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Il Cibo tra giustizia sociale e sostenibilità

Il Cibo tra giustizia sociale e sostenibilità

Che il nostro mondo, con le sue culture, le sue visioni, i suoi modelli sociali ed economici sia arrivato alla resa dei conti è oramai cosa certa.
Non stiamo prospettando una guerra di tipo convenzionale (quelle purtroppo non sono mai terminate e continuano a insanguinare con le loro ingiustizie intere popolazioni) ma uno scontro tra due modi di concepire il mondo, anzi la Vita.
Da un lato un sistema liberista sempre più proiettato ad un mondo post globalizzazione, con l’intento di imporre nuovi teoremi che mettono al centro nuove frontiere commerciali che invadono adesso anche sfere personali, come identità, sessualità, strutture sociali, ecc.. Un castello ideologico, di matrice liberista, che ogni giorno che passa tenta di trasformare tutto e tutti in merce, bisogni e consumi; il resto, secondo questa visione, è blasfemia e materia antiliberale.
Dall’altro le voci dei movimenti, delle opinioni, del mondo della cultura e della scienza che tentano di ragionare su una visione sistemica della Vita, sui valori di questa, sul ruolo della persona e dei suoi diritti.
In questo scontro sempre più aspro, ma che rappresenta il preludio di una nuova era, l’aggressione e la discussione più accesa è di certo quella sul cibo, sui modelli agroalimentari e sulla transizione ecologica. Argomenti interconnessi, come giustamente affrontati da Agenda 2030, e per questo non più rappresentabili con quel vecchio vestito del liberismo colonialista che ha caratterizzato, soprattutto negli ultimi decenni, la storia, la politica, l’economia e i sistemi sociali di tutto il Pianeta. Tutti accomunati, nel bene e nel male, con sistema di causa ed effetto, da uno scenario non più proponibile.
Senza ripetere per l’ennesima volta le grandi emergenze sociali ed ambientali che questo sistema ha generato bisogna porre l’accento su una questione per troppo tempo vista da una prospettiva eticamente scorretta e, quindi, moralmente inaccettabile.
La questione riguarda ovviamente il cibo, i modelli per produrlo, le loro ricadute sul sistema sociale e su quello ambientale.
Aver affrontato, soprattutto dalla metà del secolo scorso, tale materia solo in termini di mercato (libera circolazione, aumento delle rese unitarie, industrializzazione, ecc.) sta dimostrando quanto fuori centro forse l’obiettivo di questa politica.
A scanso di equivoci qui non parlano solo visioni di parte, ed in quanto tali fallibili, ma dati che sono sempre più riportati da Organizzazioni governative o da ricerche e studi scientifici in più parti del mondo.
Oggi siamo, di fatto, allo scontro tra i sostenitori dell’agroindustria da una parte e i fautori dell’agroecologia e della sovranità alimentare dall’altra.
Così da un lato abbiamo il Food Systems Summit delle Nazioni Unite, dall’altro il Food Systems for people. Istituzioni internazionali e grandi aziende per l’uno, società civile e popoli indigeni per l’altro. Un futuro dei sistemi alimentari che si muove su traiettorie opposte.
In tal senso la rottura ufficiale, tra le due correnti, si è consumata in occasione del primo summit delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari. Una prima assoluta e una separazione netta.
In questo scenario sono risaltate forti e solenni le parole del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutierres: «Il sistema alimentare attuale deve essere riformato. Deve diventare più sano, sostenibile ed equo». Un grido lanciato nel primo Food System Summit dell’Onu. «Dobbiamo lavorare insieme per trasformare il modo in cui produciamo, consumiamo e pensiamo il cibo», si legge sul sito dell’organizzazione dedicato al vertice che si terrà negli Stati Uniti in autunno.
A supporto di tale affermazione si erge anche l’ultimo rapporto The State of food security and nutrition in the world (Sofi) (lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo) a cura della Fao.
Si pensi che nel 2020 il tasso di denutrizione è aumentato. Sono tra 720 e 811 milioni le persone che nel 2020 hanno sofferto la fame, 118 milioni in più rispetto all’anno precedente. Sono cifre che ci allontanano dall’obiettivo “fame zero” di Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile.
Ma non è tutto; a questo si aggiungano le previsioni che sono tutt’altro che rosee: potrebbero essere fino a 660 milioni le persone che soffriranno ancora la fame nel 2030. L’insicurezza alimentare è aumentata lentamente dal 2014. La pandemia ha avuto un impatto anche sulla malnutrizione infantile: il 22% dei bambini sotto i 5 anni soffre di arresto della crescita; il 6,7% è debilitato; il 5,7% è sovrappeso.

In questa direzione, secondo il rapporto Sofi 2021, i fattori che mettono in crisi la sicurezza alimentare e la nutrizione nel mondo sono numerosi. I conflitti rimangono una delle cause principali delle crisi alimentari, a questi si aggiungono i cambiamenti climatici e gli eventi estremi. In questo crisi economiche e pandemia hanno contribuito, ovviamente, all’aumento della malnutrizione.
Inoltre la crescente insicurezza alimentare è associata anche all’impossibilità di accedere a diete sane. In questo caso il sistema alimentare ricopre un ruolo rilevante, considerando la produzione, la distribuzione e il consumo. Il rapporto sostiene la necessità di un cambiamento nel sistema alimentare in senso più inclusivo e più sostenibile dal punto di vista ambientale.
Grande distribuzione dominante, lunghi percorsi di livello mondiale per far arrivare il cibo da un continente ad un altro, uso della chimica per ovviare alle interferenze ecologiche delle monocolture, ecc.; insomma una débâcle di livello internazionale.
In tutto ciò appare evidente come sia stato dimenticato, in una storia che dobbiamo superare prima possibile, un fattore fondamentale.
Innanzitutto, il diritto al cibo è fondamentale per la dignità umana. Ogni persona ha un diritto fondamentale alla vita e un diritto al necessario per vivere con dignità.
Non possiamo permettere che tanti nostri fratelli e sorelle, perché fuori dalle strategie liberiste (o peggio ancora vittime di queste) vadano a letto affamati.
Proprio la pandemia da Covid-19 ha messo ancor più in risalto storture ed ingiustizie sociali che periodicamente dimentichiamo, o ci infastidiscono, quando questi nostri fratelli e sorelle varcano i mari in cerca di un po’ di speranza.
Per questo è necessario un sistema alimentare nel mondo post-pandemia che deve garantire un approccio olistico che consideri le dimensioni economiche, ambientali, sociali, culturali e sanitarie del cibo. Questo include un profondo impegno nell’educazione al consumo di cibo ma anche alla protezione dei diritti di proprietà delle comunità povere e indigene, così come proteggere i “beni comuni”, quelle foreste e terre tradizionalmente gestite e condivise da un’intera comunità. Inoltre, è necessario costruire catene di rifornimento e distribuzione alimentare resilienti e sostenibili. Questo include la costruzione di infrastrutture che connettano i piccoli agricoltori con i mercati locali e nazionali (ed in questo non leggiamo nulla nell’attuale PNRR italiano). Bisogna poi promuovere diete sane e accessibili. Il cibo accessibile e nutriente deve essere disponibile per tutti.
Un linguaggio che è quello dell’Agroecologia e non dell’agroindustria.
Un linguaggio che vuole preservare le risorse per le generazioni presenti e future.
Bisogna passare a un modello circolare di produzione alimentare che rigeneri i sistemi naturali promuovendo una buona salute, migliorando gli ecosistemi naturali e proteggendo gli habitat naturali per sostenere la biodiversità.
Un sistema alimentare che deve anche essere inclusivo. Le donne, i giovani, i piccoli produttori e altri che ora sono esclusi e lasciati indietro hanno bisogno di un posto al tavolo quando vengono prese politiche e decisioni che li riguardano.
Tutti temi affrontati profeticamente da Papa Francesco, nella Laudato Sì, ma tenuti ancora tra le considerazioni di tipo romantico da una politica che deve uscire dal tunnel senza sbocco di questo liberismo che erode e corrode sempre più pianeta ed umanità.
Un modello antropico ad alta entropia che brucia e consuma tutto sul suo cammino, anzi che trasforma tutto in consumo e mercato.
Un modello sociale che ha preso pericolosamente le distanze dai principi fondamentali della dignità di ogni essere umano, del bene comune e della cura della nostra casa comune.
Purtroppo la discussione, anche a livello europeo, e quindi nazionale, non decolla su una visione più piena.
Alcune tematiche sono completamente escluse dai tavoli ufficiali e sono proprio quelle analizzate e presentate da molte parti della società civile come fondanti per i nuovi sistemi alimentari. Parliamo anche di sovranità alimentare, come base del diritto al cibo. Perché non basta assicurare un pasto: bisogna comprendere chi ha il controllo della terra, dell’acqua e delle risorse naturali.
Il cibo, se qualcuno lo avesse dimenticato, non è solo entità mercantile; ha un valore sociale, culturale, comunitario. I diritti umani sono alla base del sistema: l’accesso alle sementi e alla terra, alle risorse naturali, le conoscenze dei popoli, l’economia della cura, l’attenzione per i bisogni di umanità e pianeta sono l’unico futuro per tutti noi.
Qualcuno ha voluto scrivere un’equazione economica dimenticando la variabile più importante: la dignità umana. Senza di essa distruggiamo umanità e pianeta.

Guido Bissanti




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