Piano di riduzione della plastica in agricoltura
Piano di riduzione della plastica in agricoltura
Contesto mondiale –
Secondo un recente studio, pubblicato dalla Proceedings of the National Academy of Sciences, la produzione mondiale di plastica è passata dai 15 milioni di tonnellate del 1964 agli oltre 310 milioni attuali. Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani del mondo e, ad oggi, si stima che via siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica nei mari di tutto il mondo.
Se la tendenza dovesse rimanere quella attuale, nel 2025 gli oceani potranno avere una proporzione di una tonnellata di plastica per ogni 3 tonnellate di pesce mentre nel 2050, con i suoi 34 miliardi di tonnellate, avremo, in peso, negli oceani del mondo più plastica che pesci …. e la plastica non si mangia.
Al ritmo di crescita attuale il mondo produce 240 milioni di tonnellate di plastica all’anno di cui solamente il 3% viene riciclato; in altre parole, poco più del 96% della plastica prodotta a livello mondiale non viene riciclata e per di più la produzione di plastica assorbe l’ 8% della produzione mondiale di petrolio.
La plastica contribuisce in maniera drammatica al cambiamento climatico e dispersa nell’ambiente continua a produrre gas serra. Solo nel 2019 la sua produzione, l’incenerimento e lo smaltimento, hanno aggiunto in atmosfera più di 850 milioni di tonnellate di CO2. Una quantità enorme, pari all’inquinamento di 189 nuovi impianti a carbone da 500 megawatt.
In Italia, percentualmente i dati sono simili anche se, a dire il vero, qualcosa è cambiato negli ultimi anni. Però in mancanza di politiche risolutive che agiscano alla radice del problema, la plastica continuerà ad essere una grave minaccia per l’ambiente. Il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica (Corepla) evidenzia che, nonostante l’impegno profuso dai cittadini italiani, il riciclo di questo materiale è ancora un affare complesso: oggi solo il 43,5 per cento viene realmente trasformato in nuovi oggetti – peraltro di qualità spesso inferiore rispetto a quelli originali – mentre il 40 per cento finisce nei termovalorizzatori per la produzione di energia e il 16,5 per cento addirittura in discarica.
Di questa quota di materiali plastici purtroppo l’agricoltura gioca un ruolo particolarmente negativo.
L’agricoltura protetta nel mondo si estende per oltre 3 milioni di ettari, tra serre e tunnel e circa il 70% delle coltivazioni protette utilizza film plastici flessibili. Nel complesso, l’agricoltura produce una quota compresa tra il 3 e il 6% di tutti i rifiuti plastici prodotti a livello globale. Secondo delle stime dell’Associazione europea Materiali Plastici, il volume dei film plastici utilizzati in agricoltura ammonta a 500 mila tonnellate, tra film per serre, pacciamatura ed impianti di irrigazione.
Contesto italiano –
Si stima che in Italia, sul totale della superficie adibita esclusivamente a colture in serra, si producano 85 mila tonnellate di rifiuti plastici, di cui oltre 40 mila derivanti dalla sola pacciamatura. A questi si aggiungono quelli derivanti dall’irrigazione, circa 63 mila tonnellate, e quelli per i contenitori degli agrofarmaci, i sacchi dei concimi, le confezioni per la raccolta e la conservazione dei prodotti agricoli, ecc., altri 63 mila tonnellate. Se consideriamo poi che la produzione mondiale della plastica sta crescendo al ritmo del 3,5% all’anno, significa che ogni 20 anni, se non si pongo rimedi, la quantità di plastica prodotta potrebbe raddoppiare.
Insomma, il settore primario fa un grande uso di prodotti in plastica, spesso usa e getta, che una volta terminata la loro utilità finiscono in discarica oppure accumulati in un angolo delle aziende agricole.
In alcune nazioni alcune leggi hanno imposto il divieto di bruciare i rifiuti di plastica per evitare le esalazioni nocive. Ma gli agricoltori che portano i rifiuti nei centri di recupero sono ancora una minoranza.
All’analisi dei dati relativi agli utilizzi dei materiali plastici in agricoltura bisogna aggiungere quella determinata da alcune leggi di mercato, imposte dalla GDO, ma che oggi hanno determinato guadagni sempre più marginali a coloro che avevano scelto gli apprestamenti protetti per spuntare prezzi migliori. Ci riferiamo in particolar modo alle protezioni con film plastici per far anticipare o posticipare alcune produzioni come alcune ortive o come produzioni frutticole, uva da tavola su tutte.
Gli ultimi eventi, legati al COVID19 hanno accentuato una tendenza che era di fatto già in atto, come il crollo di questi prezzi, tra cui quello dei cantalupi, dei meloni, di altre ortive e delle uve da Tavola.
Questione agroalimentare –
Negli ultimi tempi l’attenzione su una alimentazione salubre non poteva non coinvolgere anche i prodotti agricoli ottenuti fuori stagioni. Le condizioni climatiche dei prodotti agricoli maturati durante la propria stagione sono ovviamente superiori a quelli prodotti con sistemi forzati. La presenza di oli essenziali, vitamine, sali minerali e quanto altro è notoriamente migliore nei prodotti maturati secondo natura.
Soprattutto per i bambini, mangiare prodotti di stagione, come sottolineato anche da recenti campagne del Ministero della Salute, vuol dire “salute”. Ogni frutto e ortaggio possiede una certa composizione caratteristica e attuare una distribuzione secondo le stagioni vuol dire diversificare naturalmente l’apporto di vitamine e sali minerali. In questo modo soprattutto le fasce più giovani della popolazioni possono assorbire il giusto mix di sostanze fondamentali per soddisfare tutte le sue necessità, attuando una equilibrata e sana alimentazione.
Per di più produrre, soprattutto in serra, significa spesso dover sopperire ad una accelerazione di fattori patogeni che spesso si risolvono con un maggiore uso di agrofarmaci che peggiorano ancor di più le caratteristiche organolettiche di questi prodotti.
Le coltivazioni in serra o in tunnel poi, difficilmente possono entrare in consociazione con le altre coltivazioni aziendali, facendo discostare, e non di poco, l’ipotesi di coltivazioni ottenute con tecniche agroecologiche e quindi più rispettose degli equilibri eco sistemici dell’ambiente in cui vengono effettuate.
Questione sociale ed ambientale –
Oltre agli evidenti aspetti negativi legati all’apporto di materiali plastici derivanti da questo modello agricolo bisogna sottolineare altri due aspetti, per certi versi anche peggiori.
È noto come le coltivazioni in serra, al di la della maggiore incidenza economica per la realizzazione di questi apprestamenti, comportano una maggiore emissione di gas climalteranti che, secondo alcune stime, possono giungere fino a 70 volte quelle provenienti da produzioni convenzionali. Tali emissioni sono anche legate al maggior uso di acqua di irrigazioni e di impianti conseguenti, non in linea con quelle che sono oggi invece le necessità di limitare l’impiego dell’acqua in agricoltura e di migliorarne l’efficienza.
Una emissione di gas a effetto serra non giustificata da nessun utile economico ottenuto da parte delle singole aziende agricole che grava pesantemente sul futuro della nostra terra.
Se a questo aggiungiamo l’incremento percentuale dell’uso dei pesticidi utilizzati nelle colture protette, con l’aumento delle percentuali delle morti degli addetti al settore e di quelle derivanti dal consumo di prodotti che non dovrebbero essere idonei nemmeno all’alimentazione animale, ben si capisce come un rimedio deciso e programmato vada adottato.
Oggi nel mondo si hanno, ventisei milioni di casi di avvelenamento all’anno, oltre 71 mila al giorno (più o meno gli abitanti di una città grande come Pavia), dovuti all’impatto dell’intossicazione acuta da pesticidi. A questi va sommato l’effetto delle piccole dosi ripetute nel tempo, su cui negli ultimi anni si sta concentrando l’attenzione della comunità scientifica, che determinano un incremento significativo del rischio di patologie cronico-degenerative (cancro, diabete, malattie neurodegenerative, malattie cardiovascolari, disturbi della sfera riproduttiva).
Per questo motivo il teorema delle produzioni protette, fatta eccezione per alcune attività vivaistiche ed altre più marginali non ha più ragione di essere.
Come fare però a riconvertire un settore “politicamente” molto complesso per le evidenti ricadute negative di brevissimo periodo ma per gli innegabili vantaggi sociali ed ecologici di medio-lungo periodo.
È stata soprattutto la FAO che ha preso in considerazione questi fattori indicando nella necessità della conversione agroecologica delle produzioni agricole l’unica via di uscita a questo vortice da cui sembra difficile uscire.
Rimedi e proposte possibili –
Ovviamente i rimedi ad una tale questione non possono essere immediati anche se le questioni richiederebbero soluzioni molto rapide per scongiurare una catastrofe ecologica e quindi sociale di immane proporzioni.
La soluzione più semplice, oltre a quella di accelerare il riciclo dei materiali plastici già esistenti è quello di bandire completamente l’suo delle plastiche convenzionali a favore di quelle riciclabili. In tale contesto bisogna considerare subito l’ipotesi di un sostegno finanziario e fiscale agli operatori che dovranno “convertirsi” a questi materiali.
Bisogna attuare però un piano a più ampio respiro considerando il passaggio dalle colture protette ad un modello agroecologico.
Questo comporta ovviamente una riorganizzazione tra l’offerta di questi prodotti, che normalmente vengono destinati alla GDO, ed il consumo. Una riconversione di questo tipo equivale a dire che gli agricoltori “convertiti” dovranno rimodulare le loro produzioni secondo un target locale, diminuendo pertanto la specializzazione di intere superfici verso diversificazioni produttive adatte ad un mercato a più corto raggio.
Significa ripensare anche a sistemi di mercato diversi dove il rapporto produttore/consumatore sia finalmente più equilibrato. Il vantaggio di questa conversione è anche la diminuzione del chilometraggio dei trasporti che negli ultimi decenni è andato sempre più incrementandosi.
Piano di riconversione aziendale –
È necessario pertanto un piano di riconversione aziendale, ad adesione volontaria, che preveda un periodo di 5-10 anni di sostegno a questi agricoltori.
Questo piano deve prevedere un sostegno di dettaglio all’abbandono delle produzioni in coltura protetta, alla sostituzione dei materiali plastici, all’ipotesi di uso delle pacciamature vegetali in sostituzione dei film plastici ed alla riconversione nella direzione agroecologica di queste coltivazioni.
Il piano deve presentarsi come sistema di sostegno straordinario alle famiglie ed agli operatori del settore con un intervento straordinario teso a sostenere il reddito derivante dall’attività agricola e come sistema di sostegno all’assistenza tecnica ed alla formazione per la conversione agroecologica.
I fondi necessari a tale intervento non vanno inquadrati nei programmi di Sostegno all’agricoltura (come il PSR, di cui si dirà in seguito) ma con un Finanziamento Climatico da discutere preliminarmente a livello centrale Europeo ed inquadrato nella più ampia tematica legata ad Agenda 2030.
Parallelamente il prossimo PSR (2020-2027) che potrebbe comunque slittare per via degli eventi legati al COVID-19 non può che allinearsi a questa visione escludendo sistematicamente il finanziamento ad apprestamenti o opere in contrasto con questa visione.
Il presente Piano va discusso negli ambiti regionali, nazionali ed europei ma deve trovare, sin da subito, la predisposizione di documenti di proposta e di linee guida inequivocabili.
Guido Bissanti