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Quella inquisizione che tanto male fa alla Scienza

Quella inquisizione che tanto male fa alla Scienza

Il dibattito sorto all’indomani dell’intervento sulla biodinamica della senatrice Elena Cattaneo, il coro che è seguito contro di essa e che ha investito anche il biologico, ha aperto una grande ferita che tanto male fa alla stessa Scienza.
La scienza ha indubbiamente un suo legittimo campo di applicazione e di ricerca. Esso chiede di essere riconosciuto e rispettato nella sua specifica operatività. Tuttavia la scienza si occupa di porzioni delimitate della realtà e opera secondo una ragione calcolante: insomma, nel suo campo specifico la scienza è insostituibile.
Tuttavia l’evoluzione dell’epistemologia scientifica, anche con l’avvento della meccanica quantistica, ci fa sempre più comprendere che la scienza non può degenerare, per dirla come K. Jaspers, nella superstizione scientifica di chi pensa che il metodo scientifico possa valere in universale, come se tra tutti i saperi la scienza fosse il solo valido.
Da quando G. Galilei, che unanimemente è considerato il padre della scienza moderna, ha posto solide basi per questa disciplina sono passati oltre 4 secoli e, nell’alveo di essa è passata, come si suol dire, tanta acqua.
Un’acqua che ha modificato e che continua a modificare il letto di questo grande fiume influendo sulla sua epistemologia (che, ricordiamolo, è lo studio critico della natura e dei limiti della conoscenza scientifica, con particolare riferimento alle strutture logiche e alla metodologia delle scienze).
Proprio in nome del rispetto che occorre tributare alla scienza, bisogna distinguerla quindi accuratamente da pratiche che chiedono rispetto anche se nulla hanno a che vedere (fino ad oggi) con essa o che procedono con “algoritmi” logici differenti o che per loro complessità non possono essere “compresi” all’interno della Scienza.
Vi sono infatti campi in cui la scienza non ha assolutamente nulla da dire: pensiamo all’etica, alla politica, all’estetica o alla teologia.
Ricordiamoci che la Scienza, per dirla come A. Einstein, “può essere creata soltanto da chi sia totalmente vocato alla verità e alla comprensione. Questa fonte emotiva, tuttavia, scaturisce dalla sfera della spiritualità. Ad essa appartiene anche la fede nelle possibilità che le regole valide per il mondo esterno sono razionali, cioè comprensibili per la ragione”.
Sappiamo infatti, che “La scienza non ha a che fare con la verità, bensì con la certezza”, diceva G. W. F. Hegel; essa può dimostrare la certezza del punto dell’ebollizione dell’acqua, ma non può discernere sul senso del mondo o su Dio.
In questo senso una scienza che pretende di essere il solo sapere valido, cesserebbe proprio per questo di essere scienza e scadrebbe nella superstizione scientifica e nello scientismo. Infatti, diceva K. R. Popper, “La scienza dovrebbe procedere per congetture e confutazioni“, non certo con i dogmatismi che si impongono secondo la forma dell’”ipse dixit”.
A tal proposito emblematiche restano le polemiche di Galileo contro Simplicio e i dogmatici di ogni tempo.
Per questo bisogna rispettare la scienza quando si mantiene nel suo campo, dubitarne invece quando pretende di essere il solo sapere valido e non proceda criticamente, ma dogmaticamente.

Queste considerazioni sono doverose soprattutto quando di fronte alla non “evidenza” scientifica di alcuni ambiti dei costumi, della filosofia, delle culture, delle tradizioni o di pratiche umane, si scatena e si alimenta una campagna, che tanto fa male alla Scienza, da parte di ricercatori o addetti del settore che si ergono a portavoci della “scienza”, come nella santa inquisizione, assistendo, paradossalmente, molto spesso al trionfo di una scienza che procede violentemente, occupa il posto vacante della religione e si trasfigura essa stessa in una nuova religione, con i suoi sacerdoti, i suoi riti e la sua inquisizione.
Questi atteggiamenti non appartengono alla Scienza: la scienza procede alla maniera di Galileo, ovvero dialogando, e non punendo il falso, bensì confutandolo scientificamente, li dove è il suo campo di applicazione.
Basti pensare al ricorrente pensiero “scientifico” che vuole asserire che solo un’agricoltura di tipo intensivo, condotta con i criteri delle specializzazioni colturali e con l’uso dei biocidi, quali regolatori di questo modello termodinamico errato, sia l’unica soluzione per la fame nel mondo.
Scienziati dell’ordine di E. Schrödinger e I. Prigogine hanno dimostrato il contrario nel rendimento dei modelli ecosistemici come “alimentatori di negentropia” e come “strutture dissipative” ed in cui non solo i sistemi più complessi (anche agricoli) hanno la miglior prestazione produttiva primaria ma che agendo sulla grandezza dell’entropia (che, ricordiamolo, è la funzione da cui si genera, secondo la meccanica quantistica, la freccia del tempo) si viene a modificare la dimensione spazio temporale percettiva. Insomma una realtà soggettiva più complessa che tanto stenta ad entrare nelle valutazioni epistemologiche scientifiche.
Ovviamente siamo in un campo molto più ampio (e che spesso ci sfugge) e multiforme, non solo per una comprensione della Realtà molto più complessa ma anche per le ricadute sociologiche e pratiche, per cui, a distanza di oltre mezzo secolo da questi scossoni scientifici, non si può più procedere ancora in una direzione meccanicistica che una certa “scienza” pretende di adottare, influenzando tecniche assoggettate a questa, oramai logora, comprensione.
Così il dibattito sulla biodinamica, in un settore in cui la ricerca scientifica, con i suoi paradigmi (e le linee di finanziamento pubbliche e “purtroppo” private) è rimasta sostanzialmente al di fuori, è divenuto così sterile (e perdente) quando invece ci saremmo aspettati l’apertura di quel grande dialogo che sempre bene fa alla libertà umana (e quindi anche alla Scienza) e tanto viene contrastato dalle dittature di ogni tempo.
Che poi si tiri in ballo Galilei per rivendicare una mancanza di “scientificità” di questa disciplina è cosa ancor più degradante perché molto probabilmente si conosce molto poco della spiritualità e visione epistemologica della Scienza del grande scienziato di Pisa.
Il problema non è il canone scientifico della biodinamica (su cui ci aspettiamo invece l’apertura di un grande dibattito) ma la presunzione della “scienza”, col suo metodo limitato (come limitato è il sapere umano) di assurgere a verità assoluta che giudica.
Qualcuno direbbe, a questo punto, cui prodest? A chi giova scatenare attacchi contro forme di agricoltura ma anche di filosofie di vita, di costumi, di tradizioni e così via che si muovono su piani differenti?
A chi giova lo scontro invece che il dialogo? Chi si avvantaggia di tale scenario?
A voi che leggete la più bella risposta che si possa dare; non quella imposta da chi scrive ma quella che deve nascere da una tranquilla e meditata analisi nel silenzio delle vostre riflessioni.

Guido Bissanti




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