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Riscaldamento globale e migrazioni faunistiche

Riscaldamento globale e migrazioni faunistiche

Negli ultimi anni la questione del riscaldamento globale ha destato non poche preoccupazioni ma anche perplessità da chi sostiene che la causa non sia umana.
Tuttavia la comunità scientifica, che possiede forse i dati più probanti, non è quella dei meteorologi ma quella degli zoologi.
Così alcuni ricercatori hanno cercato di comprendere il fenomeno attraverso dati che potrebbero confermare o smentire il fenomeno del cambiamento climatico.
Una delle domande che da tempo si fanno gli scienziati è: che cosa potrebbe succedere ai pesci degli oceani a causa dell’innalzamento della temperatura dell’acqua?
Alla domanda ha cercato di rispondere un team di ricercatori dell’Università di Washington. Secondo il loro studio, pubblicato sulla rivista Science, le acque più calde, nei prossimi decenni, non saranno in grado di soddisfare il fabbisogno di ossigeno degli animali marini. Ciò provocherà la migrazione di diverse specie di pesci che abbandoneranno le zone equatoriali per acque più fredde e più ricche di ossigeno. Una conseguenza dell’alzamento della temperatura è anche quella di aumentare il metabolismo e quindi la ricerca di cibo, secondo quanto affermato da Curtis Deutsch, docente tra gli autori dello studio, il quale afferma: «questo significa che gli animali acquatici potrebbero soffrire la mancanza di ossigeno in un futuro con temperature più elevate, anche nel caso in cui la quantità di ossigeno restasse inalterata. Ma sappiamo che i livelli di ossigeno nell’oceano stanno diminuendo e continueranno a calare con il riscaldamento del clima».
In tal senso gli animali marini che saranno più influenzati dai cambiamenti climatici entro il 2100, anno in cui la temperatura si sarà alzata di 3°C, saranno in particolare tre tipi di pesce: il merluzzo nordico, il sarago pizzuto, blennide viviparo, e un granchio, il cancer irroratus.
Secondo i ricercatori per queste quattro specie la zona equatoriale diventerebbe invivibile, costringendoli ad allontanarsi, con la disastrosa conseguenza che gli attuali habitat marini subirebbero dei cambiamenti drammatici. Nell’ipotesi migliore, la temperatura salirà invece di un solo grado portando i pesci a muoversi dal loro habitat originario alla velocità di 15 km ogni decennio. Tutto ciò comporterà anche una crisi alimentare delle popolazioni che vivono accanto agli oceani equatoriali, la cui sussistenza spesso si basa proprio sulla disponibilità di pesce.
Inutile sottolineare le conseguenze catastrofiche di tale scenario.
Inoltre l’aumento delle temperature influenza anche la fenologia delle specie, quindi il loro comportamento nelle varie stagioni che può interferire con i tempi e le modalità del letargo o della diapausa.
In altre può inficiare il successo riproduttivo. In altre ancora modifica le tempistiche delle migrazioni, immutate da migliaia di anni. Per altre specie il principale problema potrebbe essere fare i conti con le trasformazioni ambientali: incendi sempre più frequenti e vasti, siccità, oppure alluvioni e piogge, eventi meteorologici estremi, mancanza di cibo. Senza contare che l’aumento delle temperature favorisce anche la diffusione di patogeni, dei loro vettori, e quindi di malattie.
A dare purtroppo risposta a questi modelli teorici ci hanno pensato delle ricerche di pieno campo.
Infatti a questo scenario ipotetico, che di per sé è già preoccupante, se ne aggiunge un altro, tristemente confermato, che è quello delle migrazioni degli uccelli.
Gli uccelli migratori, ogni anno, devono attuare un compito che è quello di tornare a nidificare nel luogo in cui sono nati.
Questo significa che le specie migratorie devono arrivare nel posto giusto e al momento giusto.
Le specie che nidificano in Europa trascorrono l’inverno principalmente in Africa e ogni primavera tornano qui dopo un viaggio di migliaia di chilometri, attraversando tre grandi barriere ecologiche: il deserto del Sahara, il Mediterraneo e le Alpi. Devono arrivare in tempo per godere a pieno della primavera, periodo in cui ci sono più ore di luce per svolgere tutte le attività necessarie (conquistare un territorio, un partner, costruire il nido, allevare una o più covate) e in cui c’è la massima disponibilità alimentare (per lo più insetti o le loro larve) per crescere la prole. In migliaia di anni si è evoluta una sincronia perfetta tra l’arrivo dei migratori, la schiusa delle loro covate, e il picco di disponibilità alimentare. Alcuni uccelli, per la loro precisione nelle date di arrivo in Europa, sono chiamati “uccelli calendario”. Ma oggi i cambiamenti climatici stanno spezzando questa sincronia, che non è più perfetta.
Così, secondo le stime di altri ricercatori, in Europa, il picco di disponibilità alimentare in primavera si sta anticipando tra i 9 e i 20 giorni: gli uccelli migratori, di conseguenza, stanno cercando di arrivare a loro volta in anticipo a destinazione. Molte specie stanno riducendo la durata delle soste durante il viaggio di circa il 20%, soste che però servono per riposarsi e rifocillarsi, per ricostituire le riserve energetiche prima di continuare il viaggio.
Queste specie, pertanto, rischiano di più per guadagnare tempo e arrivare prima, ma l’anticipo che riescono a guadagnare è di circa una settimana: troppo poco. Dovrebbero ridurre la durata delle soste del 50% per anticiparsi di 9 giorni, e del 100% per guadagnarne 20. Insomma qualcosa di impossibile per piccoli passeriformi che pesano tra i 10 e i 20 grammi e viaggiano per 15.000 km in primavera e altrettanti in autunno.
Anche in autunno, quando dovrebbero migrare verso sud, spesso si trattengono ancora in Europa, ritardando la loro partenza.
Senza entrare troppo nel dettaglio delle biocenosi legate agli uccelli va detto che la diminuzione dei momenti di sosta, l’allungamento obbligato di alcune rotte migratorie sta mettendo a dura prova i discendenti diretti dei dinosauri col risultato che negli ultimi 40 anni, secondo i censimenti più dettagliati, hanno avuto un calo di 247 milioni di esemplari.
Tutto questo porta conseguenze disastrose in campo ecologico, agricolo e sociale. Gli uccelli sono i migliori insetticidi che abbiamo, visto che in primavera fanno incetta di insetti nocivi per noi, come le zanzare, o per le nostre coltivazioni, come afidi e bruchi di diverse farfalle e falene.
Inoltre il minore carico di uccelli porta ad una diminuzione drastica di escrementi e carcasse con effetti negativi soprattutto per i fosfati, notoriamente molto importanti per l’agricoltura.
Per non dimenticare altri ruoli fondamentali come l’impollinazione (che non viene eseguita solo dai pronubi) ed altre attività di scambio di informazioni e materiali importanti come quelle dei semi.

Tra gli uccelli più colpiti dal cambiamento climatico c’è la sterna artica; il suo è un primato nell’intero regno animale, non solo tra gli uccelli. La sterna artica nidifica intorno al circolo polare artico, dall’Alaska alla Siberia passando per il Nord America e il Nord Europa. Questa specie trascorre l’inverno nei mari e lungo le coste dell’Antartide. Così questo uccello che si nutre di pesce, che pesa appena 100 grammi, ogni anno tra andata e ritorno compie un viaggio di circa 80.000 chilometri. Il record dei record appartiene a una sterna artica nidificante nel nord della Gran Bretagna che ha percorso in migrazione ben 96.000 chilometri. Questo elegante uccello marino, dalla coda a V come quella delle rondini, in una vita media arriva a volare per 2 milioni e mezzo di chilometri: potrebbe fare 3 viaggi di andata e ritorno dalla Terra alla Luna.
Questi uccelli, che sovraintendono a delicati equilibri ecologici, sono in notevole diminuzione e rischiano di implementare il cosiddetto effetto domino; cioè una ripercussione ecologica che progressivamente ci coinvolge tutti, uomini compresi.
Anche le tartarughe marine soffrono il cambiamento climatico e intere popolazioni che nidificano lungo le spiagge australiane si stanno “femminilizzando”: il rapporto dei sessi non è più 50 e 50, ma addirittura il 98-99% dei nuovi nati è femmina. Questo avviene perché nelle tartarughe marine il sesso dei nascituri è determinato dalla temperatura di incubazione delle uova nella sabbia, e se si superano i 30°C all’interno del nido, dalle 100-120 uova deposte in ogni nido nasceranno solo femmine. Ed è proprio quello che sta accadendo alla popolazione australiana di tartarughe verdi. Non a caso l’Australia e l’Artico sono due dei posti del mondo che stanno subendo gli effetti più feroci del surriscaldamento globale.
Infine, tra quelli che stiamo citando (ma gli studi sono oramai innumerevoli) uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Glasgow ha rivelato che la maggior parte delle popolazioni ittiche si sta spostando verso i poli nord e sud al fine di sfuggire alle temperature marine che sono in costante aumento.
I pesci stanno migrando in acque più fredde o verso acque più profonde rispetto ai loro habitat naturali, al fine di sfuggire alle temperature marine che sono in costante aumento. L’importanza della temperatura dell’acqua per la vita marina è cruciale. Questo elemento ambientale ha un impatto significativo sul metabolismo, la crescita e la riproduzione delle specie marine.
Molte specie ittiche hanno finestre di temperature molto ristrette in cui possono sopravvivere, quindi anche una piccola variazione può rendere il loro habitat inospitale, così lo spostamento verso nuovi territori marini rimane l’unica opzione disponibile.
Questo fenomeno di migrazione è stato osservato come causa del declino delle popolazioni ittiche in tutto il mondo, e in alcune regioni, alcune specie ittiche sono persino scomparse completamente. Gli scienziati hanno rilevato che i cambiamenti nell’ecosistema marino si stanno verificando fino a sette volte più velocemente rispetto ai cambiamenti che avvengono sulla terraferma.
La ricerca, che ha coinvolto 115 diverse specie di pesci da tutti e sette gli oceani del mondo, rappresenta il primo studio su scala globale di questo tipo.
Inoltre la ricerca ha rilevato che le popolazioni ittiche si stanno spostando principalmente dalle zone in cui le temperature aumentano più rapidamente.
In definitiva non è tanto il riscontro meteorologico a darci segnali sul riscaldamento globale; fattore spesso contestato da alcuni meteorologi, ricercatori e negazionisti.
Il riscaldamento globale sta avendo un impatto significativo sulle migrazioni faunistiche in diversi modi.
Il cambiamento climatico sta causando notevoli cambiamenti negli habitat naturali degli animali, come l’aumento delle temperature, la riduzione delle risorse alimentari e la perdita di habitat critici come le foreste o i ghiacciai. Questi cambiamenti stanno spingendo le specie a migrare verso nuove aree geografiche in cerca di condizioni più adatte alle loro esigenze.
Il riscaldamento globale può influire sulle zone climatiche, spostando le aree di temperatura e umidità ideali per diverse specie. Ad esempio, alcune specie stanno migrando verso latitudini più elevate o altitudini più elevate in cerca di condizioni climatiche adatte; cosa che sta comportando già la comparsa di specie non native in nuove aree o la scomparsa di specie locali.
L’aumento delle temperature degli oceani e dei mari sta influendo sulle migrazioni delle specie marine, come i pesci o le tartarughe marine. Ad esempio, alcune specie di pesci si stanno spostando verso acque più fredde o in cerca di nuovi habitat per la riproduzione. Le tartarughe marine sono influenzate dalle variazioni nella temperatura del mare che influiscono sulla disponibilità di cibo, sulla riproduzione e sulle correnti oceaniche che utilizzano per le loro migrazioni.
Il riscaldamento globale sta alterando le interazioni tra specie che dipendono l’una dall’altra. Ad esempio, alcune specie di uccelli migratori dipendono dalla disponibilità di determinati insetti come fonte di cibo durante il loro viaggio. Il cambiamento climatico sta interferendo sulla sincronizzazione tra l’arrivo degli uccelli migratori e la disponibilità degli insetti (drasticamente combattuti con gli insetticidi), cosa che influisce sulla la sopravvivenza di queste specie.
È evidente come tutti questi studi e le loro meta-analisi stanno fornendo informazioni importanti alla comprensione del problema ma, il dato più preoccupante che emerge è che tutto l’intero pianeta sta subendo un cambiamento così repentino non riscontrato mai (secondo i reperti analizzati) nella sua storia.
Basti osservare i seguenti dati:
– Il 33% dei suoli mondiali è degradato. La percentuale in Europa sale al 60%, dove, in appena 10 anni, 177mila chilometri quadrati di terreni hanno subito una progressiva desertificazione (un’area grande più della metà del territorio italiano); ricordiamo che nel suolo vivono tutta una serie di organismi.
– Per gli uccelli: 247 milioni di esemplari in meno rispetto a 40 anni fa.
– Per gli insetti: 46% in meno di massa a livello mondiale (con punte in alcune specie del 90 %); il 40 % delle specie conosciute è in costante declino; un terzo delle specie è in grave pericolo.
– Per le piante: quasi un terzo delle specie di alberi esistenti è a rischio estinzione. In tutto sono 17.510 specie, praticamente il doppio delle specie a rischio di mammiferi, uccelli, rettili, ecc., messi insieme.
– Biodiversità agraria: su circa 6000 specie di vegetali coltivabili, quelle effettivamente usate nella produzione di cibo sono circa 200 e il 66% della produzione agricola globale è costituito solo da 9 specie (canna da zucchero, riso, mais, frumento, patata, soia, il frutto della palma da olio, barbabietola da zucchero, manioca).
Inoltre, come descritto col presente contributo, è proprio la diminuzione di biodiversità a dare un contributo sostanziale al riscaldamento globale.
Così, per entrare nell’ambito sociopolitico, come affermato dall’ONU: ogni anno il cambiamento climatico costringe alla fuga circa 20 milioni di persone. Il loro diritto ad essere tutelati e aiutati, però, è molto limitato. Si tratta quindi di una crisi sociale che colpisce soprattutto chi contribuisce meno alle cause del cambiamento climatico.
Se non comprendiamo che alla base di tutto ciò c’è un errato modello socioeconomico, basato su un liberismo che ha fatto del colonialismo, dello sfruttamento delle risorse e del libero mercato il suo dio, allora possiamo continuarne a parlare quanto ne vogliamo.
Il tempo non è dalla nostra parte, la Politica invece deve esserlo e per farlo deve cambiare linguaggio.
Tutti avvisati e nessuno escluso.

Guido Bissanti




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