Suolo il grande malato di cui la politica non si cura
Suolo il grande malato di cui la politica non si cura
Nonostante l’impegnativo ed ingente programma di Agenda 2030, che cambia complessivamente il modo di pensare politica ed azioni, di fronte alle conseguenze del cambiamento climatico ed ai suoi, oramai frequenti, disastri, si continua a ragionare ed a prendere provvedimenti con una logica e mentalità non più adatta alla complessità della questione.
È quello che succede in questi giorni e che, purtroppo, succederà nei prossimi tempi, tanto che a rileggere questo articolo anche tra mesi o anni rischiamo di essere, purtroppo, sempre attuali ed aggiornati.
Stiamo parlando dei disastri legati ai sempre più frequenti e devastanti eventi meteorici che, con effetto crescente, causano sempre più devastazioni, allagamenti, smottamenti, frane e, purtroppo, morti e perdita di suolo e produzioni agricole.
Tra l’altro, il dato ufficiale che negli ultimi tempi è venuto alla ribalta è che dal 2014 è tornato a crescere il numero di persone che nel mondo soffrono la fame, nel 2017 erano 821 milioni. In Italia dal 2010 al 2017 l’uso di pesticidi e diserbanti in agricoltura è diminuito del 20%, ma tra il 2016 e il 2017 è aumentato l’utilizzo di fertilizzanti.
Ma per comprendere la fragilità del sistema suolo di cui troppi esperti (ed anche improvvisati) di altre discipline non parlano, vediamo alcuni dati sull’impressionante degrado del suolo che, in gran parte, al di là degli eccezionali eventi meteorici, è il vero responsabile.
In Europa tra il 60% e il 70% dei suoli è in stato di degrado; a livello globale la percentuale è al 52%. Entro 60 anni potremmo perdere le terre coltivabili. L’unica via è aumentare il contenuto organico nel terreno, lavorando contestualmente alla diminuzione di prodotti di sintesi, quali diserbanti, fertilizzanti ed altre sostanze che, con il loro apporto, non solo incidono negativamente sul contenuto di sostanza organica ma agiscono negativamente sulla struttura e resistenza del suolo agli eventi meteorici.
Potremmo dire che il degrado del suolo è “l’illustro sconosciuto” che nessuno (o troppo pochi) notano.
Di crisi climatica, inquinamento, pratiche nocive di deforestazione si parla sempre di più, ma pochi, a sentire alcune interviste anche di tecnici e politici, parlano e male di una crisi forse di maggiori e preoccupanti proporzioni: quella del suolo, che riguarda l’intero pianeta, anche se con effetti più evidenti in aree geologiche e morfologicamente più delicate come l’Italia.
È quanto evidenziato dall’ultimo lavoro di Save soil, movimento globale di Conscious planet per “risvegliare l’attenzione dei cittadini sullo stato del suolo e sollecitare i governi ad agire”, dal titolo “Soil revitalization – Global policy draft and solutions handbook”.
Lo studio è corredato da “manuali di politica globale” suddivisi per sette aree geografiche: Africa, Asia, Europa, America Latina e Caraibi, Medio Oriente e Nord Africa, Nord America e Oceania.
Si tratta di documenti che forniscono raccomandazioni pratiche e scientifiche che i governi possono adottare al fine di rivitalizzare il suolo della propria nazione. Un vademecum di pratiche specifiche di gestione sostenibile del suolo per 193 Paesi, nel quale vengono suggeriti 700 metodi diversi per la rigenerazione dei terreni agricoli.
Rivitalizzare il suolo nel mondo –
Secondo la UNCCD (Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione) è imperativo e impellente l’obbligo di rigenerare entro il 2030 almeno un miliardo di ettari di terreno. Ogni secondo che passa perdiamo quasi 0,5 Ettari di terreno fertile, di questo passo, secondo l’ONU, potremmo avere al massimo altri 60 anni di terre coltivabili. Ciò significa che nel prossimo futuro l’agricoltura non produrrà cibo sufficiente per una popolazione in costante crescita, dato che si stima che, entro il 2050, saremo circa dieci miliardi di persone (rispetto agli otto miliardi del 2022).
Le azioni climatiche ma, soprattutto e congiuntamente, l’uso scellerato dell’agricoltura convenzionale stanno provocando una perdita di suolo proprio nel momento in cui dovremmo incrementare la produzione agricola: facendo così “stiamo silenziosamente ma inesorabilmente accelerando verso disastrose carestie su scala globale”.
Secondo lo studio di Save soil il 52% dei terreni agricoli nel mondo è già in una condizione di degrado. Se le tendenze attuali non vengono arrestate, addirittura il 90% della superficie terrestre potrebbe essere degradata entro il 2050 e, considerando che il 95% del cibo che mangiamo proviene dalla terra e che l’87% della biomassa del pianeta è di origine terrestre, la continua distruzione del suolo rischia di avere implicazioni davvero terrificanti per la vita sulla Terra.
In generale, lo stato di deterioramento del suolo è il risultato dell’agricoltura convenzionale. Il sistema attuale agroalimentare, come quello degli allevamenti, spesso considera il suolo come un materiale inerte, rifiutando di riconoscerlo come un ecosistema vivente, dove abitano microbi, batteri, funghi, vertebrati, lombrichi, e tanti altri organismi, che interagiscono tra di loro e con la vita vegetale contribuendo a generare le sostanze nutritive nel suolo.
Inoltre, come accennato prima, e con l’approfondimento scientifico a cui riporta il link precedente, l’apporto continuo e sconsiderato di elementi salini e sostanze nocive per la vita del suolo, stanno destrutturando i suoli, generando una minore resistenza agli impatti meteorici e così, il suolo, con buona pace di tutti, perde la sua funzione ma, soprattutto, viene perduto.
Tra l’altro nel 2022 circa 826 milioni di persone, suddivise in 92 Paesi, non hanno avuto accesso al cibo in modo sicuro. Se non cambiamo il modo in cui interagiamo con l’ambiente, il futuro sarà più cupo, basti pensare che, secondo la FAO, l’insicurezza alimentare “moderata o grave” a livello globale è aumentata gradualmente tra il 2014 e il 2020, e colpisce oltre il 30% dell’umanità.
Ricordiamo che, oltre alle sciagure e ai morti legati agli eventi climatici, forse più gravi delle vere guerre, il degrado del suolo genera anche grossi impatti economici, basti pensare che la “minor produttività” dei terreni agricoli si traduce in una perdita stimata tra i 235 e i 577 miliardi di dollari l’anno. Secondo la comunità scientifica c’è solo un modo per invertire questa pericolosa tendenza: cambiare globalmente e su scala mondiale il modo di fare agricoltura, transitando velocemente a sistemi agroecologici; in questo modo consentiremmo il recupero della biodiversità dei sistemi agricoli, la copertura de suolo, l’aumento graduale del contenuto organico presente nel terreno e, dulcis in fundo, il recupero della funzione fisico-meccanica del suolo.
Sempre secondo lo studio il range di sicurezza è fissato tra il 3% e il 6%, intervallo individuato per poter definire un suolo in buono stato e cioè capace di offrire all’uomo quei servizi ecosistemici – come il cibo – di cui ha bisogno per vivere, e per ripristinare la sua funzione meccanica e biochimica.
Per questo motivo vanno sensibilizzati politici, tecnici, agricoltori e addetti del settore, per far comprendere come l’agroecologia sia ancora quella disciplina tanto sconosciuta, poco compresa, quanto necessaria da diffondere ed applicare.
In termini squisitamente economici il degrado del suolo costa all’Unione Europea 50 miliardi di euro all’anno. Inoltre il fenomeno dell’erosione incide negativamente sulla produttività agricola annua per circa 1,25 miliardi di euro. In un documento del Joint Research Centre (Direzione generale della Commissione europea: DG-JRC) viene stimato che circa il 75% di tutte le terre coltivate dell’UE contiene meno del 2% di carbonio organico. Un fattore che si traduce in una perdita della sostanza organica contenuta nel terreno, oggi inferiore all’importante soglia del 3%.
Inoltre, sempre secondo la ricerca di Save soil, emerge che circa l’11,4% del territorio dell’UE è interessato dall’erosione idrica che va da moderata (fino a cinque tonnellate per ettaro all’anno) a grave (oltre cinque tonnellate per ettaro all’anno), e oltre il 24% dei terreni e quasi un terzo delle aree agricole presentano tassi di erosione superiori a quelli sostenibili (due tonnellate per ettaro all’anno). Se aggiungiamo al fenomeno dell’erosione anche gli altri che concorrono al deterioramento, si stima che tra il 60% e il 70% del suolo in Europa sia oggi in condizioni di degrado.
Per questo motivo vanno subito attivate norme di riferimento in materia agroecologica, seguendo l’esempio della Regione siciliana che nel 2021, con la sua L.R. 21/2021 “Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura”. Ricordiamo, a tal proposito che la Sicilia è una delle regioni col più elevato tasso di desertificazione dei suoli (circa il 75 %), motivo che, tra gli altri, ha richiesto l’emanazione di questa legge.
Ma non basta, adesso servono anche norme nazionali, in tutto il mondo, chiare, che premiano le aziende che effettuano la conversione agroecologica, andando a colmare quel gap a cui nemmeno la recente PAC europea, travagliata sin dalla nascita, non ha saputo risolvere con i suoi ecoschemi che, pur con l’obiettivo di cambiare registro, sono più una imposizione per captare aiuti economici che non per immettere gli agricoltori in un sistema virtuoso.
Se non è chiaro che la PAC, con la sua politica, ed i fondi strutturali dell’UE, con i loro aiuti agli investimenti in agricoltura, non possono risolvere questo problema di fondo allora prepariamoci al peggio.
Per questo motivo è necessario che la Politica scenda dai suoi modelli propagandistici e di circostanza e ascolti, tramite tavoli competenti (e non di sole rappresentanze di sigle sindacali) i suggerimenti sul cosa fare. Il tempo è praticamente scaduto.
Guido Bissanti