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Incoscienza ecologica e cambiamento climatico

Incoscienza ecologica e cambiamento climatico

Con l’avvento dell’industrializzazione dell’Occidente, soprattutto tra il XIX e il XX secolo, si è avuto quel fenomeno sociale che va sotto il nome di urbanesimo (o inurbamento) che ha condotto gran parte della popolazione mondiale nei grandi centri abitati.
Pur se tale fenomeno ha caratterizzato diverse epoche dell’evoluzione dell’organizzazione (o disorganizzazione) della società, nelle ultime decine di anni della storia umana ha assunto proporzioni, per certi versi, preoccupanti.
Basti pensare che le città che superano i dieci milioni di abitanti (sparse in tutto il mondo) oggi sono oltre le 30 e, secondo le stime dell’ONU, entro il 2030 nel mondo ne conteremo più di 40.
Città come Tokyo con 38.140.000 abitanti, come Nuova Delhi con 26.454.000 abitanti o come Shangai con 24.484.000 abitanti, fanno impallidire la “povera” New York con “soli” 18.609.000 abitanti.
Gran parte di queste città sono aggregati di cemento, di reti tecnologiche ed infrastrutture che hanno cancellato antichi habitat e lasciato fuori dalla vita delle persone il contatto con la natura.
Così l’evolversi, spesso incontrollato o incontrollabile, delle situazioni e dei movimenti di spostamento verso determinate aree urbane, con intensificazione della densità abitativa e di insediamenti produttivi e commerciali, ha prodotto, specialmente a partire dalla seconda metà del Novecento, agglomerati estesissimi, chiamati megalopoli, che hanno causato due fenomeni paralleli:

Urbanizzazione Mondiale

– una perdita del rapporto etico dell’umanità con la Natura;
– una perdita del valore ecologico ed economico legato alla perdita di biodiversità.
Alla luce della comprensione che abbiamo oggi della biodiversità è come se l’umanità avesse percorso una sua ecologia, completamente avulsa da quella della Natura.
Sappiamo infatti che è proprio la biodiversità che rende il nostro pianeta unico e che garantisce la sopravvivenza della vita stessa sulla Terra.
Purtroppo col processo di urbanizzazione, conseguenza di un sistema economico ed industriale non polarizzato alla natura, si sta modificando anche lo scenario climatico con una sfida senza precedenti che minaccia la varietà di specie animali e vegetali. In un contesto così difficile, molte specie non riusciranno ad adattarsi con successo ai cambiamenti climatici. Secondo le stime ufficiali entro il 2050 un milione di specie saranno a rischio estinzione.
A tal proposito uno studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Nature rivela che la produttività della biodiversità in natura accresce la biomassa e consolida la stabilità dell’ecosistema, costituendo al contempo una delle migliori difese dell’umanità contro gli eventi metereologici estremi. Una vegetazione e una fauna più ricche contribuiscono, infatti, alla ricchezza dei suoli e dei mari e prevengono fenomeni catastrofici provocati dai cambiamenti climatici come lunghi periodi di siccità, piogge torrenziali, uragani.
Gli autori dello studio sono stati i ricercatori della Smithsonian Institution e dell’Università del Michigan; gli autori sono giunti a queste conclusioni dopo aver comparato i risultati di 67 studi condotti in tutto il mondo, in cui erano raccolti i dati provenienti da oltre seicentomila punti di campionamento. Tutti lavori effettuati interamente sul campo: sui prati, nelle foreste, in ambienti di acqua dolce e salata.
È evidente che “la varietà delle forme di vita sulla Terra è un parametro attendibile per la sua salute futura”, come afferma l’ecologo marino Emmet Duffy, del centro ricerca ambientale «Smithsonian» di Edgewater e prima firma della pubblicazione. In tutti gli ecosistemi analizzati dai ricercatori, infatti, la maggiore biodiversità è andata di pari passo con un ecosistema più fiorente. «Se vogliamo tutelare il funzionamento e la produttività degli ecosistemi terrestri, dobbiamo conservare la loro biodiversità», ha aggiunto Casey Godwin, coautore della ricerca e collega dell’Università del Michigan.

Economia della Natura

Senza entrare nella complessità del ruolo che la biodiversità da alla stabilità del pianeta, anche in termini climatici, è evidente che l’attuale trend di urbanizzazione del pianeta e di perdita di biodiversità configura una catastrofe senza precedenti, forse più grande di quella che provocò l’estinzione dei dinosauri.
In tal senso si sono mosse varie strategie mondiali, tra cui la cosiddetta Agenda 2030 e, di recente, la Nature Restoration Law dell’Unione Europea, che è, di fatto, la legge sul ripristino della natura e parte integrante del Green Deal europeo e della strategia europea per la biodiversità.
La Nature Restoration Law mira a creare un quadro legislativo necessario per il recupero e la conservazione degli ecosistemi europei, in linea con gli obiettivi climatici dell’Unione e gli accordi firmati a livello internazionale.
Purtroppo l’ostacolo più grande al raggiungimento di questi obiettivi è legato alla struttura dei sistemi finanziari mondiali (e quindi anche europei) e, pertanto, al modello economico attuale che è fortemente incardinato ad un sistema causa ed effetto (investimento e ritorno dello stesso) non connesso con le esigenze della natura.
In tal modo il sistema della finanza è legato quasi esclusivamente a grandi gruppi finanziari che dai sistemi economici legati all’ecologia non hanno alcun ritorno (per lo meno immediato).
Per uscire da questo rischiosissimo impasse (che prima o poi trascinerà con sé cavalli e cavalieri) è necessario che questa metastasi socioeconomica venga sradicata dalla Politica.
Cosa più facile a dirsi che a farsi.
Si tratta di una sfida urgente che ci obbliga a proteggere la nostra casa comune, senza la quale, non esiste alcuna finanza ed alcuna economia, e quindi, alcuna civiltà.
Possiamo paragonare la finanza impazzita come l’asteroide che provocó l’estinzione dei dinosauri che (pur se con dinamiche differenti) sta trascinando il nostro pianeta e tutti i suoi esseri viventi all’estinzione di massa.
E qui va fatto un richiamo doveroso all’Enciclica “Laudato sì”, unico documento mondiale di economia ed ecologia integrale che traccia le linee guida, non solo per una piena presa di coscienza per il futuro p.v. ma anche per l’intera Politica mondiale.
Purtroppo il dibattito a cui assistiamo in gran parte delle agende politiche delle nazioni (Italia inclusa) viaggia su schemi completamente diversi e, in certi casi, anche pericolosamente in fase di involuzione.
Ricordiamoci che la difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico.
La società è divenuta individualista, un individualismo che ha origini molteplici ma profondamente connesso ad un liberismo spietato ed eticamente innaturale.
Il pericolo di quell’etica individualistica che sta mettendo ancor più l’umano fuori dal naturale.
Individualismo umano contrapposto con quei modelli di altruismo, generosità, solidarietà propri della biodiversità, vera essenza della natura.
È per questo motivo che dobbiamo avere il coraggio di aprire un fronte comune diverso, che metta in discussione l’attuale modello di “progresso”, l’attuale fuorviato dibattito politico, la responsabile accettazione di gran parte della popolazione, l’irresponsabile silenzio dei media e dei principali sistemi di comunicazione.
Come scritto nel mio libro del 2015 (Come il Titanic?), siamo tutti sulla stessa barca e non ci sono scialuppe di salvataggio perché l’unica scialuppa esistente è lo stesso pianeta Terra.

Guido Bissanti




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