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Monachus monachus

Monachus monachus

La foca monaca mediterranea (Monachus monachus Hermann, 1779) è un mammifero pinnipede appartenente alla famiglia Phocidae.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico appartiene al:
Dominio Eukaryota,
Regno Animalia,
Phylum Chordata,
Classe Mammalia,
Ordine Carnivora,
Superfamiglia Pinnipedia,
Famiglia Phocidae,
Sottofamiglia Monachinae,
Genere Monachus,
Specie M. monachus.
È basionimo il termine:
– Phoca monachus Hermann, 1779.
Sono sinonimi i termini:
– Heliophoca atlantica Gray, 1854;
– Leptonyx monachus (Hermann, 1779);
– Monachus albiventer (Boddaert, 1785);
– Monachus atlantica (Gray, 1854);
– Monachus bicolor (Shaw, 1800);
– Monachus hermannii (Lesson, 1828);
– Monachus leucogaster (Péron & Lesueur, 1816);
– Monachus mediterraneus Nilsson, 1838;
– Pelagocyon monachus (Hermann, 1779);
– Phoca albiventer Boddaert, 1785;
– Phoca bicolor Shaw, 1800;
– Phoca hermannii Lesson, 1828;
– Phoca isidorei Lesson, 1843;
– Phoca leucogaster Péron & Lesueur, 1816.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
La Monachus monachus è un mammifero in forte regresso di popolazione che una volta si trovava in tutto il Mediterraneo, il Mar Nero, le coste atlantiche di Spagna e Portogallo, il Marocco, la Mauritania, Madera e le Isole Canarie, fino a segnalazioni spesso anche nella costa sud della Francia.
Purtroppo durante il ‘900 l’areale si è fortemente ridotto a causa delle persecuzioni dirette tanto che questo mammifero sopravvive in poche isolate colonie in Grecia, in isole della Croazia meridionale, in Turchia, nell’arcipelago di Madera, in Marocco e Mauritania. Occasionalmente vengono avvistati individui in dispersione, lungo le coste di quasi tutti i paesi mediterranei.
In Italia viene considerata estinta ad eccezione di rari avvistamenti di esemplari provenienti dal Nord Africa o, per l’Adriatico, dalla Croazia. Solo in Sardegna, prevalentemente nell’area del Golfo di Orosei, esiste un piccolo nucleo che di tanto in tanto è stato avvistato.
Altri sporadici avvistamenti si sono avuti all’Isola del Giglio, mentre più irregolari sono stati molto più a sud, a occidente della Sicilia, nelle Isole Egadi e nelle isole del Canale di Sicilia.
Un recente studio basato sull’analisi del Dna ambientale ha permesso di ridisegnare la mappa della presenza della foca monaca nel Mediterraneo centrale, individuando sei aree di maggiore interesse: Alto Adriatico tra Istria e laguna di Venezia, Salento – Golfo di Taranto, isole minori siciliane, Sardegna orientale-Canyon di Caprera, Arcipelago Toscano e arcipelago delle Baleari.
Per quanto riguarda il suo habitat questo mammifero trascorre la maggior parte della sua vita in mare, tuttavia, come tutti i focidi, necessita di sostare a terra per adempiere a specifiche funzioni, come la muta del pelo, il riposo, il parto e l’allattamento del cucciolo. L’habitat costiero terrestre è costituito prevalentemente da grotte marine con aperture medio – infralitorali, con una zona interna emersa e ben protetta dal moto ondoso. Per questo motivo la maggior parte degli avvistamenti registrati di recente in Italia sono situati in prossimità di coste isolate, rocciose, alte, spesso in vicinanza di grotte accessibili solo dal mare (E. Dupré in Spagnesi & Toso 1999). L’utilizzo delle grotte marine è ritenuto essere un adattamento della specie per proteggersi dalla caccia a cui è stata sottoposta nel corso del tempo. Tuttavia, le esperienze maturate in condizioni di completa assenza di disturbo, laddove l’accesso umano è interdetto o limitato, indicano che in tali condizioni la specie frequenta anche le spiagge per riposare ed accudire la prole. La profondità massima di immersione nota per la specie è di 120m, mentre è noto che è in grado di compiere spostamenti su distanze massime pari a circa 280 km (Adamantopolou et al. 2011).

Descrizione –
La Monachus monachus è una foca che si presenta con un corpo allungato, irregolarmente cilindrico, rivestito da uno spesso strato adiposo, ricoperto da un fitto pelo corto, con leggero dimorfismo sessuale.
Questa specie ha una lunghezza che oscilla da 80 cm alla nascita fino ai 240 cm negli esemplari adulti, potendo raggiungere i 320 kg di peso; le femmine sono un po’ più piccole dei maschi.
La sua pelliccia è di colore nero nel maschio o marrone o grigio scuro nella femmina, con tonalità più chiara sul ventre, fino a divenire biancastra negli esemplari maschi.
Gli arti sono trasformati in pinne, quelli anteriori sono dotati di unghie mentre quelli posteriori ne sono quasi completamente privi.
La testa è tonda e leggermente appiattita, con orecchie prive di padiglione auricolare. Il muso è provvisto di alcuni baffi lunghi e robusti, detti vibrisse.

Biologia –
La Monachus monachus è una foca che vive essenzialmente in mare.
Nella stagione della riproduzione predilige i tratti di mare vicini alle coste, dove cerca spiagge isolate, sistemandosi prevalentemente in grotte o piccoli anfratti accessibili solo dal mare, perché il parto e l’allattamento si svolgono esclusivamente sulla terra ferma.
I maschi adulti hanno caratteristiche fortemente territoriali.
Durante il periodo riproduttivo che coincide generalmente con i mesi autunnali, si scontrano frequentemente con altri maschi.
Le femmine raggiungono la maturità sessuale a 3-5 anni, hanno un ciclo di riproduzione di circa 12 mesi e partoriscono di solito tra settembre e ottobre; allattano, in grotte vicinissime al mare o in spiagge riparate, un cucciolo all’anno, lungo 88–103 cm e pesante 16–18 kg.
I giovani entrano in acqua già a pochi giorni dalla nascita. Vengono allattati sino alla dodicesima settimana, ma la femmina lascia il suo cucciolo incustodito già dopo le prime settimane di vita, per tornare ad allattarlo periodicamente. I giovani tendono ad abbandonare il gruppo originario ed a disperdersi anche lontano dal luogo di nascita; essi raggiungono la maturità sessuale intorno ai 4 anni.
La foca monaca vive dai 20 ai 30 anni.

Ruolo Ecologico –
La Monachus monachus potrebbe discendere dalla Pliophoca etrusca. Tale ipotesi è suffragata da alcuni ritrovamenti fossili effettuati in Toscana, in argille del pliocene, in quanto tale antenata abitava il mare che circonda l’Arcipelago Toscano.
Oggi questa foca è oramai ridotta ad alcune centinaia di esemplari.
Secondo una stima dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura della foca monaca sopravvive una popolazione di appena 600-700 esemplari: circa 200 concentrati nell’Egeo e nel Mediterraneo sudorientale, 20-30 nel Mar Ionio, 10-20 nel Mare Adriatico, una decina nel Mediterraneo centrale, dai 10 ai 20 nel Mediterraneo occidentale e meno di 300 in Atlantico. La specie è pertanto da considerarsi in rischio di estinzione.
Tuttavia non si hanno informazioni riguardo all’effettiva presenza di una popolazione, ma la ricognizione degli avvistamenti verificatisi dal 1998 al 2010 annovera 84 segnalazioni, di cui 51 validate e riguardanti 38 distinti eventi. Le stime delle dimensioni degli esemplari osservati durante gli avvistamenti, così come l’analisi della documentazione fotografica disponibile indicano che gli avvistamenti comprendono sia esemplari di taglia giovanile sia subadulta/adulta. Gli esemplari avvistati potrebbero essere individui originari di colonie situate in paesi limitrofi all’Italia ed in fase di dispersione oppure appartenenti a resti di colonie una volta residenti in località italiane. Non si può escludere la frequentazione di altri esemplari in luoghi remoti e meno accessibili del paese (Mo 2011).
Questi pinnipedi si spostano anche di alcune decine di chilometri al giorno alla ricerca del cibo, con immersioni continue; sono state registrate immersioni fino a 90 metri di profondità, ma è probabile che esse possano superare facilmente alcune centinaia di metri di profondità, durante immersioni effettuate per la ricerca di prede.
La dieta è a base di molluschi cefalopodi, crostacei e pesci, sia bentonici come: murene, corvine, cernie, dentici e mostelle che pelagici catturati in alto mare.
Dorme in superficie in mare aperto o utilizzando piccoli anfratti sul fondale, per poi risalire periodicamente a respirare.
Anche durante le soste a terra, la foca rimane vicinissima al mare, anche perché i suoi movimenti sono lenti ed impacciati.
Purtroppo la fortissima diminuzione delle popolazioni, dovuta prevalentemente all’intervento umano, ha ridotto questi mammiferi a piccoli gruppi familiari e individui isolati. L’unico luogo del mondo dove la specie è presente in numero sufficiente per formare ancora una colonia è Cabo Blanco, in Mauritania.
In Italia la specie è particolarmente protetta ai sensi della legge dell’11 febbraio 1992.
La specie è inserita negli allegati II e IV della Direttiva Habitat, nell’allegato II del Protocollo SPA/BIO della Convenzione di Barcellona, nell’allegato II della Convenzione di Berna e nell’allegato I e II della Convenzione di Bonn. La specie è inclusa nella Convenzione CITES.
La IUCN Red List (2013) inserisce questa specie tra quello in serio rischio di estinzione: Critically endangered.
I motivi della diminuzione delle popolazioni sono molteplici. Per esempio, soprattutto un tempo, veniva catturata per essere esibita in pubblico e, a differenza di quella comune, era molto più addomesticabile. Nel dicembre del 1766 un esemplare venne catturato nelle acque della Capraia e portato al Granduca Pietro Leopoldo. Purtroppo sopravvisse soltanto fino alle porte di Firenze. Il 9 maggio del 1767 un esemplare di circa 85 cm fu catturato presso le secche della Meloria da alcuni pescatori mentre riposava sul relitto di un’imbarcazione svedese. Hermann descrisse la specie nel 1778, quando una truppa veneziana, che esibiva in pubblico una foca catturata con le reti nell’autunno del 1777 nell’isola di Cherso, giunse a Strasburgo. Il Buffon, naturalista famoso, trovò un’altra foca a Parigi, sempre proveniente da Cherso, e, ignorando la scoperta dello Hermann, la classificò per conto suo come Phoque a ventre blanc ovvero Phoca albiventer. Evidentemente Cherso divenne il locus classicus della specie, grazie ad una ben orchestrata campagna di cattura veneziana.
Principali pressioni e minacce sono le ritorsioni dei pescatori contro la specie (che preda nelle loro reti), le catture accidentali (F02), l’inquinamento delle acque marine (H03) con i conseguenti effetti dannosi derivanti dall’accumulo di inquinanti nei tessuti. Infine, l’aumentare degli insediamenti umani (E01) e del traffico nautico ( lungo le coste) hanno ridotto le aree idonee alla riproduzione.

Guido Bissanti

Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– GBIF, la Facilidad Global de Información sobre Biodiversidad.
– Gordon Corbet, Denys Ovenden, 2012. Guida dei mammiferi d’Europa. Franco Muzzio Editore.
– John Woodward, Kim Dennis-Bryan, 2018. La grande enciclopedia degli animali. Gribaudo Editore.

Fonte foto:
https://observation.org/photos/12351465.jpg
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d6/A_monk_seal_%28phoca_monachus%29_sitting_on_a_rock_on_the_sea_sh_Wellcome_V0020768.jpg




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