Senza Ecologia Integrale non c’è futuro
Senza Ecologia Integrale non c’è futuro
La crisi che sta attraversando la storia attuale è un fenomeno a cui c’è una soluzione oppure ci stiamo incamminando lentamente ma progressivamente verso la fine di questa civiltà?
E, soprattutto, quali sono i fattori che stanno alla base di questa?
Siamo di fronte, ovviamente, a domande complesse ed a risposte apparentemente ancor più difficili.
Sullo sfondo però di questa crisi risuona come un mantra il concetto di “crisi ecologica”.
Una crisi da cui si può uscire, a condizione che ci sia ancora tempo, se l’approccio ideologico, e quindi culturale, prevalente di questa nostra civiltà si ponga nella maniera corretta.
Basti pensare che l’attuale preoccupazione di gran parte dei Governi, dei cosiddetti “Paesi sviluppati” è quello di superare la crisi con la cosiddetta “Transizione Ecologica” che è un remake di quel concetto di “Sviluppo Sostenibile” che tanta contraddizione e tanta incongruenza ha portato nelle politiche economiche ed ambientali dell’ultimo mezzo secolo.
Basti pensare che di Sviluppo Sostenibile si inizia a parlare nell’aprile del 1968, quando un ristretto gruppo di diplomatici, industriali e accademici provenienti da tutto il mondo si riuniscono in una villa romana, su invito dell’industriale Aurelio Peccei e dello scienziato scozzese Alexander King.
Nel 1972 il Club commissiona al Massachussets institute of technology (MIT) un primo rapporto, poi entrato nella storia, su “I limiti dello sviluppo”, conosciuto anche come Rapporto Meadows.
È il preludio alla lunga lista di conferenze intergovernative che porterà alla Conferenza di Stoccolma del 1972, al Rapporto Brundtland del 1987, dove viene sancito almeno in maniera ufficiale il concetto di Sviluppo Sostenibile, ed a tutte le conseguenti Conferenze internazionali che da quella di Rio del 1992, in poi, hanno contraddistinto la storia più recente.
La domanda è: cosa è cambiato a livello sociopolitico? Praticamente quasi nulla se non un aggravarsi delle questioni sociali, ambientali e, non certo ultime, delle continue guerre e guerriglie che costantemente insanguinano i territori dei popoli più poveri ma, ironia della sorte, nati su luoghi spesso ricchi di giacimenti e risorse.
Va detto subito che l’attuale stato di fatto non è una crisi ambientale (questo è l’effetto tangibile) ma è una crisi dell’essere umano rispetto al suo limite filosofico ed intellettuale di non comprendere che non si possono superare i limiti naturali attraverso la tecnica, cosa che ci ha condotti a costruire una frattura profonda fra esseri umani e natura.
Tale errore si sta infatti perpetrando nel concetto di Transizione Ecologica che, come accennato, è solo il tentativo di una transizione verso un modello tecnologico diverso ma che non coinvolge i costumi, i rapporti, le connessioni tra civiltà umana ed ambiente; in poche parole una civiltà non sincrona con i principi della Natura e, pertanto, ancora in conflitto con essa.
Di fronte a questo scenario, irrisolvibile in questi termini, va detto che l’errore di fondo è di natura ideologico e dallo sguardo miope in quanto né la politica e, troppo spesso, anche la scienza non hanno mai affrontato la questione con un approccio complesso ed integrale.
Siamo di fronte ad una crisi che, ancor prima, è culturale. Un vuoto che non riusciamo a colmare in quanto siamo entrati nello stordimento delle parole: progresso, sviluppo, ricchezza, ecc., senza che a queste corrisponda qualcosa di reale e concreto e, soprattutto, senza un valore intrinseco.
Abbiamo costruito un modello economico finanziario che già, di per se, puzza di imbroglio.
Basti pensare al sistema economico mondiale che, nato all’indomani degli Accordi di Bretton Woods del 1944, che sancirono di fatto l’inizio di un modello finanziario liberista, disancorato dalle capacità patrimoniale del pianeta e culminati nel 1971 con lo Smithsonian Agreement del 1971, sotto il Governo Nixon (guarda caso uno dei presidenti meno amati dagli americani).
Senza entrare nel dettaglio di tali accordi bisogna però dire che tutto ciò ha portato ad un sistema economico-finanziario in disaccordo con le rigide strutture ed i principi dell’ecologia e della termodinamica dei processi naturali.
In questo modo il sistema economico dei cosiddetti paesi ricchi si è allontanato sempre di più dai binari di una corretta ecologia triturando sotto di se tutto: diritti, principi, valori, ideali.
Per dirla con parole semplici, il sistema economico liberista si basa su un concetto di mondo illimitato, a moto perpetuo e ad espansione infinita; il sistema ecologico è invece ed indissolubilmente legato ai principi della termodinamica (che è l’economia del sistema spazio-tempo) e che, in estrema sintesi, si muove su un piano con limiti ben definiti, di natura inerziale (non esiste il moto perpetuo) e con entropia crescente.
Per dirla in termini ancora più poveri ma comprensibili a tutti, l’ecologia si basa su un’economia condivisa tra tutti (dagli esseri più microscopici ai grandi fenomeni della natura), l’economia liberista fa dell’assoggettamento, dello sfruttamento, del colonialismo mercantile (e non solo) il suo credo e la sua bibbia.
In questa direzione una delle poche voci, ma sicuramente la più autorevole, che si è alzata contro questa cultura di morte (come l’aveva chiamata Giovanni Paolo II) è quella di Papa Francesco nel concetto di “Economia Integrale” contenuto nella sua enciclica “Laudato sì”; l’unica che rappresenta una soluzione importante che molti continuano a non comprendere (o a voler ignorare).
Infatti nonostante sia molto semplice (e quasi elementare nei suoi principi – come lo è la Natura) essa è molto difficile da mettere in pratica, perché richiede un profondo cambiamento e, proprio il cambiamento, metterebbe in discussione tutto quello che abbiamo costruito fino ad oggi.
Per fare un altro esempio, che spesso argomento, non possiamo pensare di continuare a produrre cibo effettuando un vero e proprio genocidio ecologico (con una perdita di fertilità e di biodiversità raccapricciante) quando da anni si conoscono oramai i principi per un modello di produrre cibo e di distribuirlo rispettando l’ecosistema, le sue regole ed i diritti di chi lavora la terra, spesso calpestati. Da esso nascono nuove schiavitù, nuove deportazioni (questa volta indotte con le grandi fughe e migrazioni dei poveri) e grandi devastazioni ecologiche.
Di fatto il modello liberista è un modello bellico e conflittuale (vestito in abito da sera) che non prefigura nulla di buono.
Questo sistema sta generando rapporti sociali che stanno incrinando sempre più i rapporti fra gli Stati, accelerando una corsa agli armamenti per garantire l’approvvigionamento di risorse per questa macchina industriale, e provocando, in nome del liberismo, una competizione per la conquista del potere che è poi quello che è stato alla base dei due conflitti mondiali. Proprio la fine della Seconda Guerra Mondiale, con l’esplosione delle bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, ha chiarito a tutti che la tecnologia poteva non essere più al servizio del bene comune dell’umanità, ma era in grado di distruggere l’esistenza dell’essere umano sulla terra.
Non si esce da questa bugia liberista se non si affronta la questione nell’ottica di quella Ecologia Integrale dove o c’è rispetto per tutti o non c’è futuro per nessuno.
Non c’è civiltà futura se non iniettiamo il vaccino del virus della convivenza. Non possiamo produrre cibo se per farlo dobbiamo devastare con insetticidi e diserbanti interi ecosistemi; non possiamo mantenere il sistema liberista industriale se per farlo, ad esempio, dobbiamo soggiogare i popoli del Congo nell’estrazione del cobalto che alimentiamo (nessuno escluso) ogni qualvolta cambiamo il telefonino.
Non possiamo pretendere di risolvere la crisi ecologica (che è ancor prima sociale e dei diritti) se non disarmiamo questa folle economia.
Per questo motivo dobbiamo cambiare atteggiamento, sistema conflittuale (sempre più aspro anche tra le singole persone), paradigma di sviluppo.
In tutto questo dobbiamo sfatare anche le false preoccupazioni avvalorate dai grandi interessi (banche in testa) e dalle grandi multinazionali che continuano a proporre soluzioni tecnologiche argomentando che sono le uniche per risolvere questioni come: fame nel mondo, disponibilità energetiche, risorse, ecc. È una menzogna facilmente confutabile facendo alcuni bilanci termodinamici ed energetici.
Esistono le risorse, i terreni, le energie, per far vivere sulla terra molte più persone (basta cercare anche su internet parecchie pubblicazioni in tal senso) ma non con questo modello economico figlio di una cultura malata; la stessa cultura che ha provocato in nome dello sviluppo e del liberismo colonialista i vari genocidi; atti che hanno cancellato spesso intere civiltà.
Non per niente, sempre Papa Francesco, proprio nel 2021, ha fatto seguire un’altra Enciclica dal titolo “Fratelli tutti”; anche questa forse poco letta e meno capita che mette al centro un diverso rapporto “politico ed economico” tra i popoli, generato dagli stessi principi su cui si regge la Natura e, quindi, universale.
Adesso tocca a noi, tutti insieme, comprendere che non si fa politica, scienza, cultura e così via, fuori dalle regole e dai principi della Natura: questa volta vestiti da samaritani e non da ambientalisti.
Adesso bisogna soprattutto diffidare di chi fa dello scontro, dell’odio, dell’arroganza, della divisione e della discriminazione il fondamento del suo linguaggio o del suo attivismo.
Abbiamo bisogno di costruttori, di un silenzio laborioso, di abbassare i toni e di alzare lo sguardo verso una nuova visione della Storia.
Non esiste nessun complotto (con buona pace di quanti lo pensano) ma una grande deviazione ideologica sulla verità della Vita, costantemente e continuamente calpestata in nome di una dottrina vuota e subdola che vuole dividere il mondo in due categorie: i produttori ed i consumatori e per farlo, appiattendo tutto, in primis le coscienze.
A fronte di questa bugia che appiattisce ed annulla tutto e tutti è la stessa Natura che con la sua crisi sta chiarendo questo grande errore ideologico e culturale.
Si esce da questa crisi ponendo l’umanità al centro e non come corollario di un ambientalismo vuoto e fatto di pezzi scollegati.
Tutto ciò pretende un cambio di paradigma, una “Conversione Ecologica” che richiede un cambio culturale fondamentale, non ultimo dal punto di vista economico. Bisogna cambiare la visione utilitaristica dell’essere umano e rigettare come nefasta la tentazione di uniformare globalmente le diverse culture (ecologia sociale), che sono preziose come le specie animali e vegetali.
Basti pensare alle varie etnie distrutte, così come all’Amazzonia e ai suoi abitanti, quotidianamente annientati dalla cultura dello sfruttamento economico delle risorse.
Una cultura dell’economia e politica occidentale che è fondata sulla convinzione che ci sia un diverso valore fra le persone e le culture (e anche tra i diversi esseri viventi), che ci siano culture da scartare in quanto non meritevoli di rispetto ed esseri viventi sacrificabili (insetti, uccelli, piante, ecc.). I poveri divengono vittime del sistema a cui si piega anche il diritto: da strumento per costruire e garantire il bene comune a strumento di oppressione degli ultimi.
Parole come amore, prossimo, fratellanza, vicinanza, ecc. sono state trasformate in qualcos’altro o hanno perso completamente significato.
È giunto il momento di guardare la realtà che ci circonda, di rialzarci, di riprendere il cammino ma tutti nella stessa direzione.
La fune della vita si sta spezzando e se non crediamo nel futuro facciamolo almeno per noi. Questo è l’unico egoismo che possiamo praticare.
Guido Bissanti