Inseriamo la Biodiversità nei bilanci di Stato
Inseriamo la Biodiversità nei bilanci di Stato
Siamo così abituati ad ascoltare le analisi sui bilanci economici dei nostri Paesi, sia a livello locale che internazionale, che spesso ci sfugge il nesso tra essi e la reale ricchezza di un territorio.
Se poi questa riflessione viene riportata negli ambienti normativi e legislativi la questione si fa ancora più complessa perché, ad oggi, non esiste un sistema ufficiale che consenta di attribuire un valore monetario ai patrimoni ecologici e naturalistici di un Paese.
Facciamo un esempio concreto.
Se oggi dovessimo fare una legge che tenda a salvaguardare o, meglio, ad incrementare la biodiversità di un Paese, questa norma si scontrerebbe immediatamente con le regole finanziarie di quel Paese. Infatti se la legge prevede una spesa per tale azione (la salvaguardia o l’aumento della biodiversità) bisognerà prevedere un apposito capitolo di bilancio nella finanziaria e, statene certi, non potendo valutare il ritorno in termini economici di questa azione (perché come detto non esiste il sistema ufficiale di misurazione monetaria della biodiversità e quindi dei suoi servizi) quella legge troverebbe serie difficoltà ad essere emanata.
Al solito, la scusante, che gran parte della classe politica addurrebbe, sarebbe che la legge ha “nobili” intenti ma non c’è la copertura finanziaria; poi si scopre che la copertura finanziaria per altre norme (senza voler citare quella degli stanziamenti militari e di altre azioni quantomeno discutibili) si trova.
E così, giorno dopo giorno, l’ingente patrimonio su cui ruota tutta l’economia del Pianeta perde sempre più pezzi in conseguenza del fatto che non attribuiamo (o non sappiamo attribuire, il che ha lo stesso effetto) un valore patrimoniale e quindi monetario alla biodiversità e, di conseguenza attuiamo politiche non ecosostenibili.
Per pura sottolineatura mnemonica si ricorda il concetto di biodiversità:
– Per diversità biologica si intende la variabilità tra gli organismi viventi di tutti gli ambienti; inclusi, tra gli altri, gli ecosistemi terrestri, acquatici e marini e i complessi ecologici dei quali essi sono parte. Questo comprende la diversità all’interno delle specie, tra le specie e negli ecosistemi.
Per esempio, nel campo dell’agricoltura, che è una delle attività umane che interferisce con le sue pratiche sulla biodiversità, si tende a fare analisi di mercato, e quindi economiche, senza tenere conto che ogni giorno che passa, con la perdita della biodiversità (nella sua accezione più ampia) il sistema tende ad impoverirsi non solo in termini di specie e varietà coltivabili (oggi nel mondo, delle 30.000 specie di piante commestibili, se ne coltivano appena 200; di queste soltanto 8 forniscono oltre il 50% delle nostre calorie giornaliere) ma anche in termini di ricchezza dell’ecosistema per la perdita degli insetti, dei mammiferi, degli uccelli, per l’impoverimento dei suoli, per l’inquinamento dell’ecosistema, ecc..
È notorio che in un ecosistema più povero anche la produttività delle specie resistenti subisca una diminuzione rilevante, infatti la perdita di biodiversità riduce la produttività delle piante rimaste.
Nonostante tutte le rilevanze scientifiche il dibattito politico, se non nei proclami di Agenda 2030 e, in Europa, del Farm to Fork del maggio 2020, è ancora quasi non pervenuto e dove si accenna a proporre leggi o norme che potrebbero invertire un pericolosissimo processo di impoverimento economico legato alla perdita di biodiversità, ci si scontra con questioni e logiche nazionali ed europee, strutturate su una cultura politica e soprattutto su una ideologia che va urgentemente superata se non vogliamo pagare un prezzo troppo alto.
Non possiamo continuare a legiferare tenendo come parametro di riferimento un bilancio di un Paese se in questo bilancio non si inserisce una coerente contabilizzazione della biodiversità; purtroppo la biodiversità non è depositata presso nessuna Banca mentre i valori monetari hanno dei padroni ben agguerriti.
In Italia la questione è ancora più paradossale: deteniamo il più grande patrimonio di biodiversità a livello europeo (quindi saremmo anche il Paese più ricco, anche in termini monetari) ma nel nostro Paese, come nel resto dell’Europa, quasi un quarto delle specie selvatiche è attualmente minacciato di estinzione e il degrado della maggior parte degli ecosistemi ha raggiunto un’entità tale per cui essi non sono più in grado di fornire i loro preziosi servizi.
In poche parole tale degrado si traduce in enormi perdite socioeconomiche per i Paesi dell’Unione, senza che nessuno Stato sappia contabilizzarne i servizi.
Si parla tanto di riforme costituzionali e, senza entrare nella demagogia e pericolosità di alcune, non si pone al centro delle riforme la più necessaria: porre i valori ambientali come patrimonio economico delle Nazioni, non solo in termini etici o sentimentali ma soprattutto come attribuzione monetaria certa.
Se non si va in questa direzione, se non si fa questo passaggio non ci sarà né in Italia né in alcun Paese del mondo più futuro e qui vale la pena di ricordare un vecchio detto ma di grande attualità “Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.
Mancano oramai 9 anni al raggiungimento di Agenda 2030, siamo ancora in ritardo per raggiungere questo obiettivo e non lo si potrà realizzare se non cambiamo le regole che stanno sopra i bilanci di Stato. Alla Biodiversità spetta il primo posto in questa nuova Costituzione, altrimenti all’Umanità toccherà l’ultimo.
Guido Bissanti