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Agroecologia ed efficienza ecologica

Agroecologia ed efficienza ecologica

Senza le conoscenze profonde degli studi energetici dei sistemi ecologici non è possibile affrontare l’ambito complesso dell’agroecologia.
L’organizzazione degli ecosistemi risponde sia ad un criterio di efficienza della trasformazione dell’energia che di accumulo in forme più stabili della stessa.
Gli ecosistemi sono dei veri e propri accumulatori di energia sotto forma biochimica. La maggior complessità degli stessi aumenta allo stesso tempo sia il rendimento della trasformazione che la capacità dei singoli organismi di scambiarsi aliquote energetiche in forme a minor livello entropico. In definitiva, in presenza di maggiore biodiversità, l’aliquota di trasformazione di energia a proprio carico diminuisce e con essa, di conseguenza, anche l’entropia prodotta.
Questo espediente della Natura “risolve”, nel suo integrale, l’impossibilità dei singoli esseri viventi di “nutrirsi” di una forma di energia instabile ma di farlo attraverso le varie forme elaborate nella catena trofica.
Per comprendere questa funzione è stato introdotto il concetto di produttività primaria di un ecosistema, cioè quella capacità dello stesso di operare questa fondamentale catena di trasformazioni.
Il concetto di produttività primaria diviene così il parametro di riferimento attorno al quale comprendere non solo lo status di un ecosistema ma anche le caratteristiche che devono avere gli ecosistemi artificiali, cioè quelli costruiti dall’uomo, tra i quali i sistemi agroforestali.
In tal senso il parametro oggetto di valutazione non è più la resa produttiva di una singola coltura ma dell’intero sistema (biomasse, fertilità, suolo, acqua, aria, ecc.). In un sistema specializzato possiamo avere infatti, come succede spesso e di frequente nelle monocolture, alte rese produttive di una specie ma basse capacità di trasformazione delle energie apportate e quindi, in definitiva, bassi rendimenti di processo.
L’agroecologia non cambia pertanto i principi dell’agronomia ma li pone in relazione a questioni energetiche ed al loro bilancio e valutazione. In tal modo le scelte agronomiche vanno poste sul piano della stabilità degli ecosistemi, nell’ottica della loro capacità di rigenerazione nel lungo periodo.
In questa direzione diviene fondamentale, altresì, la valutazione degli Indicatori di Biodiversità per la sostenibilità in agricoltura, cioè di quei parametri per comprendere e valutare la qualità degli agroecosistemi (Caporali F. et al. 2008).
Gli indicatori di biodiversità vengono utilizzati per valutare e monitorare la diversità biologica di un ecosistema, di una regione o, al limite, di tutto il pianeta. Essi aiutano a fornire informazioni quantitative sull’abbondanza, la distribuzione e la varietà delle specie, nonché sulla struttura e sul funzionamento degli ecosistemi. Gli indicatori sono quindi utili strumenti per misurare i cambiamenti nel tempo della biodiversità.
Entrando nello specifico dei sistemi agricoli questi indicatori ci aiutano a comprendere al meglio la riqualificazione di questi e la loro capacità di assolvere in maniera ottimale al ruolo energetico che gli compete ed alle relazioni con l’intero ecosistema naturale e sociale.
Gli indicatori di biodiversità in agricoltura rappresentano degli imprescindibili strumenti utili a misurare e valutare il livello di biodiversità presente in un determinato ambiente agricolo. Questi indicatori sono essenziali per monitorare gli impatti delle pratiche agricole sull’ecosistema, identificare potenziali problemi e sviluppare strategie per promuovere la biodiversità. Alcuni esempi di indicatori di biodiversità in agricoltura includono:
– diversità delle colture; misura il numero di diverse specie coltivate in un’area agricola. Una maggiore diversità delle colture può aiutare a proteggere contro le malattie, migliorare le rese e aumentare la resilienza dell’agricoltura alle variazioni ambientali;
– rotazione delle colture; valuta la frequenza con cui le colture vengono cambiate su una determinata area nel corso degli anni. Una rotazione delle colture ben strutturata aiuta a mantenere la fertilità del suolo, riduce l’incidenza di parassiti e malattie e favorisce la diversità biologica;
– indicatori di suolo; misurano la salute e la biodiversità del suolo, come il numero di organismi del suolo, la presenza di microrganismi e la struttura del terreno. Un suolo sano supporta una maggiore biodiversità di piante e animali;
– biodiversità degli insetti; valuta la diversità e l’abbondanza di insetti utili, come api, farfalle e predatori, che svolgono un ruolo cruciale nella polinizzazione delle colture e nel controllo dei parassiti;
– biodiversità degli uccelli e degli animali selvatici; monitora la presenza e la varietà di specie di uccelli e animali selvatici nelle aree agricole. Questi animali possono essere importanti alleati in agroecologia, contribuendo al controllo delle popolazioni di parassiti e alla promozione e tutela della diversità delle piante;
– utilizzo di pesticidi; misura l’uso di pesticidi nell’ambiente agricolo. Un uso eccessivo di pesticidi ha un impatto negativo sulla biodiversità, danneggiando insetti utili, uccelli e altri organismi;
– habitat naturali e infrastrutture ecologiche; valuta la presenza di habitat naturali, come boschi, siepi, stagni e aree umide, all’interno o intorno alle aree agricole. Queste infrastrutture ecologiche possono fungere da corridoi e rifugi per gli animali selvatici e favorire la biodiversità;
– consumo di acqua ed energia; monitora il consumo di risorse naturali come acqua ed energia nell’agricoltura. Un uso efficiente di queste risorse può contribuire a preservare e promuovere l’habitat naturale e la biodiversità.
L’uso combinato di diversi indicatori può fornire una visione più completa di un sistema agricolo e aiutare a sviluppare pratiche più sostenibili e rispettose dell’ambiente, implementando sistemi di dissipazione dell’energia utile molto più efficienti e diminuendo, al contempo, il feedback o retroazioni del sistema stesso.
Questa revisione concettuale, come vedremo in seguito, cambia completamente le soluzioni da adottare per portare a buon compimento, e quindi ad una stabilità di lungo periodo, una produzione agricola, zootecnica o silvicola.
In tal senso sono state fondamentali le ricerche del chimico Russo Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica del 1977, sui sistemi dissipativi (quali sono appunto i sistemi ecologici).
Nel 1979 Prigogine pubblica insieme a Isabelle Stengers, una chimica Belga specializzata in Filosofia della scienza, il libro: La Nouvelle Alliance. Metamorphose de la science; il punto di partenza delle loro argomentazioni sono le strutture dissipative. Successivamente, sempre su tale argomento, nel 1982, insieme a Grégoire Nicolis, fisico di origine Greca, pubblica il libro: Le strutture dissipative – Auto organizzazione dei sistemi termodinamici di non equilibrio.
Al di là delle notevoli ricadute filosofiche sulla comprensione del mondo, il merito, soprattutto di Prigogine, è stato quello di portare l’attenzione degli scienziati verso il legame tra ordine e dissipazione dell’energia, discostando lo sguardo dalle situazioni statiche e di equilibrio generalmente studiate fino ad allora e da cui è nata anche la visione statica dei sistemi ecologici e dei sistemi produttivi agricoli intensivi.
Prigogine, col suo metodo di analisi, ha contribuito notevolmente alla nascita di quella che oggi viene chiamata epistemologia della complessità. Lo scienziato Russo ci ha fatto comprendere come in natura i sistemi isolati sono solo un’astrazione o casi particolari, mentre la regola è quella di sistemi aperti (quali sono gli ecosistemi) che scambiano energia con i sistemi limitrofi, permettendo a loro una costante e dinamica evoluzione e coevoluzione.
In tal modo Prigogine ed altri scienziati rivedono i limiti posti dalla fisica newtoniana, ancora fortemente radicata del XX secolo, contribuendo a costruire le fondamenta per la comprensione delle dinamiche energetiche degli ecosistemi, che sono, a tutti gli effetti, le strutture dissipative per eccellenza presenti in natura.
Per struttura dissipativa si definisce infatti un sistema termodinamicamente aperto che lavora in uno stato lontano dall’equilibrio e capace di scambiare con l’ambiente circostante energia e materia. In tal modo i sistemi dissipativi sono caratterizzati dalla formazione spontanea di anisotropia, ovvero di strutture ordinate e complesse, a volte caotiche; tali sistemi quando vengono attraversati da flussi crescenti di energia e materia, possono anche evolvere: tale evoluzione avviene attraverso vari passaggi e alcuni di questi passaggi sono caratterizzati da fasi di instabilità; ne conseguono due eventi: un aumento dell’ordine, ovvero della complessità della strutture e una diminuzione della entropia: si parla in tal caso anche di neghentropia locale, principio che, solo apparentemente, va contro le leggi della termodinamica, secondo le quali il disordine o meglio l’entropia aumentano sempre.
Fra gli esempi di strutture dissipative si possono includere i cicloni, la reazione chimica di Belousov-Zhabotinskyi, i laser e, su scala più estesa e complessa, gli ecosistemi e le forme di vita.
Con il suo cambio di rotta epistemologico, Prigogine e altri studiosi (tra cui Francisco Varela, Harold Morowitz ed Enzo Tiezzi, per citarne alcuni) hanno iniziato a gettare un ponte tra la fisica, la chimica, l’ecologia e le scienze sociali, per studiare tali settori non separatamente, ma come sistemi tra loro interagenti.
Questa evoluzione concettuale conduce ad una nuova logica scientifica che si contrappone alla idea classica che la natura segua sempre la via più semplice. In tal senso il funzionamento della “macchina natura” è dovuto alla complessità dei processi a carattere irreversibile; così lo studio dell’entropia fornisce una misura del disordine di un sistema fisico o più in generale dell’universo: in base alle leggi della termodinamica si può dire che un sistema quando passa da uno stato ordinato ad uno stato disordinato vede aumentare la sua entropia; tuttavia nella storia dell’universo c’è un evento eccezionale, straordinario, che smentisce e si oppone al principio che l’entropia aumenta sempre: tale evento sta alla base dei principi che caratterizzano il sorgere sulla Terra della vita e della sua evoluzione, con le varie forme e diversità che tendono ad organizzarsi in forme più stabili.
L’organizzazione spontanea si pone contro il presunto equilibrio dell’ordine naturale e quindi contro l’idea della semplicità dei fenomeni; la complessità diventa assenza di un equilibrio energetico e disordine fisico; in tal modo si è così sviluppata la fisica del non equilibrio, caratterizzata dal ruolo principale del non equilibrio, dalla assenza di linearità degli eventi. Lontano dall’equilibrio si creano stati coerenti e strutture complesse che non possono esistere in un mondo fatto di reversibilità: in poche parole la natura crea sistemi dissipativi attraverso la diversità degli esseri viventi e dei loro legami ed organizzazioni.
La natura, tramite la diversità e la mutualità, tende così a generare forme più stabili di vita.
Le ricadute di un tale assunto sono, ovviamente, notevoli: la vita non è più un fenomeno occasionale e improbabile, ma una proprietà dell’universo, destinata a realizzarsi quando si creano le condizioni giuste.
Al centro di tale criterio non ci sono più i singoli elementi o organismi ma il loro complesso e le loro interazioni. Criterio che combacia perfettamente con la formulazione dell’ipotesi di Gaia, secondo la quale gli organismi viventi sulla Terra interagiscono con le componenti inorganiche circostanti per formare un complesso sistema sinergico e autoregolante che aiuta a mantenere e perpetuare le condizioni per la vita sul pianeta (Lovelock J. 1979).
L’agroecologia diviene pertanto la scienza che incorpora questi concetti, entrando con decisione in questa nuova visione che, purtroppo, nella cultura riduzionista che ha generato la moderna agricoltura, si limitava a studiare gli effetti e le relazioni tra pochi elementi, senza preoccuparsi delle interazioni molto più complesse che coinvolgono gli ecosistemi e, al limite, l’ecosistema di ecosistemi che è il pianeta Terra.
Così non possiamo parlare più di resa produttiva di una singola specie agraria, prendendo in considerazione il suo valore assoluto locale (resa per ettaro) senza andare ad osservare tutte le relazioni tra questa resa ed i legami più complessi che questa comporta (apporto di elementi nutritivi, diminuzione di biodiversità, interferenza sulla fertilità dei suoli, riorganizzazioni sociali, ecc.).
Per quanto espresso sin qui si evince che i principi su cui si basa l’agroecologia divengono di natura più complessa ma, sostanzialmente, tendono ad applicare modelli produttivi che rispettino gli elementi di base dell’energetica dei sistemi ecologici. In questo modo si garantisce non solo la stabilità di lungo periodo di questi ma, allo stesso tempo, una maggiore efficienza degli stessi e, di conseguenza, contrariamente a quanto si pensa, una maggiore produttività primaria e, pertanto, come oramai comprovato da numerosi meta-analisi, una maggiore offerta di prodotti e servizi, che tradotti in termini aziendali, equivale a dire migliore reddito degli agricoltori.

Guido Bissanti

Il presente articolo è una delle sintesi che emergono dal libro di prossima pubblicazione sull’agroecologia (primavera 2024) a firma del sottoscritto e degli altri ricercatori: Giovanni Dara Guccione (CREA-PB), Barbara Manachini (UNIPA), Paola Quatrini (UNIPA) e con la prefazione di Luca Mercalli (presidente Società Meteorologica Italiana).




Un pensiero su “Agroecologia ed efficienza ecologica

  • Anna Guzzardo

    Grazie per questo bel articolo che esprime concetti complessi con semplicità di linguaggio comprensibile anche a chi non è edotto in materia .Inoltre è anche interessante per i suoi contenuti e concetti innovativi

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