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Verso una Europa Naturo Positiva

Verso una Europa Naturo Positiva

Dal 6 al 9 giugno i cittadini dei 27 paesi dell’Unione europea saranno chiamati ad eleggere i loro rappresentanti al Parlamento europeo per i prossimi 5 anni (quindi per il periodo 2024-2029).
Mai come in questo momento è necessaria una corresponsabilità bilaterale elettore/eletto verso una presa di coscienza a cui tutti siamo chiamati per generare e, sicuramente, rigenerare una Unione europea più politica che economica.
Una Unione che soffre sotto il peso dei grandi interessi economici che, di frequente, non sono sincroni alle regole, alle leggi ed alle necessità della natura, di cui, inutile sottolinearlo, siamo parte integrante ed inscindibile.
Una natura in crisi, in cui il cambiamento climatico, punta dell’iceberg di eventi più preoccupanti (perdita di biodiversità, processi di desertificazione, crisi umanitarie e sociopolitiche) che stanno peggiorando e mettendo in serio pericolo la salute umana e quella planetaria.
Ondate di caldo record, siccità e incendi boschivi sono sempre più frequenti con conseguenze umane ed economiche devastanti, indebolendo ulteriormente la capacità dei Governi di far fronte agli impatti di una crisi globale e agli effetti di alcune guerre, come quella in Ucraina, sulle catene di approvvigionamento e sull’economia.
Per questo è fondamentale un’azione immediata per la natura e il clima. Questo deve essere il momento in cui dobbiamo cambiare la situazione e salvare i nostri sistemi di supporto vitale, e non bastano le varie Nature Restoration Law a livello europeo o la modifica degli artt. 9 e 41 della Costituzione italiana.
L’obiettivo deve essere quello di essere rispettosi della natura entro il 2030, in modo che nel prossimo decennio ci sia più natura nel mondo di quanta ce ne sia oggi. Per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo fermare e invertire la perdita degli ecosistemi e dei loro habitat entro la fine di questo decennio.
Purtroppo a fronte delle innumerevoli iniziative mondiali (vedi Agenda 2030 ed i successivi programmi interrelati) ed europei (Green Deal rimesso pericolosamente in discussione) i sistemi politici, sollecitati da interessi contrastanti, vacillano per la mancanza, di frequente, di ideologie Nature-Based.
Quelle ideologie che non possono avere né una sinistra né una destra ma solo una centralità fondata sui principi inamovibili ed irrinunciabili dell’ecologia.
Principi basati su pari diritti e dignità di tutti gli esseri viventi di qualunque specie, razza, colore, sesso, distribuzione geografica, rappresentanza e minoranza.
Quei principi fortemente richiamati nella Laudato Sì di Papa Francesco ed ancor meglio puntualizzati nelle successive encicliche Fratelli Tutti e Laudate Deum. “Siamo di fronte ad un problema umano, sociale; un problema in cui stiamo distruggendo il dono di Dio. Il dono della natura”. “Bisogna creare una consapevolezza ecologica molto più grande”.
Eppure, al di là, della nostra posizione nei riguardi della fede o meno, assistiamo a proclami, programmi, enunciati, spesso di un populismo sensazionalmente orientato per captare consensi e voti degli scontenti e degli arrabbiati.
Ma con la rabbia ed il malcontento non si va da nessuna parte. Non sono queste le armi con cui dobbiamo combattere la battaglia per una democrazia condivisa da umanità e natura. Di armi ne abbiamo messe in gioco purtroppo molte e frutto proprio di questi proclami politicamente opportunisti ma perdenti.
Così tutto ciò che ruota intorno ai diritti dei cittadini, degli agricoltori, degli operai e di qualunque altra categoria di lavoratori non possono confliggere con i diritti di una terra libera da imposizioni, sfruttamento, depauperamento delle risorse territoriali e genetiche.
La stessa transizione energetica si sta combattendo su un fronte molto pericoloso, tra l’altro in contrasto con le direttive UE sulla distribuzione, frammentazione e democrazia della gestione delle risorse rinnovabili.
Così l’accaparramento delle terre per i megaimpianti fotovoltaici o eolici, la corsa agli OGM ed il perdurare di un’agricoltura sempre meno efficiente da un punto di vista produttivo ed energetico, la messa in discussione del Green Deal, con la proroga pericolosissima dell’uso di prodotti fitosanitari e diserbanti, denotano (tra le tante assurdità) un pericoloso dietrofront verso un punto di non ritorno, come se l’ecologia potesse aspettare i capricci o gli interessi di qualche multinazionale o di qualche Governo.
È necessario un cambiamento fondamentale nell’azione ambientale, andando oltre la semplice lotta alla perdita di biodiversità, di desertificazione, al cambiamento climatico, ecc., per salvaguardare la natura in modo globale.
Purtroppo i sistemi economici mondiali non riconoscono il valore della natura per la salute del pianeta e dell’essere umano, e i principali fattori economici influiscono negativamente sul mondo naturale sia direttamente che indirettamente. Il degrado degli ecosistemi terrestri e marini ha conseguenze sul benessere di miliardi di persone e costa circa il 10% del prodotto interno lordo globale annuo.
Eppure il ripristino della natura offre enormi opportunità economiche. Per questo la prossima politica EU deve essere direzionata ad attuata concretamente attraverso un’economia positiva per la natura (Nature Positive Economy), cioè un’economia che si adoperi per migliorare attivamente lo stato della natura.
Purtroppo, come succede nel comparto agroalimentare, molti sono ancora convinti che l’agricoltura convenzionale e, spesso monocolturale, che fa largo uso di input esterni (come fertilizzanti, pesticidi, carburanti, ecc.), sia la strada migliore; in tutto ciò c’è molta e distorta informazione.
Le ricerche, gli studi scientifici le applicazioni concrete in varie parti del mondo dimostrano come agroecologia, economia circolare, e sistemi tecnologici orientati agli ecosistemi, rappresentino il vero benessere per umanità e natura.
Per questo serve una politica concreta che affianchi le persone verso questa transizione epocale e non più derogabile.
Ma non una politica di imposizione, difficile da attuare e che spesso lede i diritti personali; serve una politica di affiancamento, di sostegno, di trasferimento delle conoscenze verso sistemi produttivi e sociali altamente sincronizzati con le necessità della natura. I cittadini, gli operai, le imprese, gli agricoltori, ecc. non devono ricevere imposizioni per raggiungere questi obiettivi ma incentivi (non solo economici) che promuovano ed agevolino la stessa. Un vero e proprio tutoraggio alla transizione.
Oggi gli ecosistemi sono prossimi al collasso; i dati FAO, ISPRA, IUCN, ecc. non ammettono discussioni; la perdita di biodiversità, la desertificazione ed i rapidi cambiamenti climatici stanno mettendo in crisi, con effetto domino, specie migratrici, stanziali, habitat, sopravvivenza.
Gli uccelli migratori, gli insetti, la fauna, le specie vegetali non hanno confini nazionali; appartengono al pianeta e nessuna politica nazionale, e ancor meno europea, può disconoscere la Politica dell’Ecologia: è un errore che dobbiamo rimediare ed a cui non è ammesso nessun esame di riparazione.
Dicevano alcuni cartelli, esibiti durante alcune dimostrazioni ecologiche, che non abbiamo un pianeta B, possiamo aggiungere che non esiste una politica alternativa: l’unica è quella che si muove dentro le leggi ed i codici della natura.
Cosa fare allora di concreto. Semplice e impegnativo allo stesso tempo. Far firmare a tutti i candidati Europei (di qualunque area e appartenenza) un impegno in tal senso: smantellare un’economia ed una finanza che, di fatto sta creando maggiori ingiustizie, privazione dei diritti, mortificazione della natura e perdita del futuro.
È corretto chiedere, a tutti i candidati, come intendono raggiungere questi obiettivi, per comprendere il grado di maturità politica ed etica degli stessi.
Se qualcuno ha un’idea migliore si faccia avanti.

Guido Bissanti




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