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Le coltivazioni in serra bruciano il pianeta

Le coltivazioni in serra bruciano il pianeta

La coltivazione di ogni prodotto agricolo comporta un fabbisogno di energie (solari, idriche, nutrizionali, ecologiche, ecc.). Pur se complesso, è possibile fare un bilancio del rendimento di ogni singola produzione agricola da cui ne deriva che non tutti i metodi di coltivazione e di produzione hanno lo stesso rendimento.
Quando compriamo pertanto un prodotto agricolo non dobbiamo solo valutare la sua competitività in termini di prezzo di mercato ma una sommatoria che comprenda il prezzo di mercato e la sua impronta ecologica*.
Quando si entra nei sistemi di produzione agricola specializzati, “d’avanguardia” e/o industrializzati”, si scopre, alla luce del calcolo dell’impronta ecologica, che la maggiore produttività nasconde spesso un impiego sproporzionatamente più alto di risorse. Questo è per esempio il caso della coltivazione di pomodori, o altri prodotti, in serra rispetto a quelli prodotti in pieno campo.

 

Si scopre che anche se la produttività in serra di questi prodotti è nettamente superiore, nell’ordine di 7-9 volte, l’impronta ecologica globale di questo tipo di produzioni è tra le 10 – 20 volte superiore rispetto alla coltivazione in campo. Ne risulta pertanto che il bilancio netto assoluto tra i due metodi di produzione è a sfavore di quello ottenuto in serra; infatti per ottenere un vantaggio medio dell’800% si devono investire risorse aggiuntive dell’ordine del 1.500% (Wackernagel e Rees, 1996).
A questo punto viene a crearsi un paradosso di valutazione a cui la moderna economia deve però trovare una soluzione; infatti mentre la maggiore produzione è completamente a vantaggio dell’azienda, i costi congiunti con le risorse aggiuntive che comprendono anche risorse comuni di scala globale, come l’emissione di gas serra, l’impoverimento delle falde, e così via, gravano in gran parte su un sistema molto più ampio e di dimensioni più vaste e di livello planetario. Paradosso che richiede anche interventi politici atti a sfavorire i metodi di produzione protetti a favore di quelli in pieno campo.
Ecco perché parlare di competitività dei prodotti agricoli (come di moltissimi altri prodotti) senza una valutazione dei costi congiunti (singole impronte ecologiche) non fa più giustizia alla reale competitività del processo.
Per questo motivo bisogna trovare soluzioni economiche e monetarie che ricomprendano l’intera competitività di un processo facendo conciliare l’interesse del singolo con quello globale della comunità mondiale.

Guido Bissanti

* L’impronta ecologica è un indicatore complesso utilizzato per valutare il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità della Terra di rigenerarle. Il concetto di impronta ecologica è stato introdotto da Mathis Wackernagel e William Rees nel loro libro Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth, pubblicato nel 1996.




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