Autorizzazioni per l’uso dei pesticidi scientificamente insufficienti
Autorizzazioni per l’uso dei pesticidi scientificamente insufficienti
Che l’iter autorizzativo per la messa in commercio dei formulati chimici, di insetticidi, diserbanti, ed altri prodotti di sintesi per l’agricoltura, fossero insufficienti era cosa nota sin dagli anni ’70 del secolo scorso.
Negli Istituti di ricerca avevamo notato come le analisi scientifiche adottate da liberi ricercatori e da case farmaceutiche divergessero soprattutto dal punto di vista del modello di indagine.
È stato soprattutto con l’avvento della cultura dell’agricoltura biologica che abbiamo messo in atto sistemi di analisi degli impatti dei pesticidi sull’ambiente molto più complessi di quelli a cui venivano e vengono ancora sottoposti i pesticidi prima di essere posti in commercio.
Questa divergenza è rimasta quasi sempre nascosta o, se vogliamo, offuscata dal grande potere informativo (o meglio disinformativo) in mano alle multinazionali della chimica. Batti e ribatti qualcosa, sperando che non sia troppo tardi, sta emergendo, al di la di questa nebbia informativa, per far luce sulla verità ma, soprattutto, per far comprendere anche ai non addetti ai lavori quanta incompletezza (e quindi falsità scientifica) si cela dietro a molte autorizzazioni all’uso dei formulati chimici per l’agricoltura.
A far scoperchiare questa cortina nebbiosa ci ha pensato uno studio pubblicato il 4 maggio 2021 su Frontiers in Environmental Science.
Si ricorda che Frontiers of Environmental Science & Engineering (FESE) è una rivista internazionale che pubblica ricerche rigorosamente sottoposte a peer review.
Questo studio, che qui riportiamo integralmente, mette in luce quanto le procedure di autorizzazione per l’uso di determinate sostanze, come i pesticidi, possano essere tutt’altro che adeguate per proteggere l’ambiente e, quindi, l’uomo. La normativa degli Stati Uniti, ad esempio, richiede che i prodotti fitosanitari vengano testati soltanto sulle api che, ovviamente, sono uno dei cardini della biodiversità e della salute di molti ecosistemi, ma non sono certamente l’unico.
Questo studio ha denotato il paradosso, che conoscevamo già dagli anni ’70, che la scienza si esprime in materia ma spesso resta inascoltata.
In sintesi, tale studio, ha operato una rassegna della letteratura esistente e ha analizzato circa 400 ricerche scientifiche che si sono focalizzate sugli effetti dei pesticidi su quegli invertebrati che non rientrano tra le “specie bersaglio”, cioè non sono l’obiettivo dei prodotti fitosanitari ma possono comunque subirne le conseguenze. Una panoramica molto estesa che ha analizzato 275 specie animali e quasi 300 diversi tipi di pesticidi.
I risultati dello studio comparativo lasciano pochi dubbi. Gli studi tendono a verificare l’impatto delle sostanze chimiche sugli invertebrati per caratteristiche specifiche, ad esempio per gli effetti che hanno sulla capacità riproduttiva, o sulla mortalità, o ancora su aspetti comportamentali. Degli oltre 2.800 parametri che sono stati testati, gli scienziati hanno scoperto che nel 71% dei casi sono acclarati degli effetti negativi legati all’esposizione ai pesticidi. In poco più di un quarto dei casi, il 28%, non erano evidenti segnali significativi, mentre nell’1% c’erano effetti positivi.
Tradotto in parole povere equivale a dire che nella maggioranza dei casi gli effetti dell’uso di sostanze di sintesi usate in agricoltura non sono affrontati con visione sistemica e, quindi, tralasciando molteplici variabili, si danno autorizzazioni inopportune.
Così spesso nell’impatto ambientale dei pesticidi bisogna includere anche gli effetti sugli invertebrati che popolano il suolo. Effetti che sono estremamente negativi su specie come i comunissimi vermi, i coleotteri e i collemboli.
Anche se le normative sui pesticidi dell’Unione Europea (Direttiva 2009/128/CE) sono più cautelative di quelle americane e includono test su alcune specie di acari e lombrichi, oltre che sull’attività microbica, è emerso comunque, secondo una relazione della Corte dei conti europea, del febbraio 2020, come anche Bruxelles ha ancora molte lacune in materia.
Inoltre secondo la relazione, la Commissione europea non avrebbe debitamente verificato la completezza o l’esattezza del recepimento della direttiva sull’uso sostenibile dei pesticidi, adottata già nel 2009.
A pagare, come al solito, è l’ambiente in cui viviamo, oggetto ogni giorno, nello stesso momento in cui scriviamo, non solo di immissioni di sostanze di dubbia autorizzazione ma soprattutto di prodotti con impatto negativo verso una serie di organismi e dei loro equilibri e legami molto più complessi dei sistemi di verifica messi in atto oggi.
La questione è però più delicata di quanto si pensi. Le rassicuranti raccomandazioni riportate sui formulati chimici usati dagli agricoltori hanno ingenerato spesso una visione distorta sull’uso di queste sostanze; come di sostanze opportune, utili (non per niente la parola fitofarmaci è etimologicamente inesatta), necessarie.
Oltre al danno anche la beffa: parecchie centinaia di anni di buone pratiche agricole, tradizioni, conoscenze ecologiche ed esperienza dei nostri avi, sono stati quasi del tutto cancellati da una cultura riduzionista, che ha banalizzato la complessità degli ecosistemi a favore di una semplificazione pericolosissima, sia dal punto di vista delle ricadute sull’ambiente ma anche sulla conoscenza degli agricoltori.
D’altronde è oramai noto come l’insieme di questi fattori, unitamente ad un modo di convertire foreste, zone umide, praterie e altri ecosistemi terrestri ha prodotto un calo del 60% del numero di vertebrati in tutto il mondo dal 1970, con le maggiori perdite nelle popolazioni di vertebrati che si verificano negli habitat di acqua dolce (83%).
Numeri che già da soli sono una denuncia al nostro modo di rapportarci alla natura che è nostra madre.
È giunto il momento in cui la Scienza debba alzare la voce e, per farlo, deve essere libera, di Stato, con fondi sufficienti, e non “sponsorizzata”.
Stiamo giocando una partita molto delicata e ne usciremo soltanto se anche noi convergiamo verso una revisione di quel modo di pensare al mondo come una casa comune. In questa casa comune o si sopravvive tutti insieme o non ci sarà più spazio per ospitare la vita in tutte le sue forme: umanità in testa.
Guido Bissanti
articolo completo e ben impostato, intanto purtroppo sta passando in sordina la deregolamentazione dei nuovo OGM https://nuovabiologia.it/ma-oira-meglio-una-forte-opposizione/ tanto invocata da Coldiretti, pseudo scienziati e partiti politici, quasi fossero sponsorizzati dalle 4 multinazionali Bayer-Monsanto Basf, Cortedeva e ChimChina- Syngenta anczichwe spinti dal principio di precauzione che è la base delle normativa europea. la svendita della nostra biodiversità del biologico e di tutto il made in Italy è ormai alle porte , questo mese di maggio si esprimeranno i ministri dell’agricoltura. DOVREMMO RIBELLARCI SE INTENDIAMO DAVVERO PRESERVARE PER LE GENERAZIONI FUTURE UN PATRIMONIO COSì IMPORTANTE-