un primo barattolino in modo da avere già una prima divisione fatta.
Arrivati a circa 3/4 del volume della spremitura comincia a uscire un po’ più di olio o comunque meno succo. Vi consiglio di mettere questo in un secondo barattolino. Se è già abbastanza separato non conviene perché mischiarlo con l’altro.
Quando vi sembra che non esca più nulla  mettete il torchio vicino a una fonte di calore: un camino, una stufa. L’olio uscirà con più facilità.  Non demordete ai primi giri duri. Così dal vostro torchietto è alla fine che esce la maggior parte dell’olio.
Riprendete dopo una mezz’oretta o un’oretta e fate un altro giro e così via fino a che il torchio non sarà “irremovibile” anche dopo l’attesa.
Quando non sarà più possibile girare smontate pure il cestello e mettete la sansa rimasta di semini e bucce in un contenitore. Potete buttarla nell’umido, sparpagliarla in Natura nella speranza che i semi germoglino o metterle a seccare in un sacchetto di carta per avere un’ulteriore fonte di profumo.
Passate così alla molitura delle altre drupe.
E il lavoro non è finito. Ora avviene la separazione, che comunque potete fare nel frattempo tra una pressata e un’altra.
Nel barattolino della prima parte del succo comincerete a vedere una parte liquida, una parte densa e pochissimo olio. Come dividerlo?
Uno dei metodi consigliati consiste nel mettere in un colino una pezza di cotone lavata e mettete il tutto a colare. L’olio e il succo scenderanno, la parte densa rimarrà. Dal liquido è molto più semplice separare l’olio che dalla parte densa.
A questo punto si può effettuare la separazione della parte densa della prima spremitura.
Infatti nel liquido man mano che passa il tempo l’olio (molto più leggero) sale in superficie e potete dividerlo con un cucchiaino. Se risulta troppo in fondo aggiungete acqua in modo che vi sia più facile il pescaggio. Attendete che si formi uno strato d’olio.
Pescate l’olio e aggiungetelo a quello della seconda spremitura (non preoccupatevi se prendete un po’ di liquido, è inevitabile). A questo punto attendete che l’olio salga in superficie di nuovo. Se non vedete più gocce d’olio galleggiare in superficie buttate pure il liquido rimasto nel primo barattolo. (Oppure per scrupolo aspettate ancora, nel caso salga in superficie altro olio.)
Dopo che avrete lasciato riposare ancora (diciamo un giorno) potete fare un ulteriore filtraggio. Il succo tende ad andare giù e fin qui tutto bene, ma tende anche a formare dei coaguli in superficie. Per cui  basterà di nuovo prendere solo la parte in superficie facendola passare in un colino. L’olio scenderà e i coaguli resteranno.
A questo punto si può passare al terzo filtraggio.
Sempre col cucchiaino o con un contagocce mettete il vostro prezioso olio in boccette più piccole pronte per profumare il vostro corpo, nutrire i vostri capelli o idratare la vostra pelle. Buttate pure la parte rimanente sul fondo.
Avete realizzato l’olio di lentisco e avete anche capito perché in antichità era un bene così prezioso! Se avete rispettato un po’ di igiene potete anche assaggiarlo.

Guido Bissanti

Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore.
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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