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Incremento della biodiversità e stabilità degli agroecosistemi

Incremento della biodiversità e stabilità degli agroecosistemi

La natura aumenta la sua complessità e reciprocità per migliorare nello spazio e nel tempo la sua efficienza energetica (fotosintesi, scambio di metaboliti, produttività primaria, ecc.). Tale assunto è confermato dai molteplici lavori affrontati, tra la seconda metà del secolo scorso e l’inizio di questo, con lo studio delle strutture dissipative (quali sono anche gli ecosistemi) da vari autori (Prigogine I., Nicolis G. 1982, Zhang H., Wu J. 2002).
L’incremento della diversità dei sistemi agricoli, forestali e zootecnici, oltre a conferire maggiore stabilità agli agroecosistemi influisce positivamente sugli ecosistemi sociali. All’aumento della biodiversità è legato anche un incremento dell’informazione associata. In tale condizione il sistema agroalimentare assicura un più equilibrato e variegato rapporto dietetico e nutrizionale e quindi migliori requisiti per la salvaguardia della salute dei consumatori.
Tra l’altro la buona qualità del cibo che mangiamo è indispensabile non solo per il mantenimento dello stato di salute, ma altrettanto indispensabile per il rispetto della terra e delle buone pratiche di produzione. Un rapporto biunivoco che pretende un’agricoltura attenta e consapevole che allo stesso tempo può svolgere un importante ruolo di tutela e valorizzazione dell’ambiente, della biodiversità, del territorio e della sua vivibilità (Schiavone F. 2018).
Inoltre la diversità vegetale fornisce potenzialmente un sostituto parziale o completo di molti input agricoli costosi, come fertilizzanti, pesticidi, impollinatori importati e irrigazione.
In futuro si prevede che i benefici della diversificazione degli agroecosistemi saranno maggiori laddove l’obiettivo è quello di intensificare in modo sostenibile la produzione riducendo al contempo gli input convenzionali o di ottimizzare sia i rendimenti che i servizi ecosistemici. Nei prossimi decenni, poiché i rendimenti delle monocolture continuano a decelerare o a diminuire per molte colture, e poiché la domanda di servizi ecosistemici continua ad aumentare, la diversificazione potrebbe diventare uno strumento essenziale per sostenere la produzione e i servizi ecosistemici nelle terre coltivate, nei pascoli e nelle foreste produttive (Isbell F. et al. 2017).
I sistemi agricoli con maggiore biodiversità e, soprattutto, con coltivazione o allevamento di specie e razze autoctone presentano, pertanto, una maggiore stabilità e resilienza, specialmente in un periodo caratterizzato da rapidi cambiamenti climatici.
Purtroppo la diffusione della monocoltura ha portato all’abbandono delle pratiche agricole tradizionali; così un gran numero di varietà di piante e razze di animali sono silenziosamente scomparse provocando una estinzione silenziosa della biodiversità agricola che, in alcune condizioni, diviene irreversibile almeno nel breve periodo.
La riconversione delle antiche tecniche di coltivazioni verso i classici campi a monocoltura dell’agricoltura intensiva ha richiesto, inoltre, un apporto sempre più crescente di input esterni (fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, acqua, ecc.); fattori che hanno contribuito alla erosione della biodiversità naturale (insetti, mammiferi, specie vegetali, ecc.).
Inoltre, come riporta ISPRA sul suo sito ufficiale, su scala globale, il principale fattore di perdita di biodiversità animale e vegetale è legato alla distruzione, degradazione e frammentazione degli habitat, a loro volta causati sia da calamità naturali (ad esempio: incendi, eruzioni vulcaniche, tsunami, alluvioni, ecc.) sia e soprattutto da profondi cambiamenti del territorio operati dell’uomo. Così molte foreste ed aree selvatiche sono state distrutte per prelevare piante o parti di piante per l’industria farmaceutica o cosmetica; anche nei paesi ricchi e più industrializzati continua la perdita di biodiversità per via della distruzione di habitat naturali o semi-naturali, per costruire aeroporti, centri commerciali, parcheggi, abitazioni. A farne le spese sono la campagna, il bosco, l’area umida, la prateria. Secondo la FAO, negli ultimi dieci anni si sono distrutti mediamente 13 milioni di ettari di foreste all’anno (una superficie pari a quella della Grecia). In più altri milioni di ettari ogni anno sono degradati dal prelievo di legname, dalla costruzione di miniere, dighe, strade, ecc.
La graduale trasformazione degli agroecosistemi ha generato sistemi produttivi estremamente semplici ed omogenei (spesso con una sola varietà coltivata su ampissime superfici); in queste condizioni c’è sempre meno spazio per la biodiversità agricola e tale contesto è divenuto fattore di alterazione di tutti i rapporti biotici con altri organismi che, di conseguenza, interferiscono con i normali rapporti di popolazioni e di distribuzione. Questa condizione si rende visibile soprattutto nelle elevate infestazioni di insetti, funghi, erbe indesiderate che richiedono ulteriori interventi da parte degli agricoltori con un circolo vizioso di impossibile risoluzione.
Questo errore ecologico ha determinato così il crescente inquinamento degli agroecosistemi, la perdita di fertilità, la diminuzione dei rendimenti energetici e, infine, l’impoverimento di interi comprensori ecologici e sociali, anche per via dell’esodo degli agricoltori dalle campagne o dai piccoli centri abitati.
Questa evidenza, sempre più manifesta, soprattutto negli ultimi tempi, ha indotto molti agricoltori ed il mondo della ricerca all’individuazione di modelli produttivi alternativi, basati sull’agroecologia, che si vanno affermando in varie parti del mondo.
Tutto ciò sta conducendo alla riscoperta di sistemi agricoli tendenti a recuperare e a migliorare non solo le antiche tradizioni contadine ma anche ad una revisione della ricerca e delle ricadute tecniche e pratiche del ruolo della biodiversità negli agroecosistemi.
L’agroecologia, pertanto, si pone l’obiettivo di riconvertire gradualmente i sistemi agricoli che, in gran parte del pianeta, sono nati con la cosiddetta rivoluzione verde, processo che, in molti casi, si era posto in netta contrapposizione alla cosiddetta agricoltura tradizionale, che aveva caratterizzato la nostra storia fino agli inizi del novecento ed oltre. Per fare questo è indispensabile l’apporto di una nuova classe di agricoltori che ponga attenzione alla biodiversità dei propri territori, riscoprendola e rivalorizzandola (Macellari E. 2021).
Bisogna infatti ricordare che nella creazione della biodiversità agricola hanno avuto un ruolo chiave i contadini che hanno domesticato le colture e le hanno diffuse su areali sempre più ampi, portandole con loro nelle migrazioni. Questa dispersione dai centri di origine, legata all’attività dell’uomo, ha giocato il ruolo maggiore nel diversificare le sementi, rendendole maggiormente adattabili alle differenti condizioni ecologiche ed ambientali.
Dovunque le piante sono state portate, sono state modificate dall’ambiente e dai metodi colturali adottati dalle diverse civiltà.
La graduale e certosina opera di selezione dell’ambiente naturale e culturale ha avuto come prodotto la costituzione di varietà locali (landraces), termine che sottolinea la loro distinzione dalle varietà moderne.
Infatti, le prime sono il frutto di un processo di adattamento localizzato e quindi sono estremamente diversificate tra loro; quelle moderne sono state invece selezionate per poter utilizzare la stessa varietà in ambienti diversi, richiedendo di frequente tecniche di agricoltura intensiva, e presentandosi spesso con una forte omogeneità genetica.
Alla diminuzione delle varietà di sementi e di razze si è accompagnata, purtroppo, una perdita graduale dei saperi collegati. I contadini, che storicamente avevano coltivato determinate varietà o razze, erano a conoscenza dei complessi fattori che incidevano sui loro cicli biologici, avendo acquisito così anche i saperi per gran parte delle avversità che di volta in volta si presentavano.
Scomparse queste varietà e razze gli agricoltori moderni si sono trovati a gestire un materiale genetico e delle tecniche che non erano frutto di un sapere, spesso accumulato nei secoli, e con la necessità di far ricorso ad una serie di input esterni, aumentando, tra l’altro i costi dei processi produttivi e perdendo, nel contempo, le particolari conoscenze utili alla gestione di condizioni ordinarie o straordinarie.
Sistemi agricoli, zootecnici e forestali, e loro sinergie, devono ripartire, pertanto, da un’attenta riprogettazione delle loro dinamiche, coinvolgendo al loro interno criteri di incremento della biodiversità degli stessi, sia nello spazio che nel tempo (consociazioni e rotazioni), e rapportando l’aumento della diversità delle produzioni agro-silvo-pastorali ad un nuovo sistema di mercato, molto più integrato con le popolazioni locali (sovranità alimentare) e con necessità nutrizionali di più elevato livello qualitativo ed organolettico.
La biodiversità negli agroecosistemi offre numerosi benefici. Ad esempio, una maggiore diversità di colture favorisce la resistenza alle malattie e alle infestazioni di parassiti, riducendo così la necessità di pesticidi e migliorando la salute delle piante. Allo stesso tempo, la presenza di insetti impollinatori e predatori naturali contribuisce a controllare le popolazioni di insetti fitofagi e migliorare la qualità del raccolto.
Inoltre, una maggiore biodiversità vegetale favorisce la conservazione del suolo, riducendo l’erosione e migliorando la sua fertilità. Le radici delle diverse piante possono penetrare a diverse profondità nel suolo, favorendo la struttura del terreno e il riciclaggio dei nutrienti. La presenza di organismi del suolo come batteri, funghi e lombrichi è anch’essa essenziale per la salute del suolo e la decomposizione della materia organica.
La biodiversità negli agroecosistemi può essere promossa attraverso varie pratiche agricole sostenibili. Alcuni esempi includono la rotazione delle colture, l’agricoltura di precisione, l’uso di colture di copertura (cover crops) e la conservazione degli habitat naturali nelle aree agricole. Inoltre, l’adozione di metodi agroecologici, che riducono l’uso di prodotti chimici sintetici e promuovono la gestione integrata delle risorse, favorisce la diversità biologica e la stabilità degli agroecosistemi.
È importante sottolineare che la promozione della biodiversità negli agroecosistemi non solo apporta notevoli benefici all’ambiente, ma contribuisce a creare vantaggi economici per gli agricoltori. Ad esempio, una maggiore diversità di colture può portare a un maggiore reddito, grazie alla vendita di prodotti diversificati e alla riduzione dei costi associati all’uso di pesticidi e fertilizzanti e, comunque, di input esterni.
In conclusione, l’incremento della biodiversità è cruciale per garantire la stabilità degli agroecosistemi. Promuovere la diversità vegetale e animale, attraverso pratiche agricole sostenibili, migliora la resilienza degli agroecosistemi alle perturbazioni ambientali e contribuisce a una produzione alimentare sostenibile di lungo termine.

Guido Bissanti




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