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L’Agricoltura nella antica Cina – XI

L’Agricoltura nella antica Cina – XI parte

Segue dalla X parte

Per superare questo problema in certi casi si è affermata una nomenclatura convenzionale, come nel caso della seminatrice. Il testo intitolato Spiegazione delle figure e interpretazione dei caratteri (Shuowen jiezi, compilato da Xu Shen nel 121 d.C.) contiene per la seminatrice i seguenti termini: lou, trivella; hui, definito nel commento come ‘aratro a sei rebbi’; e hui, definito come ‘trivella per seminare’ (zhonglou).
L’agronomo del II sec. Cui Shi usa esclusivamente il termine lou affermando che nelle diverse regioni erano in uso seminatrici a uno, due o tre tubi (dujiao, liangjiao e sanjiao lou), ma che egli riteneva più efficiente la versione a un solo tubo. Jia Sixie si riferisce alla seminatrice invece con i nomi di lou e louli, ‘aratro-trivella’. Wang Zhen, un agronomo che visse nel periodo Yuan (1279-1368), nel suo Trattato di agricoltura (Nongshu) cita l’esempio di queste due autorità; egli chiama la seminatrice louche e aggiunge che ai suoi tempi il modello più diffuso nelle pianure settentrionali era quello a due tubi, mentre nelle regioni nordoccidentali era più comune una versione a quattro tubi. In epoca Song e Yuan il termine che, letteralmente ‘carro’, era usato per indicare tutti quegli strumenti o macchine azionati da un asse, dai carri sino alle macchine per dipanare la seta e alle pompe idrauliche; in questo caso l’uso del temine che si riferisce al fatto che la seminatrice disponeva di un telaio ed era trainata da un animale. Wang Zhen elenca altri tre nomi vernacolari contemporanei della seminatrice: louli (già usato da Jia Sixie), zhongshi (‘piantatrice-seminatrice’) e jiangzi (‘rincalzatrice’).
La persistenza del termine lou come elemento chiave di tutti i nomi utilizzati per designare la seminatrice probabilmente è legato al largo uso nel linguaggio parlato; d’altra parte, essendo noti almeno due casi in cui questo utensile era stato introdotto in una regione da pubblici funzionari che lo designavano con il termine lou, si può ipotizzare che la sanzione ufficiale dell’uso di lou, in luogo di hui o jiang, sia stata determinante per l’affermazione definitiva di questa parola, tanto nella lingua colta quanto in quella parlata.
Bisogna considerare, inoltre, che all’epoca in cui Jia scrisse il suo libro, molti termini essenziali del vocabolario agronomico si erano già stabilizzati. Nella maggior parte dei casi, infatti, Jia non fornisce alcuna spiegazione delle parole tecniche usate, cosa che fa ritenere che questi termini fossero oramai di uso comune.
Gran parte della terminologia adottata da Jia e dai suoi predecessori è in effetti tuttora usata, ma in alcuni casi i termini tecnici di uso corrente al tempo delle Tecniche essenziali per il popolo sarebbero divenuti in seguito obsoleti. Uno degli utensili preferiti da Jia, chiamato feng, era un attrezzo manuale affilato e appuntito, usato per estirpare le piante di miglio secche, interrare le giovani piante e dissodare il terreno incolto, ma Wang Zhen, scrivendo all’inizio del XIV sec., affermava: “gli agricoltori moderni non sanno di che strumento si tratti, né riconoscono questo nome” (Nongshu, ed. 1991, 13, p. 5r).
È probabile che il feng non fosse scomparso, ma aveva semplicemente cambiato nome, poiché in epoca Yuan le stesse funzioni erano svolte da un attrezzo chiamato tieta (‘zappa dalla punta di ferro’), tuttora usato in Cina con lo stesso nome.
Se seguirai le ‘stagioni del cielo’ (tianshi) e valuterai accuratamente il potenziale della Terra, allora mieterai molto con poca fatica, ma se agirai con caparbietà e ti opporrai alla via del cielo, allora, anche se lavorerai duramente, non raccoglierai nessun frutto. (Chi si tuffa in una sorgente in cerca di legna o si arrampica sui monti per pescare, tornerà a casa a mani vuote. Spruzzare acqua controvento o far rotolare una palla in salita, questo significa agire in circostanze sfavorevoli). (Qimin yaoshu jinshi, 3.2, p. 2).

Cosa intendeva di preciso con le “stagioni del cielo”? Sicuramente Jia intende indicare gli stadi successivi del ciclo annuale di trasformazioni del mondo naturale; è possibile, in alternativa che per “stagioni del cielo” intendesse i complessi cicli di crescita e declino descritti nella teoria yin-yang e in quella delle Cinque fasi, che mettevano in relazione i mutamenti del microcosmo con quelli del macrocosmo?
Nell’antica cultura agricola cinese, era importante non sbagliare la scelta dei tempi; tuttavia la decisione più importante di tutte era certamente quella della data della semina; infatti, mentre è impossibile sbagliarsi quando si tratta di decidere se il grano è maturo o è tempo di cogliere la frutta dagli alberi, la semina è il momento simbolico in cui si dà vita ai semi, e un errore di valutazione significa in questo caso una crescita stentata, un magro raccolto, la prospettiva della fame.
Così, mentre nei tempi antichi la data della semina del miglio era decisa da un atto di divinazione reale, verso la fine della dinastia Zhou esistevano alcuni calendari chiamati yueling, ‘ordinanze mensili’, che collegavano le attività umane ai ritmi della Terra e del Cosmo. Le ‘ordinanze mensili’ contenevano i riti, le cacce, le attività domestiche e agricole permesse in ciascuno dei dodici mesi lunari di trenta giorni, insieme a segnali fenologici come la configurazione delle stelle, la fioritura di alcune piante o il canto di certe specie di uccelli; è interessante notare come una delle funzioni principali di questi calendari era quella d’indicare la data per la semina dei diversi tipi di piante coltivate. Le date fornite dai calendari per le diverse operazioni agricole, tuttavia, per la vastità del Paese e per le differenze altimetriche, avevano validità locale.
Stabilendo comunque un legame tra certe attività umane e la fioritura dell’acoro o l’inizio dei lampi di primavera, le ordinanze mensili potevano però trasmettevano le informazioni richieste in una forma applicabile in qualsiasi regione, a condizione di non prendere alla lettera le date fornite.
Nei testi del periodo Han le date per la semina erano indicate in certi casi non in base ai mesi del calendario lunare, ma in relazione ai solstizi o ai ‘ventiquattro termini quindicinali’ (qi) del calendario solare; in questo modo, poiché l’anno lunare era lungo soltanto 360 giorni, le date solari erano indicatori più affidabili delle stagioni.
Il Libro di Fan Shengzhi, che è stato possibile ricostruire dalle numerose citazioni pervenuteci, indicava con grande precisione le date solari per la semina; per esempio, il miglio glutinoso a pannocchie doveva essere seminato venti giorni prima del solstizio estivo in caso di pioggia, mentre la semina del frumento invernale doveva avvenire settanta giorni dopo il solstizio estivo. Anche Fan fa ricorso agli indicatori fenologici, secondo i quali, per esempio, la semina dei fagioli doveva avvenire quando i frutti dell’olmo iniziavano a formarsi e quella delle lenticchie quando le more dei gelsi erano mature; per la più importante delle messi, Fan afferma: “Non esiste una data stabilita per la semina del panìco, perché la stagione dipende dal tipo di terreno” (Fan Shengzhi shu, 4, p. 1); allo stesso tempo, Fan consiglia di attenersi strettamente ai computi cosmologici della scuola Yin-yang, relativi ai giorni infausti: “Evita di seminare i fagioli nei giorni mao, il riso e la canapa nei giorni chen, il miglio glutinoso in quelli chou [rispettivamente il quarto, il quinto e il secondo giorno del ciclo di dodici giorni] […]: i nove cereali hanno tutti i loro giorni infausti e se non osserverai queste regole nel seminare, il raccolto ne sarà gravemente danneggiato.
Queste non sono parole vane, ma le inevitabili conseguenze della Natura” (ibidem, 2, p. 1).

Guido Bissanti

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