L’Agricoltura nella antica Cina VI
L’Agricoltura nella antica Cina – VI parte
Le tracce sui brani precedenti sono alquanto frequenti; ad esempio si riporta il seguente brano dalle Primavere e autunni del Signor Lü, che contiene una citazione da un testo intitolato Libro del Principe Miglio (Houji shu, in riferimento al capostipite della dinastia Zhou):
– “Sapete come rendere fertile il terreno basso e acquitrinoso? Sapete come proteggere i terreni asciutti e temperarli con l’umidità? […] Sapete fare in modo che le pannocchie del vostro miglio siano ben arrotondate e le bucce sottili, che i suoi granelli siano numerosi e pieni, così da avere cibo in abbondanza? Come potete ottenere tutto ciò? Applicando questi principî fondamentali di lavorazione del terreno: è necessario indebolire i [terreni] forti e rafforzare quelli deboli. Il [terreno che ha] riposato deve lavorare, quello affaticato deve riposare. Il magro va ingrassato, il grasso dimagrito. Il compatto deve essere reso soffice, il soffice compatto. L’umido deve essere asciugato e l’asciutto inumidito […]. Lavora il terreno cinque volte e sarchialo cinque volte. Osserva scrupolosamente queste regole. (Lüshi chunqiu, p. 27 e segg.)”.
Questo brano è a sua volta citato nelle Tecniche essenziali per il popolo, seguito subito dopo da una citazione dal Libro di Fan Shengzhi: “Quando gli albicocchi iniziano a fiorire, ara immediatamente i terreni leggeri e deboli; ripeti l’operazione quando i fiori degli albicocchi cadono a terra. Dopo l’aratura, appiattisci subito il terreno […]. Se il suolo è molto leggero, è consigliabile farlo calpestare dal bestiame. Questo è ciò che si dice ‘rafforzare i terreni deboli’“ (Qimin yaoshu jinshi, 1.12, p. 1).
Il Libro del Principe Miglio non è comunque menzionato nella bibliografia Han ed è probabile che non fosse direttamente accessibile a Jia, e forse neppure a Fan; tuttavia, era citato nelle Primavere e autunni del Signor Lü, un testo di filosofia della Natura molto popolare e conosciuto al tempo.
Da questo si può dedurre che Jia non conosceva direttamente tutte le opere menzionate nel suo libro, ma in ceri casi citava brani riportati da altri, attingendo dalle fonti a lui accessibili interi passaggi che comprendevano una citazione di un’opera precedente e una sequenza storica composta da esegesi, commento e prove favorevoli o contrarie fornite da autori successivi.
Anche se questi brani erano seguiti dalle osservazioni dell’autore, secondo un consueto modello della cultura cinese di quei tempi, tuttavia, appare sorprendente che un oscuro funzionario dell’inizio del VI sec. potesse avere accesso alla consultazione o perfino possedere una copia (eseguita da lui stesso o da qualcun altro) di un numero così elevato di testi che, ovviamente, a quel tempo circolavano soltanto in forma manoscritta.
A parte queste considerazioni è stata a lungo dibattuta la questione se le Tecniche essenziali per il popolo si rivolgessero a un pubblico formato da semplici agricoltori, come sembra suggerire il titolo, o costituissero piuttosto un manuale per i grandi proprietari terrieri (Kumashiro 1971; Herzer 1972).
In poche parole, Jia Sixie scriveva in veste di funzionario o in quella di proprietario?
Uno storico dell’agronomia occidentale troverà forse futile o sorprendente che questo punto possa essere oggetto di discussione; nella tradizione agronomica greca, romana ed europea l’esperienza delle grandi tenute agricole ha rappresentato, infatti, una fonte costante di esperienze e d’innovazioni.
In occidente, infatti, scrittori come Catone (234-149 a.C.), Columella (I sec. d.C.) o Gervase Markham, pur essendo convinti di essere depositari di conoscenze universalmente valide che avrebbero contribuito al benessere generale, si rivolgevano ai loro pari, e non ai semplici contadini.
In Occidente in pratica, non è mai esistito, e per certi versi non esiste ancora l’equivalente di questa forma di divulgazione agricola, scritti cioè da funzionari per il pubblico più vasto, che in Cina svolse un ruolo invece tanto importante.
L’idea che lo Stato potesse promuovere il miglioramento della qualità del lavoro degli agricoltori, o che questo fosse il mezzo più appropriato per favorire il progresso in campo agricolo, era del tutto estranea alla mentalità occidentale.
Di fatto, a tutt’oggi, questo difetto di pianificazione è ancora insito negli Stati moderni occidentali che, guardano più al mercato agricolo (dal Trattato di Roma del 1960 ad oggi) che ad una pianificazione sostenibile della produzione e delle risorse.
In Cina, al contrario, questa visione, oltre 2.000 anni or sono, era già uno dei capisaldi del di una vera pianificazione agricola, anche se non possiamo affermare con certezza che qualcuno dei trattati più antichi fosse rivolto in modo specifico a un pubblico di contadini, come è il caso di alcune grandi e influenti opere composte in epoche successive.
In quell’epoca quasi tutti i governi cinesi attuarono politiche volte a incoraggiare e migliorare il lavoro dei piccoli proprietari; una strategia che era in linea all’etica politica confuciana, che imponeva di governare a beneficio del popolo, sia al principio legista d’incrementare le entrate dello Stato attraverso la tassazione diretta dei produttori agricoli; per di più la presenza di grandi latifondi e dei relativi proprietari terrieri, poteva inoltre rappresentare una minaccia per il governo centrale.
La logica era ovviamente che il controllo di larghe porzioni di territorio da parte delle famiglie più ricche non soltanto andava a discapito dei piccoli agricoltori, costretti al pagamento di pesanti fitti o ad accettare l’umiliante condizione di servi, ma erigeva anche una barriera tra il governo e il popolo, e provocava una diminuzione delle entrate fiscali. Una politica che comunque vista dal lato dei contadini, quando vi era scarsità di terra coltivabile, diventava molto difficile e rischioso guadagnarsi da vivere come coltivatore diretto e, in una situazione d’instabilità sociale, il fatto di trovarsi alle dipendenze di un potente proprietario locale presentava indubbi vantaggi.
Fu per questo motivo che durante tutto il periodo della dinastia degli Han anteriori lo Stato promulgò una serie di efficaci leggi contro il latifondo e per l’assegnazione di lotti di terreno ai contadini. In quest’epoca si costruirono nuovi sistemi d’irrigazione e i contadini furono istruiti sulle diverse tecniche di coltivazione, con un notevole miglioramento della produttività.
Guido Bissanti