Agroecologia e mitigazione del rischio idrogeologico
Agroecologia e mitigazione del rischio idrogeologico
Per comprendere dove e quando nasce il dissesto idrogeologico e, quindi, come mitigarlo, bisogna affrontare la questione in termini agroecologici, per ampliare il concetto e quindi le cause che determinano il Rischio Idrogeologico.
Per operare questo approfondimento bisogna partire da quello che succede ad un livello più microscopico a livello dei suoli.
Analizzando le loro particelle, la loro struttura, le interconnessioni e il loro funzionamento, chiarendo, una volta per tutte, che il suolo è una materia viva e non inerte e, come tale va assistita e curata.
Secondo la definizione adottata dalla Società Italiana di Pedologia, il suolo è lo strato più superficiale della Terra e viene definito come un’entità naturale composta da solidi (50%), acqua (25%) e aria (25%). La componente solida è costituita da minerali (45%) e sostanza organica (5%). Nel 5% di sostanza organica si gioca, in gran parte, la stabilità, la coesione e funzionalità dei suoli.
Nella figura viene schematizzato il meccanismo di coesione e ritenzione idrica nel terreno, dove:
S: particella non colloidale;
A: colloide minerale;
H: colloide organico;
I: acqua d’imbibizione;
C: acqua capillare;
m: macroporo.
Questo meccanismo va a «regime» solo se:
– la presenza della sostanza organica (SO), dei microorganismi (che in parte compongono la SO), della quantità e qualità dei Sali e di altri fattori è nella norma.
Entriamo adesso nei dettagli numerici e analizziamo il dato della Sicilia. Secondo gli ultimi dati ISTAT la superficie agricola totale (SAT) censita conta 1.504.240 ettari, in flessione di circa 400.000 ettari rispetto al 1990 (-21,4%), mentre la superficie agricola utilizzata (SAU) regionale si attesta a 1.281.655 ettari e presenta anch’essa una riduzione consistente (-19,8%).
Se dividiamo 400.000 ettari per il numero di abitanti (ultimo censimento) che sono 4.785.711, si avrà una perdita di 0,0836 Ha procapite; un valore raggiunto in soli 30 anni.
I 400.000 ettari mancanti sono superfici sottratte ad un uso del suolo agricolo, che sono state urbanizzate, cementificate e pertanto, quasi sempre, «impermeabilizzate».
I 1.281.655 ettari coltivati sono oggetto, in buona parte, di un’agricoltura di tipo intensivo che fa largo (e spesso eccessivo) uso di erbicidi, pesticidi, fertilizzanti di sintesi, ecc.; tutte sostanze che compromettono il funzionamento delle particelle colloidali e della struttura stessa dei suoli.
L’uso degli erbicidi, dei pesticidi e dei fertilizzanti di sintesi provoca una diminuzione della biodiversità dei suoli, della sostanza organica, una salinizzazione e sodificazione e, quindi, una destrutturazione dei suoli.
Esiste pertanto una relazione diretta tra degradazione del suolo, pratiche agricole e politiche rilevanti per il suolo.
A questo bisogna aggiungere che questa degradazione della funzionalità provoca una minore vitalità del soprassuolo, che contribuisce in maniera minore ai sistemi di copertura dello stesso, alla connessione tra apparati radicali (con i loro essudati) e la microbiologia dei suoli e, in definitiva, ad una perdita di funzionalità complessiva del sistema suolo/soprassuolo.
In queste condizioni si ha una perdita di suolo, di fertilità, una contaminazione dello stesso e una diminuita capacità di stoccaggio del carbonio atmosferico.
In sintesi si ha una perdita della funzionalità ecologica dei suoli che conduce a vari fenomeni tra cui:
– perdita di suolo;
– frane di scivolamento superficiale;
– perdita di fertilità;
– desertificazione, ecc.
Esiste pertanto una relazione tra Copertura del suolo e Uso del suolo così come definiti dalla direttiva 2007/2/CE.
L’uso irrazionale del suolo provoca un’accelerazione del Consumo di Suolo.
In Italia il consumo di suolo è monitorato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Legge 28 giugno 2016, n. 132) che ogni anno realizza il Rapporto nazionale “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”.
I dati riportati dall’ISPRA a tal proposito, come si evince dalla tabella che segue, non lasciano alcun dubbio; stiamo assistendo ad un consumo di suolo senza precedenti.
Fattore che, purtroppo, accomuna l’intero pianeta. Infatti il 33% dei suoli mondiali è degradato. La percentuale in Europa sale al 60%, dove, in appena in 10 anni, 177mila chilometri quadrati di terreni hanno subito una progressiva desertificazione (un’area grande più della metà del territorio italiano).
A questo, come evidenziato in precedenza, bisogna aggiungere la perdita di biodiversità (con le sue funzionalità) che ci ha condotti ad una diminuita interazione nel sistema suolo/soprassuolo, con conseguente degradazione, perdita di fertilità e di strutturalità dei suoli.
È per questo che nonostante le raccomandazioni e le indicazioni contenute in Agenda 2030, nel Green Deal europeo e soprattutto nelle due strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030, bisogna accelerare la transizione verso un azzeramento del consumo di suolo (dovuto ad attività antropiche, quali urbanizzazioni, ecc.) e un uso sostenibile dello stesso.
In tal senso l’ISPRA, nel 2021, con il “Libro Bianco sulla gestione sostenibile del suolo” raccomanda e sollecita l’adozione di un Sistema Agroecologico.
Ovviamente il passaggio dall’uso del suolo convenzionale a quello agroecologico deve affrontare due grandi questioni:
• La prima è legata alla insufficiente ricerca scientifica in materia (che paga ancora un gap metodologico sistemico) che possa proporre metodi agroecologici consolidati ed affidabili (non solo produttivi ma anche distributivi);
• La seconda è che l’Ecosistema non è una funzione lineare che, come tutti i sistemi complessi, non può essere variato immediatamente per cui l’introduzione di nuovi modelli gestionali e produttivi (ed i loro risultati) hanno bisogno di tempi medio-lunghi.
In Sicilia, per avviare il processo di “transizione Agroecologica” è stata approvata la L.R. 21 del 29-07-2021 inerente “Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura”.
La legge in oggetto promuove:
a) la tutela della salute umana, dell’ambiente naturale, della biodiversità, degli ecosistemi e delle attività agricole;
b) il contrasto alla desertificazione, al rischio idrogeologico e agli incendi;
c) la tutela dei prodotti agricoli siciliani e di tutti i settori produttivi correlati;
d) un modello agro-silvo-pastorale conforme ai criteri dell’agroecologia;
e) un efficiente servizio di controlli e verifiche del settore agroalimentare.
Per comprendere le ricadute pratiche di questa legge, sul sistema suolo/soprassuolo, sono stati effettuati alcuni studi di simulazione pubblicati anche su riviste specializzate a livello nazionale.
Per esempio, con l’attuazione dell’art. 3 della legge, se solo il 10 % delle aziende agricole transitasse al sistema agroecologico si andrebbero a piantare oltre 5.500.000 alberi di specie autoctone siciliane, con un evidente vantaggio non solo a livello dei sistemi radicali ma anche in termine di minore incidenza degli effetti meteorici, per maggior copertura delle chiome sui suoli.
Inoltre, secondo i calcoli effettuati, questo compenserebbe, per effetto del maggiore assorbimento di CO2, le emissioni provocate dalle attività di 166.000 abitanti dell’isola, a cui andrebbe aggiunto il migliore stoccaggio della CO2 da parte dei suoli.
Altri calcoli ci dicono che con la transizione verso il sistema agroecologico (sempre solo per il 10 % delle aziende) si avrebbe un aumento delle superfici di flora utile per gli impollinatori ed altri insetti che, come noto, contribuiscono ad una migliore produttività primaria del soprassuolo e quindi ad una migliore efficienza del solito equilibrio suolo/soprassuolo.
In definitiva la questione del Dissesto Idrogeologico va affrontata con una visione scientifica sistemica, abbandonando il vecchio schema tecnologico in favore di uno più integrato e interrelato. Abbiamo anche le norme e le leggi ma serve una volontà politica ed una sensibilità sociale decisamente maggiori.
Guido Bissanti