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Biodiversità per le città del futuro

Biodiversità per le città del futuro

L’obiettivo 11 di Agenda 2030 si prefigge, entro questa data, il seguente obiettivo: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili.
In particolar modo l’obiettivo 11.4 è finalizzato a “Potenziare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo”.
Per la mitigazione delle emissioni, il contrasto al riscaldamento globale e per le migliori condizioni di vita dei cittadini, nelle città del futuro un ruolo importante lo giocherà la biodiversità; ma gli attuali modelli di sviluppo urbano spesso rafforzano la disconnessione tra uomo e natura.
Per questo motivo le città del futuro (che è già attualità per Agenda 2030) dovranno investire nella conservazione e nell’ampliamento degli ecosistemi naturali urbani.
Le città nel mondo sono responsabili di circa il 75% delle emissioni globali di gas serra (GHG): i trasporti, gli edifici, l’energia e la gestione dei rifiuti sono tra i maggiori contributori delle emissioni. Proprio le città, quindi, hanno un compito fondamentale da svolgere nella lotta contro il cambiamento climatico e nello sforzo globale per raggiungere l’obiettivo di una generazione a zero emissioni.
A maggior ragione perché oggi le città di tutto il mondo stanno subendo sempre più gli effetti del cambiamento climatico che genera periodi di siccità, innalzamento del livello del mare, ondate di caldo, frane e forti tempeste; infatti si calcola che almeno 130 città portuali con più di un milione di abitanti saranno colpite dalle inondazioni costiere e il miliardo di persone negli insediamenti urbani informali è particolarmente a rischio.
Molte città e comunità in tutto il mondo stanno già adottando misure per costruire la resilienza climatica e identificare percorsi efficaci per ridurre le emissioni di gas serra.
Uno studio realizzato da McKinsey’s “Thriving amid turbulence: Imagining the cities of the future, 2018” rileva che su 2.600 città analizzate a livello globale circa i due terzi sono soggetti a tre tipi di stress delle risorse:
– Cronico ovvero lo stress persistente di risorse idriche, energetiche e alimentari, endemico in alcune parti del mondo, si sta diffondendo rapidamente. Entro il 2030, si prevede che la domanda di acqua supererà drasticamente l’offerta in diverse città in India, Cina, Africa e Americhe. Entro il 2025, è probabile che anche molte città del mondo in via di sviluppo soffriranno di un approvvigionamento energetico insufficiente, a causa di un previsto aumento della domanda, nonché del basso accesso all’elettricità
– Acuto. Questo tipo di stress deriva dall’esposizione a eventi meteorologici ed è concentrato nelle città asiatiche e nelle città costiere delle Americhe. In particolare, la Cina costiera è a rischio di inondazioni e uragani, mentre l’India settentrionale è vulnerabile a inondazioni e siccità. La costa del Pacifico dell’America Latina è esposta alle inondazioni e gli Stati Uniti costieri devono fare i conti sia con gli uragani che con le inondazioni
– Sociale. Lo stress sociale può derivare da malgoverno, urbanizzazione eccessivamente rapida, distribuzione ineguale della ricchezza e disoccupazione giovanile.
Per invertire questa situazione le città devono programmare una serie di cambiamenti che così possiamo sintetizzare:
– Riprogrammare lo spazio urbano;
– Creare nuove infrastrutture verdi in ogni città;
– Sviluppare una nuova generazione di strumenti di gestione per l’acqua;
– Programmare un nuovo sistema di mobilità basato su bici piedi e mobilità pubblica;
– Sviluppare nuovi sistemi di riscaldamento basati solo sull’elettricità;
– Sviluppare una sharing city dei beni;
– Potenziare la mobilità su richiesta;
– Tornare a riprogettare la città per favorire l’inclusione sociale senza più subire i progetti;
– Avviare un’agricoltura sostenibile di tipo urbano (orti sociali ed altro).
In questo contributo ci soffermeremo sul punto: creare nuove infrastrutture verdi in ogni città.
Infatti, oltre a tutte le possibili innovazioni tecnologiche che potranno essere introdotte nelle città del futuro, un ruolo importante lo gioca la biodiversità; ma gli attuali modelli di sviluppo urbano spesso minano la biodiversità e rafforzano la disconnessione tra uomo e natura.
Gran parte delle città contribuiscono in larga misura al cambiamento dell’uso del suolo, al cambiamento climatico, alla deposizione di azoto e all’introduzione di specie invasive, che poi determinano la perdita di biodiversità.
Gli obiettivi di Agenda 2030, e le riforme costituzionali di molti Paesi del mondo, sulla conservazione e tutela della natura, ci impongono di investire invece nella conservazione degli ecosistemi naturali urbani per ridurre l’inquinamento atmosferico, la prevenzione delle inondazioni e l’adattamento ai cambiamenti climatici.
Secondo lo studio “Biodiversity and Health in the Urban Environment”, riguardo alla salute umana, esiste una letteratura relativamente ampia che identifica vari collegamenti tra la biodiversità urbana e la salute fisica.
Un meccanismo diretto per il ruolo benefico della biodiversità sulla salute umana è associato alla cosiddetta ipotesi della biodiversità relativa al microbioma. I microbi simbiotici all’interno del microbioma umano aiutano a spiegare lo sviluppo sano del sistema immunitario e il funzionamento sano dell’apparato digerente. La diversità del microbioma di un individuo è fortemente correlata al suo stile di vita, all’ambiente e alle caratteristiche di esposizione. Le persone che vivono nelle aree urbane tendono ad avere meno opportunità di entrare in contatto con microrganismi benefici sia attraverso la dieta, le vie respiratorie o i percorsi di esposizione cutanea.
Riguardo agli aspetti sociali gli ambienti ricchi di biodiversità, come i quartieri con più alberi, possono fornire un ambiente per l’interazione sociale con gli altri, che probabilmente ha un aspetto positivo nei confronti della coesione sociale.
Riguardo in ultimo alla salute mentale ci sono alcune prove che la ricchezza di specie di piante o animali può avere un’associazione positiva con la salute mentale e il benessere.
Per operare questa riconversione le città devono adottare 7 principi:
– Il primo principio è quello di identificare e proteggere le aree ad alta biodiversità (sia attuale che potenziale) all’interno e intorno alle città;
– Il secondo principio è mantenere o ristabilire la connettività tra aree di habitat per consentire il movimento degli animali e i propaguli di funghi e piante;
– Il terzo principio è quello di costruire caratteristiche ecologiche che possano fornire l’habitat per una gamma di specie animali e vegetali;
– I cicli: la gestione dei cicli biogeochimici a scala locale per migliorare la biodiversità negli ambienti urbani;
– Le interazioni biologiche tra cui competizione per le risorse, simbiosi, erbivori, predazione, impollinazione e parassitismo sono processi importanti che modellano la biodiversità di un determinato luogo;
– Nuova progettualità per modificare le pratiche e gli standard di progettazione attuali incorporando conoscenze ed evidenze ecologiche per aiutare a mitigare gli impatti associati all’ostilità delle strutture costruite;
– Nuove comunità ecologiche e nuovi ecosistemi caratterizzati dalla presenza di nuove combinazioni di specie autoctone ed esotiche, senza analoghi storici.
Tuttavia notiamo, da alcuni studi svolti in varie città del mondo e nelle politiche di vari paesi, che gli obiettivi verso questa transizione sono ancora vaghi, poco correlati e, purtroppo, ancora legati ad una scarsa coscienza sul tema.
Basti pensare a quello che si nota in molte città italiane, e cioè:
– cattiva gestione del verde pubblico, con la eliminazione spesso della vegetazione precedentemente inserita, con pratiche ingiustificabili di capitozzatura degli alberi, con ulteriore consumo di suolo invece che del suo recupero, ecc.
Evidentemente manca una classe politica sufficientemente conscia delle negative relazioni sociali, ecologiche ed economiche legate a questa inversa tendenza rispetto a quanto indicato da Agenda 2030.
Lo stesso PNRR, con i suoi bandi sembra non tracciare un obiettivo chiaro sulla biodiversità urbanistica, rischiando di sperperare fondi pubblici e di vanificare il motivo della sua istituzione.
Inoltre al di fuori del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza molte amministrazioni, continuano, con i pochi fondi a disposizione, ad adottare provvedimenti insufficienti se non, come detto, addirittura in controtendenza.
Eppure di fronte ai dati ufficiali, diramati da varie agenzie nazionali ed internazionali o da varie meta-analisi scientifiche, è oltremodo evidente che siamo di fronte ad una catastrofe ecologica senza precedenti nella storia del pianeta.
Circa il 25% delle 93.579 specie per le quali è valutato lo status di conservazione, è attualmente minacciato di estinzione – ovvero elencate nella Lista rossa Iucn (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) come vulnerabile, in pericolo o in pericolo critico). A essere minacciate a livello globale sono: il 41% delle specie di anfibi, il 13% delle specie di uccelli, il 7% delle specie di pesci ossei, il 25% delle specie di mammiferi ed il 19% delle specie di rettili (Rapporto Ipbes 2019). Sulla base delle Liste Rosse Iucn per l’Europa (la regione con i migliori dati), si stima inoltre che circa il 10% delle specie di insetti sia a rischio estinzione. In Europa il 9,2% delle specie di api, l’8,6% delle farfalle e il 17,9% di coleotteri saproxilici sono minacciati di estinzione regionale. Lo stesso Rapporto Ipbes (2019) riporta una situazione non migliore per le piante. A rischio sono il 36% delle dicotiledoni, il 17% delle monocotiledoni, il 40% delle gimnosperme ed il 16% delle pteridofite.
Il che, proprio se vogliamo guardare la cosa dall’aspetto che più è congeniale a questa cadente civiltà, cioè in denaro, è una vera e propria bancarotta.
Infatti come dichiarato poco tempo fa dall’ex presidente IPCC Robert Watson “Dalla perdita di biodiversità si hanno danni per 145mila miliardi l’anno”.
Un valore che dovrebbe scomodare le Corti dei Conti nazionali e mondiali per bocciare tutte le politiche e gli investimenti che vanno verso la catastrofe sociale ed ecologica.
Prima di immetterci in politica dovremmo fare forse un giuramento etico, preceduto da una lunga sensibilizzazione e formazione delle coscienze.

Guido Bissanti




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