Transizione ecologica e democrazia energetica
Transizione ecologica e democrazia energetica
Il XXI secolo si è aperto all’insegna delle grandi sfide e delle innumerevoli emergenze che coinvolgono l’intero pianeta.
Crisi ecologiche, climatiche e sociali che pretendono risposte ma anche nuove domande. Come si è arrivati a tanto e perché non si è agito per tempo? Ma soprattutto come affrontare un futuro che ci permetta di non cadere in quella che sembra una voragine inevitabile.
Eppure sembra che la storia abbia sincronizzato una serie di timer con scadenze coincidenti.
Basti pensare che secondo le Nazioni Unite e, concordemente per l’Unione Europea, tutti i programmi politici devono convergere verso un’economia climaticamente neutra entro il 2050; il che equivale, secondo anche quanto previsto da Agenda 2030, a una democrazia condivisa da tutti i popoli ed al rispetto dei loro diritti.
Una sintesi che, ovviamente, contiene un programma ambizioso, soprattutto per le ricadute di ordine etico e politico che comporta.
Sullo sfondo l’atro timer energetico che, secondo le stime del World Energy Outlook 2015 dell’Agenzia internazionale per l’energia (IEA), ci dice che agli attuali tassi di produzione, il petrolio si esaurirà in 53 anni, il gas naturale in 54 anni e il carbone in 110.
L’altro timer che invece preoccupa di più è quello della crisi ecologica. Secondo le stime più accreditate entro la fine del secolo il 50 per cento delle specie viventi rischia di scomparire, se non si interviene subito con decisione; un dato che è emerso dal rapporto di alcuni scienziati che si sono riuniti in Vaticano in occasione della conferenza Biological Extinction, svoltosi dal 27 febbraio al 1° di marzo, e a cui hanno partecipato biologi, ecologi ed economisti.
La questione di fondo, e di cui si discute troppo poco, è che senza democrazia energetica si rischia di non andare da nessuna parte, qualunque siano gli sforzi che si fanno.
Quando parliamo di democrazia energetica ci riferiamo alla possibilità che deve avere ogni persona per contribuire ai fabbisogni generali. Non più i monopoli mondiali a gestire le fonti energetiche ma le comunità. L’energia primaria fonte della democrazia e dei diritti di tutti.
Perché quindi la democrazia energetica? Perché la tanto inseguita economia circolare non è attuabile senza la possibilità che ogni persona contribuisca al flusso ed alle condivisioni che il sistema sociale deve generare.
I monopoli generano predominanza, colonialismo, assoggettamento; ne è piena l’intera storia, soprattutto degli ultimi secoli, con popoli assoggettati, deportati, annientati, in nome dei conquistatori e dei dominatori. Dagli Indiani di America, di cui si stimano tra 55 e oltre 100 milioni di vittime, agli Armeni, Ebrei, Tutsi e così via, per un numero inestimabile di soprusi dei diritti, perpetrati in nome della diffusione delle “civiltà” dei conquistatori.
È la storia del liberismo e dell’economia lineare.
In un sistema economico lineare anche l’energia è strumento di potere. Ma nel mondo esistono già diversi modelli di produzione e distribuzione dell’energia più giusti, equi e compatibili con la vita sul Pianeta.
Oggi, pur con tutte le brutture che ci circondano, si va diffondendo la consapevolezza e la coscienza che esisto un sistema alternativo, che pone fine alla vecchia questione e lotta di potere tra le destre e le sinistre, che pur con le notevoli differenze, hanno fondato la loro ideologia sull’Economia Lineare. Come a dire rami dello stesso albero.
Oggi è sempre più evidente come l’albero da cui attingere le nuove ideologie sia completamente diverso.
Con differenti strutture e logiche; quella economia circolare in cui cambia l’Etica, il Diritto ed i Doveri.
Una corresponsabilità ed una condivisione che richiedono nuove logiche.
E così si affaccia all’orizzonte il concetto di democrazia energetica.
Termine che prende forma nel contesto del movimento tedesco per la giustizia climatica, al Climate Camp di Lausitz del 2012. Nello stesso anno sei federazioni sindacali internazionali formano una nuova organizzazione denominata “Sindacati per la democrazia energetica”, in seguito a una tavola rotonda coordinata a New York dalla fondazione Rosa Luxemburg, dal Global Labour Institute e dalla Cornell University.
“Una transizione veramente sostenibile – spiega il report finale – sarà resa possibile solamente se il potere [di decidere su essa] verrà tolto alle corporation, che perseguono esclusivamente il profitto, e trasferito ai cittadini ordinari e alle comunità”. E ciò implica che “i lavoratori partecipino attivamente alle decisioni sulla produzione e l’uso dell’energia” ma anche che “l’energia sia riconosciuta come bene pubblico e diritto di base”.
Sembra quasi un’eresia nel desolante panorama di privatizzazioni, centralizzazione amministrativa e strapotere dei colossi energetico-finanziari che attanaglia la produzione e distribuzione di energia nonché le politiche di transizione in giro per il mondo.
Eppure la democrazia energetica è l’unica che ci consentirà la transizione ecologica in quanto l’unico principio perfettamente sincrono con le regole della natura e, quindi, dell’ecologia. In natura non esistono domini o predominanze. Tutto è condiviso, frazionato, compartecipato.
In tale direzione si muovono varie discipline, che poi sono le fette della torta dell’economia circolare, tra cui l’agroecologia, le comunità energetiche, i gruppi di acquisto e molteplici altre esperienze che ci fanno capire quanto il mondo del futuro sarà completamente diverso da quello che stiamo ereditando dopo secoli di politica dell’impossibile, come la crescita illimitata, lo sviluppo indefinito, la globalizzazione senza regole, e così via.
Per attuare tutto questo serve una parola fondamentale: Politica. Una nuova Visione della Politica, il che pretende una nuova etica ed una nuova formazione dei futuri cittadini e dirigenti del domani.
La guerra in Ucraina (con tutte le altre 58 sparse in tutto il mondo, al momento in cui scriviamo) ha reso ancor più lampante anche un’altra verità scomoda: la sovranità degli Stati è fortemente condizionata dalla sicurezza dell’approvvigionamento energetico e delle risorse. La competizione tra superpotenze egemoni è infatti un ostacolo sostanziale alla capacità delle istituzioni sovrane delle potenze subordinate di imporre le proprie decisioni, anche quando queste ultime siano democraticamente determinate.
Ed in tal senso la transizione ecologica, mantenendo lo status quo dell’attuale politica liberista, è impossibile.
Serve, come detto, una nuova Politica e questa è possibile non banalizzandola nelle scuole, riproponendo vecchie logiche, ma dando ai nostri giovani una forte coscienza ecologica e, soprattutto, spiegando loro la Politica contenuta nei principi della Natura. Non è un gioco di parole. Non è un esercizio puramente letterario ma l’innesto di una nuova Etica con cui devono prendere forma le Persone del futuro.
Bisogna uscire definitivamente dalle logiche di destra e di sinistra, stiamo parlando di una nuova dimensione Politica, fondata su nuovi principi (anche se, per dirla come il Mahatma Gandhi, antichi come le montagne).
L’Economia Circolare è il fondamento della Vita, l’Economia Lineare è stata il caposaldo del colonialismo. Siamo su due dimensioni completamente diverse.
Il XXI secolo si è presentato con un grosso fardello storico e di responsabilità ma ci sta consegnando anche una nuova eredità che dobbiamo investire con nuova coscienza e responsabilità.
Guido Bissanti