Piccolo è bello
Piccolo è bello
Nel 1973 Ernst Friedrich Schumacher, economista, filosofo e scrittore tedesco, scrisse il famoso saggio “Piccolo è bello”. In questa opera, che è una raccolta di brevi saggi di argomento economico, l’autore mette in discussione il paradigma occidentale moderno, imperniato su consumismo, grande industria e centralismo organizzativo, anticipando alcune tematiche ecologiste destinate al successo nei decenni successivi.
Schumacher, in sintesi, sostiene che il mondo moderno si basa sull’illusione di aver risolto il problema della produzione. Ciò dipende dall’incapacità di distinguere tra il reddito e il capitale di cui si dispone: l’umanità sta consumando il capitale della natura a ritmi allarmanti, senza considerare che le risorse non sono infinite.
Per dare maggiore risalto a questo concetto l’autore afferma che «Al giorno d’oggi soffriamo di un’idolatria quasi universale per il gigantismo. Perciò è necessario insistere sulle virtù della piccola dimensione, almeno dovunque essa sia applicabile.»
Si tratta di affermazioni basate su basi puramente astratte, per quanto dettagliate, che non hanno un riscontro tangibile o è possibile verificarle in natura?
A questa domanda ci viene in risposta la termodinamica classica e ancor di più la termodinamica quantistica. Queste discipline, su cui si fonda tutta la consistenza della materia ma anche, e soprattutto, la base della vita, ci spiegano come un maggiore equilibrio e stabilità energetica si ottenga ogni qualvolta frazioniamo, al massimo possibile, le competenze ed i compiti energetici tra più componenti.
Si spiega così perche gli organismi pluricellulari siano dotati di microorganismi specializzati, quali sono le cellule, che svolgono particolari e specifici compiti e funzioni, tutti in relazione e compartecipazione energetica.
Si spiega così perché l’ecosistema, organismo di organismi, abbia necessità di una grande variabilità di strutture (biodiversità ed ecodiversità) per raggiungere una maggiore stabilità energetica che, tradotta in termini termodinamici, significa maggiore efficienza.
Possiamo affermare che l’efficienza energetica sia la “maggiore preoccupazione” dei sistemi ecologici, quasi a voler sfidare l’ineluttabile caducità della materia (legata all’entropia) e perpetuare quanto più possibile la vita stessa.
Ritornando così, al titolo della famosa opera di E.F. Schumacher, appare evidente quanto distacco abbia preso la società moderna da questi principi e quanto tutto ciò stia causando disagi ecologici e sociali; ricordiamo a tal proposito che quanto è maggiore la distanza dai “principi su cui si basa la Natura” tanto più si produce disagio sociale ed ecologico, che altro non è che una forma di entropia.
La tendenza inversa a questo modello naturale si è avuta nella nostra società che, negli ultimi due secoli, ha basato il suo apparente sviluppo sulle grandi concentrazioni di forme e sostanze.
Negli ultimi due secoli, con lo sviluppo dell’industria e dei servizi, il processo di inurbamento della popolazione si è andato intensificando. Secondo i calcoli della Divisione popolazione delle Nazioni Unite, nel 1950 ogni 100 abitanti del pianeta solo 29 vivevano in aree urbane. Nel 1990 questa quota era salita al 45% e la popolazione urbana era più che triplicata, giungendo a 2,4 miliardi. Nel 2009 la popolazione urbana mondiale ha superato quella rurale. Oggi vivono in aree urbane circa tre miliardi e mezzo di persone. Intorno al 2030, quando la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere gli otto miliardi, si calcola che cinque miliardi risiederanno in città.
Per conseguenza si è assistito ad una sempre maggiore distanza da ogni abitante rispetto alle risorse per sostenerlo. A sempre maggiori distacchi tra luoghi di produzione e luoghi di consumo, ad una crescita sempre maggiore del latifondo terriero (che aveva visto un barlume di speranza in alcune riforme agrarie) ad un crescente bisogno per alimentare e sostenere, con percorrenze crescenti, i grandi centri e le megalopoli del pianeta. Dall’altro, ad uno spopolamento ed al degrado di interi territori, soprattutto delle aree più interne, ed alla perdita di valore economico ed energetico di interi comprensori.
Senza addentrarci in complessi calcoli è evidente come la direzione intrapresa da questa società (che ha trascinato con se il pianeta) non possa avere un epilogo felice.
Invertire questo modello di sviluppo è, ovviamente, cosa complessa e di non rapida attuazione.
Ristabilire una equità di rapporti tra umanità ed il suo territorio è qualcosa che richiede grandi trasformazioni e grandi sacrifici.
Come possiamo riorganizzare la società rendendola sincrona ai principi della natura (che, lo ricordiamo, sono rigorosamente termodinamici)?
Dobbiamo ricostruire una società basata su piccole cellule, che siano, tra l’altro, tutte comunicanti, promuovendo un contro urbanesimo, agevolando una ridistribuzione della proprietà, raccordando, con sistemi a corto raggio, sistemi energetici (risorse, agricoltura, tradizioni, ecc.) con i fruitori energetici (ecosistemi sociali).
Nel mezzo si preannuncia, ovviamente, una identica riforma del sistema capitalistico, così come lo conosciamo, a favore di una “Economia Circolare” che, guarda caso, contiene in se i dettami di un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo garantendo dunque anche la sua ecosostenibilità.
Tutto ciò è possibile? La risposta è si ma, essendo un processo che richiede anche cambi generazionali, non è né immediato né tanto meno indolore.
Basti pensare che, nel caso di un contro urbanesimo, dobbiamo ripensare a modelli di riqualificazione urbanistica delle grandi città ed alla riorganizzazione funzionale dei piccoli centri.
Per rimanere ancora nel campo dei sistemi urbanistici prendiamo ad esempio l’Italia.
Se poniamo al 2100 la stessa popolazione del 2020 (anche se le proiezioni ci dicono che il nostro Paese ha una netta tendenza in diminuzione), cioè dei 60.000.000 di persone, e le distribuiamo sui 7903 Comuni (dato al 1º luglio 2020), avremo una densità media, per centro abitato, di 7.592 abitanti.
Se prendiamo invece, come esempio la Cina (Paese in cui a causa del controllo delle nascite ed altri fattori si avrà un notevole calo demografico) si arriverà al 2100 con circa 1.000.000.000 di persone distribuite su una superficie di 9.706.961 km², con una densità poco più di 100 abitanti km², a confronto con quella attuale di 150,5 per km² ed a confronto, ancora, con i 200,6 dell’Italia.
Anche in questo Paese la ridistribuzione cambierebbe completamente gli stili di vita ed i processi collegati.
A livello planetario, tale ridistribuzione, cambierà completamente l’organizzazione sociale, il sistema dispendioso dei trasporti su distanze sempre più lunghe, il rapporto tra persone e territori, il ruolo stesso dei territori, gli equilibri tra ecosistema sociale ed ecosistema naturale.
Otterremo quel “piccolo è bello” di cui sono fatte tutte le leggi della fisica, per attuarlo nelle leggi sociali che, solo così, diverrebbero realmente etiche ed eque, donando al Pianeta democrazia concreta.
Guido Bissanti
Bellissimo articolo, come sempre d’altronde.