Italia sempre più povera e meno sovrana
Italia sempre più povera e meno sovrana
Mentre è in fase di completamento il 7° Censimento generale dell’Agricoltura ISTAT, che dal 2022 diventerà permanente (annuale invece che decennale) e digitale, i dati provenienti dal 6° censimento, congiuntamente a quelli provenienti da altre fonti, come l’ISPRA, non lasciano alcun dubbio interpretativo.
Ma partiamo dai report derivanti dalle indagini ISPRA.
Secondo questi dati, negli ultimi 25 anni, si sono persi più di un quarto di terreni agricoli, in parte per la cementificazione, spesso legata ad una incontrollata regolamentazione urbanistica (abusivismo ed errata pianificazione) ed in parte per il degrado degli stessi per varie cause.
Solo nel 2019 si sono persi terreni con un ritmo di circa 16 ettari al giorno, 57 chilometri quadrati in un anno, secondo l’ultimo Rapporto ISPRA SNPA sul consumo di suolo in Italia 2020. Suolo che è stato artificializzato, cementificato e degradato.
Dati preoccupanti, ovviamente, anche per gli effetti sull’agricoltura. Secondo un’analisi di una Associazione di categoria, in 25 anni in Italia è sparito il 28% della terra coltivata. La perdita di terreno agricolo – oggi ridotto a 12,8 milioni di ettari – ha conseguenze pesanti anche dal punto di vista economico. Le aree perse negli ultimi sette anni – dal 2012 al 2019 – garantivano 3,7 milioni di quintali di prodotti agricoli, per un valore stimato in quasi 7 miliardi di euro.
Al danno economico si aggiunge che la perdita di aree agricole coltivate si traduce in mancata manutenzione del territorio, maggior degrado e incuria. Elementi che, assieme alla cementificazione selvaggia, possono contribuire a quei fenomeni di dissesto idrogeologico sempre più frequenti (più del 91% dei Comuni italiani è a rischio frane e alluvioni).
Inoltre il suolo consumato in Italia solo nel 2019 – sempre secondo il rapporto ISPRA – garantiva lo stoccaggio di due milioni di tonnellate di carbonio, l’infiltrazione di oltre 300 milioni di metri cubi di acqua di pioggia che ora, scorrendo in superficie, non sono più disponibili per la ricarica delle falde e aggravano la pericolosità idraulica dei nostri territori. Il danno quantificato si aggira intorno a 3 miliardi di euro.
In definitiva, solo negli ultimi 10 anni, in Italia sono stati ridotti in stato di abbandono terreni agricoli dell’estensione pari all’intera Calabria.
A questo si aggiungono e si completano i dati provenienti dall’ultimo censimento ISTAT dal quale emerge che ci sono sempre meno aziende agricole (sono circa un milione e 600 mila, con una diminuzione del 32,2% fra il 2000 e il 2010) ma la loro dimensione media è aumentata del 44,4% ed è ora pari a 7,9 ettari. Si sta verificando un fenomeno di fusione e concentrazione. Con questo processo, però, si sono persi per strada 15.000 chilometri quadrati che 10 anni fa facevano parte della superficie delle aziende agricole ed ora non più.
Questi15.000 chilometri quadrati in 10 anni facevano parte della SAT (Superficie Agricola Totale), che comprende non solo i campi veri e propri ma anche i boschi, gli stagni, i canali, i giardini e insomma tutto ciò che è situato entro il perimetro dei terreni che costituiscono un’azienda.
Adesso i boschi non verranno più ripuliti, i canali non verranno più sottoposti a manutenzione, ecc..
Un abbandono particolarmente massiccio soprattutto in Liguria e in Valle d’Aosta ma anche in regioni del sud come la Sicilia.
Ma nonostante questi dati, che emergono da indagini, censimenti e studi ufficiali, l’evoluzione di questo fenomeno è tutt’altro che sotto il controllo della politica, e quindi di un’attenta pianificazione.
Negli ultimi tempi si sono aggiunti a questi processi nuovi fenomeni e meccanismi, in parte nuovi ed in parte, negli ultimi anni, in fase di evolutiva.
Tra questi citiamo, soprattutto:
– Una sempre minore appetibilità all’attività agricola o zootecnica per l’effetto di livellamento in basso dei prezzi dei prodotti agricoli, determinati dalla grande distribuzione e da un mercato agroalimentare internazionale fuori controllo;
– Invasione, sui terreni agricoli, di impianti per la produzione di energia rinnovabile, con la realizzazione, in testa a tutti, di mega impianti fotovoltaici, con sottrazione di ulteriore suolo agricolo e interferenza sull’appetibilità delle attività agricole e del mercato fondiario.
Tutto questo mentre Agenda 2030 si pone con una nuova idea di integrazione dei processi di pianificazione politica degli Stati aderenti all’ONU e mentre il Green Deal, ed al suo interno, la Farm to Fork strategy indicano percorsi in direzione opposta.
Tutto questo mentre si continua ancora nella direzione di un liberismo capitalistico, evidentemente fallito e fallimentare, e non si notano interventi politici seri e decisi nella direzione dell’applicazione dei principi basilari per l’attivazione dell’Economia Circolare.
La risultante, drammatica, e forse ancora non compresa, per i futuri equilibri, anche di stabilità politica, è che ci avviamo, se non si prendono seri provvedimenti (subito e non fra 10 anni), ad un’Italia sempre più povera sia in termini di patrimonio ecologico ed agricolo ma anche in termini monetari e sempre più dipendente da sistemi agroalimentari esteri e, quindi, sempre più debole politicamente.
A chi ci governa è troppo se chiediamo di ragionare da Statisti?
È troppo comprendere che la base per una sana economia è il settore primario e che perso questo non c’è futuro per le prossime generazioni?
Guido Bissanti