Geum urbanum
Geum urbanum
La cariofillata o “erba benedetta” (Geum urbanum L.) è una specie erbacea appartenente alla famiglia delle Rosaceae.
Sistematica –
Dal punto di vista sistematico appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Sottoregno Tracheobionta, Superdivisione Spermatophyta, Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Sottoclasse Rosidae, Ordine Rosales, Famiglia Rosaceae, Sottofamiglia Rosoideae e quindi al Genere Geum ed alla Specie G. urbanum.
Etimologia –
Il termine Geum proviene dal greco γεῦμα gheúma, che significa assaggio, gusto, buon sapore.
L’epiteto specifico urbanum, viene da urbs, úrbis città: di città, per la sua diffusa presenza in ambienti urbani.
Distribuzione Geografica ed Habitat –
La cariofillata è una pianta presente in Europa o in Medio Oriente ed è distribuita nelle zone fredde e temperato-fredde ed è molto diffusa soprattutto ai margini nei boschi nell’Italia settentrionale, mentre risulta molto difficile da trovare altrove in Italia. Il suo habitat è dal mare alla zona montana (fino a 1600 metri) nei boschi di latifoglie, nelle macchie, nei terreni abbandonati, lungo i muri e in genere in luoghi freschi e ombrosi.
Descrizione –
Geum urbanum è una specie erbacea perenne, pelosa, che cresce tra 30 e 100 cm di altezza e presenta una radice con odore aromatico di garofano.
Il fusto è eretto, ramoso, foglioso.
Le foglie basali sono pennate a 5-7 segmenti ineguali, il terminale più grande, con margine dentato; le foglie cauline minori sono a lamina tripartita o completamente divisa in tre segmenti ovati o lanceolati, alla base stipole grandi, fogliacee, subrotonde.
I fiori sono solitari, numerosi, con diametro di 1-1,5 cm, con calice verde a lacinie riflesse dopo la fioritura e petali gialli, obovati, eguali al calice o più brevi.
L’impollinazione è entomofila, soprattutto ad opera delle api.
L’antesi è tra Maggio e Luglio.
Il frutto è un acheneto (poliachenio) formato da numerosi acheni di 3-4,5 x 1,4-1,5 mm, con pochi peli, sormontati dallo stilo di 6-7 mm diviso in due articoli il persistente dei quali è terminato da una spina ricurva simile ad un amo.
Coltivazione –
La cariofillata è un’erba perenne spontanea che cresce soprattutto in climi freddi e temperato-freddi fino ad un’altitudine di 1600 m. s.l.m.
Ci silimita pertanto alla fase di raccolta che deve avvenire di preferenza alla fine dell’inverno e l’inizio della primavera poiché è in quel periodo che la fragranza è più accentuata.
In ogni caso la pianta può essere propagata anche tramite apparato radicale e tende facilmente ad ibridarsi in natura con altre specie dello stesso genere quale Geum rivale.
In questo caso comunque il risultato è di un ibrido che presenta una radice di qualità inferiore e profumo più leggero o quasi inesistente.
Usi e Tradizioni –
La cariofillata comune, conosciuta localmente come ambretta, garofanaia o erba benedetta. Quest’ultimo termine, secondo alcuni, è legata al fatto che veniva coltivata soprattutto dai benedettini nei loro monasteri, quando le erbe selvatiche erano coltivate e quindi non proprio selvatiche e entravano a far parte della cosiddetta alchimia dei semplici. Per altri autori il nome originario le fu assegnato per essere un antidoto, alludendo a una leggenda riferita a San Benedetto. Si racconta infatti che una volta un monaco offrì a San Benedetto un calice di vino avvelenato ma quando il santo lo benedisse il veleno, essendo una sorta di spirito maligno, volò via con tale forza che il calice in vetro si frantumò in mille pezzi, rivelando così il crimine nascosto nell’avvelenamento.
Nel folklore dei Paesi, soprattutto del nord Europa, a questa pianta, un tempo veniva attribuito il potere di scacciare gli spiriti maligni e di proteggersi dai cani rabbiosi e dai serpenti velenosi. Era inoltre associata al cristianesimo perché le sue foglie crescevano in tre e i suoi petali in cinque (che ricordano, rispettivamente, la Santissima Trinità e le Cinque Ferite).
Astrologicamente, si diceva che fosse governata da Giove, legata all’elemento Terra, rappresentando l’espansività e la giovialità, la fiducia nella vita e la gioia di vivere, la crescita, la maturità e lo sviluppo, e l’arricchimento.
Questo legame è dovuto al fatto che Giove governa il fegato, che produce energia attraverso l’elaborazione degli zuccheri; inoltre Giove governa la testa, visto che nell’Olimpo degli dei Giove è il capo, il signore di tutte le altre divinità.
Secondo questa tradizione sono collegate a Giove tutte le erbe che hanno attinenza con il fegato e con la testa, come ad esempio il carciofo e il noce.
Del Geum urbanum nel corso della storia umana si raccoglieva soprattutto la radice come spezia aromatizzante nelle zuppe e in particolare, nei paesi del nord e soprattutto nel Regno Unito, per aromatizzare la birra.
In fitoterapia il legno di questa pianta è stato dichiarato utile nel trattamento per i morsi di veleno e cane. Paracelso ha suggerito il suo uso contro malattie epatiche, catarro e disturbi di stomaco.
Sia le foglie che le radici del Geum urbanum sono state usate nella medicina interna della tradizione austriaca come tè, per il trattamento di reumatismi, gotta, infezioni e febbre.
Gli erboristi moderni lo usano anche per trattare la diarrea, le malattie cardiache, l’alitosi e le ulcere della bocca e per prevenire le coliche. Chiaramente non tutti questi usi sono ancora supportati da prove scientifiche.
Nei tempi antichi veniva indossata anche come amuleto, perché, come scritto nell’Ortus Sanitatis (pubblicato nel 1491) “Dove la radice prende dimora Satana non può far nulla e da essa vola via, per cui essa è benedetta prima di tutte le altre erbe, e se un uomo porta la radice con sé nessuna bestia velenosa può fargli del male”.
Nell’epoca dei Tudor nel Regno Unito si era soliti appendere mazzetti di Geum urbanum con tutte le radici negli armadi per allontanare le tarme.
Evidentemente a questa pianta si attribuivano forti poteri protettivi: poteri di allontanare i demoni e, se la guardiamo con occhi moderni, non siamo lontani dalla verità. L’erba benedetta ha infatti dei potenti costituenti che allontanano la malattia.
È infatti un’erba antinfiammatoria, antisettica, aromatica, astringente, diaforetica e tonica.
La radice polverizzata è stata utilizzata a lungo come sostituto del chinino nel trattamento della febbre.
Aggiungendola a un insieme di erbe per farne una tisana, ad esempio con sambuco, Filipendula ulmaria e anche un po’ di tiglio, è utile per far sudare e abbassare la temperatura in caso di febbre.
L’alto contenuto di tannini fa del Geum urbanum un’erba astringente, da usare specificatamente per trattare problemi che riguardano la bocca, la gola e il tratto gastro-intestinale. Fortifica le gengive infiammate, guarisce le afte e le stomatiti, è ottima per fare i gargarismi in caso di infezioni della bocca e della gola e riduce le irritazioni dello stomaco e dell’intestino.
In olandese l’erba benedetta è chiamata nagelkruid e il chiodo di garofano kruidnagel: del resto è risaputo che la radice del Geum urbanum ricorda, soprattutto nell’odore, la cannella ma soprattutto il chiodo di garofano. Contiene infatti eugenolo, che ha proprietà antibatteriche. È proprio l’eugenolo che, in combinazione con i tannini, la rende ottima per le infezioni della bocca.
Le parti usate sono le foglie tenere, fresche nelle insalatine miste; bollite nelle minestre e nelle zuppe, da raccogliere nel periodo di Marzo – Maggio.
Modalità di Preparazione –
Se utilizzate la radice del Geum urbanum, questa va pulita con attenzione per eliminare eventuali residui di terra e maneggiata con molta cura in quanto gli oli, volatili, potrebbero perdersi durante il processo, esattamente come durante il processo di essiccazione.
Le radici vanno essiccate intere e spezzettate o macinate solo dopo, prima dell’uso. Si può utilizzare un macinino così da utilizzarle come fossero cannella in polvere. Storicamente era questo il modo in cui esse venivano utilizzate come aromatizzante per la birra dagli anglosassoni.
Se siete nel periodo dell’anno in cui non si possono raccogliere le radici queste possono essere raccolte anche verdi, prima però che la pianta vada in fiore.
Le radici più sottili sono quelle più profumate mentre la parte delle radici attaccata alla pianta non dà alcun sapore e non ha alcun profumo.
Le foglie possono essere utilizzate crude in insalata o nelle zuppe.
Si possono inoltre preparare dei colluttori.
In questo caso si dovrà riempire un barattolo di vetro per metà con radici di Geum urbanum lavate e fatte a pezzettini e ricoprite di vodka o gin (non importa che tipo di alcool utilizziate, l’importante è che abbia una gradazione di circa il 40%). Bisogna fare attenzione che tutte le radici siano ricoperte dal liquido.
A questo punto dovete lasciare in infusione per 6 settimane al termine delle quali filtrerete con un panno di lino o un canovaccio pulito. Versate in una bottiglia di vetro scuro e etichettate.
Si usa mettendo un cucchiaino in metà bicchiere d’acqua per fare dei semplici sciacqui dopo aver lavato i denti, e così è ottimo per fortificare le gengive. In caso di infezione ne userete un cucchiaio, e anche per fare i gargarismi in caso di mal di gola, che facendo gli sciacqui due volte al giorno fa passare in 24 ore.
Interessante è anche la preparazione di una tisana invernale del bosco.
Gli ingredienti sono: due radici di Rumex crispus, due radici di Geum urbanum, una manciata di gelsi essiccati, due stecche di cannella, un pezzo di radice di zenzero, un cucchiaio di tè verde in foglie o di foglie di Geum urbanum spezzettate; pepe nero a piacere (opzionale); un litro d’acqua (o quattro tazze).
Il procedimento consiste nel portate l’acqua ad ebollizione con tutti gli ingredienti all’interno. Spegnete il fuoco quando arriva a bollore e sistemate la pentola con tutto il liquido dentro e il coperchio in una coperta. Se volete una tisana leggera dopo dieci minuti, se no dopo trenta minuti per una bella tisana forte, togliete il coperchio.
L’acqua avrà una colorazione nera e l’aroma sarà forte e molto piacevole.
Questa può essere bevuta tal quale (se si gradisce il gusto amaro) altrimenti potete addolcire con un dolcificante naturale ma anche con latte di mandorla.
Attenzione, perché spesso nei boschi vicino l’erba benedetta cresce l’elleboro. Quest’ultimo è estremamente tossico se non addirittura mortale. Le foglie delle due piante sono molto diverse ma le radici sono molto simili, per cui raccogliete solo le radici attaccate alla pianta di modo da non sbagliare.
In ogni caso si consiglia di non farne abuso ma usarla con le dovute proporzioni e quantità.
Guido Bissanti
Fonti
– Acta Plantarum – Flora delle Regioni italiane.
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.
Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.