Abbiamo bisogno di una PAC 2021-2027 “Fratelli Tutti”
Abbiamo bisogno di una PAC 2021-2027 “Fratelli Tutti”
La Politica Agricola Comune, a dispetto di quanto successo, dal Trattato di Roma ad oggi, deve togliersi di dosso quelle incrostazioni che non le consentono di operare quel salto di qualità che ci si aspetta dalle produzioni agricole e dal concetto stesso di agricoltura.
Questa politica è ancora ferma ai principi, oramai non più idonei, dell’articolo 39 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, e cioè: “incrementare la produttività dell’agricoltura; assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola; stabilizzare i mercati; garantire la sicurezza degli approvvigionamenti; assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori”.
Un’art. 39 nato sotto l’egida di una visione della produzione agricola e dell’allocazione delle sue merci sui mercati molto lontana dai principi più complessi che sono propri della natura e che oggi vedono nell’Agroecologia il modello per poter raggiungere questo obiettivo.
Una PAC che parla ancora il linguaggio della competitività e di mercato senza comprendere che è questo modello di guerra subdola ed occulta che ha contribuito a rendere più poveri i contadini poveri e più miseri i Paesi delle periferie e del terzo mondo.
Una PAC che privilegia ancora l’agricoltura intensiva che, in quanto tale, essendo regola fuori dai principi dell’ecologia sociale e dell’ecologia naturale, è fattore di impoverimento, non solo in termini economico-finanziari ma soprattutto di quel patrimonio ecologico, unica e vera ricchezza a disposizione per l’umanità.
Una PAC che guarda al premio di produzione senza un criterio per “meritarlo”, e per meritarlo ecologicamente ed umanamente, è una PAC discriminante, figlia di una Europa minore che ancora ritiene di parlare per tutti ma nei fatti elemento di discriminazione tra popoli e tra umanità e natura.
A pochi giorni della terza Enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” firmata il 3 ottobre 2020, in cui il nucleo tematico è rappresentato dalla fraternità e dalla amicizia sociale, a partire da riflessioni circa la pandemia da COVID-19 del 2020 e che ha messo a nudo quel nervo già scoperto di un’economia fuori dall’Etica del Pianeta, la PAC sembra voler ripercorrere vecchie strade e sentieri oscuri.
Una PAC che non parla il linguaggio di “Fratelli tutti” ma di tutto contro tutti, concorrenza contro concorrenza, popoli contro popoli, umanità contro natura.
Una PAC che, invece di immettersi nella stessa strategia del Farm to Fork del 18 maggio 2020 della stessa UE, vuole continuare a spendere i soldi dei contribuenti (quasi 60 miliardi spesi ogni anno per i sussidi) per lo più per un vecchio modello di agricoltura intensiva e di allevamenti industriali. Quel modello di agricoltura che sta spingendo, come attestano numerosi studi e oltre 3600 scienziati, molte specie verso l’estinzione e alla perdita di biodiversità, all’inquinamento dell’acqua e dell’aria, all’eccessiva estrazione dell’acqua e che contribuisce, in maniera preponderante, alla crisi climatica. Basti pensare che dal 1980, l’UE ha perso il 57% dei suoi uccelli degli ambienti agricoli, così come farfalle, api e altri impollinatori, anch’essi in grave declino.
Questo perché le politiche europee sull’agricoltura non recitano “Fratelli tutti” ma incitano all’uso indiscriminato di un modello agricolo che, per potersi sostenere, deve fare uso di sostanze di accertata pericolosità e di veleni e di tecniche oramai inopportuni.
Un modello agricolo, scientificamente ed eticamente improponibile dove, alla reazione della natura all’errore ecologico delle produzioni intensive, rispondiamo col criterio “Tutti contro tutti”, umanità contro insetti, contro uccelli, contro specie indesiderate, contro chiunque si opponga ad un criterio colonialista dell’economia che è morto è sepolto e che non ha compreso nulla della prima luce rossa che si accesa sul cruscotto del Pianeta Terra: il COVID-19; luce rossa di un complesso sistema integrato che squilibri ecologici, devastazioni territoriali, omologazione dei sistemi, ecc., hanno fatto andare in cortocircuito.
Così se da una parte il Farm to Fork, emanato dall’altra mano della UE (e qui ci si chiede se la mano destra non sappia cosa fa la mano sinistra) vuole in sintesi:
– ridurre del 50% l’utilizzo dei fitofarmaci e aumentare del 25% i terreni coltivati a biologico; ridurre del 50% l’uso dei fitofarmaci e del 20% dei fertilizzanti entro il 2030; tagliare del 50% i consumi di antibiotici per gli allevamenti e l’acquacoltura; incrementare del 25% le superfici coltivate a biologico.
Dall’altra, tra le proposte più dannose quella di:
– non concedere spazio reale alla natura nelle aziende agricole invece di fissare l’obiettivo di almeno il 10% di aree per la tutela della biodiversità, attraverso la creazione di stagni, siepi e piccole zone umide, come prevede la Strategia UE Biodiversità 2030.
Ma non è tutto; una PAC che non parla il linguaggio dei bisogni alimentari dei suoi abitanti è una PAC fatta solo per i grandi gruppi e per la GDO; fatta per il mercato ma non per l’alimentazione.
Non c’è alcun segnale a quel criterio di Sovranità alimentare che, tra i suoi principi, insiste sulla necessità di una transizione verso un sistema agroalimentare che fornisca alimenti sani, nutrienti, convenienti e distribuiti localmente; di quel sistema agroalimentare frutto dell’adeguamento della Storia e dell’umanità ai suoi territori; frutto di tradizioni, di armonia, di cultura, di arte e di legami con la natura, che questa PAC vede piatta e senza ruolo.
Una Unione Europea che, a proclami, vuole combattere il caporalato e che poi con il suo sistema di omologazione lo crea, lo alimenta, senza che, ad oggi, la Corte di giustizia europea (nata nel 1952 e forse anch’essa oramai datata) abbia posto per lo meno delle osservazioni.
A questo punto, per non fare una esclusiva disanima critica dei difetti osservati sulla oramai logora impostazione della PAC, adesso indebolita anche dalla Brexit, ci aspettiamo che si inizi a discutere (e quindi ad operare) concretamente su indirizzi che vedano la PAC privilegiare azioni a favore:
– della salubrità e qualità nutrizionale del cibo (come diritto inalienabile dei popoli), della riduzione dell’uso della chimica di sintesi, dell’incentivazione delle tecniche per il miglioramento della qualità dei suoli, di un incremento della biodiversità all’interno delle aziende agricole (senza la quale l’agroecologia è un modello irraggiungibile), dei servizi ecosistemici dell’agricoltura, del basso consumo di combustibili fossili, del mantenimento della fertilità chimica e biochimica dei suoli e, soprattutto, questione che non è stata affrontata appieno, sostenere la condivisione e la diffusione delle conoscenze senza le quali il paradigma agroecologico non può essere raggiunto.
In estrema sintesi ci aspettiamo una PAC di transizione, non una PAC di stabilità del sistema, perché l’attuale sistema agroalimentare è tutt’altro che stabile e, soprattutto, tutt’altro che sincrono con le logiche della Natura.
Una PAC di transizione verso un sistema alimentare più equo, magari ancora imperfetto, ma che faccia comprendere che quella lunga strada da percorrere, ma di cui ci resta poco tempo per attraversarla, ci dia la speranza che la Politica lasci la via del “tutti contro tutti” per intraprendere quella del “Fratelli tutti”.
Guido Bissanti
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