Come coltivare il fico d’India
Come coltivare il fico d’India
Questa pianta è al giorno d’oggi coltivata in numerosi paesi, tra cui: Messico, Stati Uniti, Cile, Brasile, Nord Africa, Sudafrica, Medio Oriente, Turchia, Tunisia su ampie regioni del paese e Italia (prevalentemente in Basilicata, Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna). Il fico d’india è presente in maniera più modesta sul litorale della Liguria; in questa scheda vediamo come coltivare il fico d’India. È pianta aridoresistente che richiede temperature al di sopra dei 6 °C per uno sviluppo ottimale. Temperature invernali prolungate al di sotto di 0 °C, pur non costituendo un fattore limitante per le piante selvatiche, deprimono l’attività vegetativa e la produttività delle piante in coltura e possono portarle al deperimento. È una pianta molto adattabile alle diverse condizioni pedologiche. I suoli idonei alla coltura hanno una profondità di circa 20-40 cm, sono terreni leggeri o grossolani, senza ristagni idrici, e con valori di pH che oscillano tra 5.0 e 7.5 (reazione acida, neutra o leggermente subalcalina) ma cresce anche in terreni con pH superiore. Dal punto di vista altimetrico, le superfici vocate alla coltivazione possono andare dai 150 ai 750 metri sul livello del mare.
La propagazione del fico d’india è tipicamente per talea. Queste si ottengono tagliando longitudinalmente in due parti cladodi di uno o due anni, che vengono lasciati essiccare per alcuni giorni e poi immessi nel terreno, dove radicano facilmente. La potatura, da eseguirsi in primavera o a fine estate, serve ad impedire il contatto tra i cladodi, nonché ad eliminare quelli malformati o danneggiati. Per aumentare le rese vengono effettuate concimazioni fosfo-potassica. Ma noi consigliamo sempre ed ove possibile quella organica operata nel periodo invernale.
Il taglio cioè dei fiori della prima fioritura (scozzolatura), che si esegue in maggio-giugno, consente di ottenerne una seconda fioritura, più abbondante, con una maturazione più ritardata, in autunno. In base a tale consuetudine si distinguono i frutti che maturano già in agosto, cosiddetti agostani, di dimensioni ridotte, e i tardivi o bastardoni, più grossi e succulenti, che arrivano sul mercato in autunno.
Di norma la produzione degli agostani non necessita di irrigazione, che ovviamente è richiesta per la produzione dei bastardoni.
Le rese colturali variano chiaramente se siamo in coltura asciutta o irrigua. In coltura irrigua si può arrivare ad una resa di 250-350 quintali di frutto ad ettaro.
Le cultivar sono sostanzialmente tre che differiscono per la colorazione del frutto: gialla (Sulfarina), bianca-verde chairo (Muscaredda) e rossa (Sanguigna). La cultivar Sulfarina è la più diffusa per la maggiore capacità produttiva e la buona adattabilità a metodi di coltivazione intensiva. In genere vi è comunque la tendenza ad integrare la coltivazione delle tre cultivar, in modo da fornire al mercato un prodotto caratterizzato da varietà cromatica.
La produzione italiana del fico d’india oscilla tra i 750.000 e gli 850.000 quintali all’anno. Tale produzione è concentrata soprattutto nelle provincie di Catania, Caltanissetta e Agrigento. Infatti, il 90% della superficie coltivata a fico d’India è localizzata in Sicilia, il rimanente 10% in Basilicata, Calabria, Puglia e Sardegna. In Sicilia, oltre il 70% delle colture si concentrano in 3 aree: la zona collinare di San Cono, il versante sud-orientale delle pendici dell’Etna e la Valle del Belice.
Il fico d’india, anche se è una pianta rustica può andare soggetta a parecchie patologie ma queste si sono accentuate negli ultimi tempi soprattutto per l’uso di alcune tecniche, tra cui la concimazione, eseguite con poca perizia e spesso per incrementare le rese produttive.
Ne consegue che una cultura che potrebbe essere coltivata in maniera perfettamente naturale (biologica) sia invece oggetto di trattamenti che vanno ovviamente ad incidere sull’aspetto qualitativo finale.
Tra queste avversità citiamo: Dactylopius coccus, Cactoblastis cactorum, Ceratitis capitata, soprattutto le cocciniglie s’insediano prevalentemente sui cladodi formando abbondanti colonie.
Anche le vespe rappresentano occasionalmente altri gravi agenti di danno a carico dei frutti. Con l’apparato boccale masticatore lacerano l’epicarpo e prelevano a più riprese la polpa svuotando progressivamente il frutto. Anche il principio di attacco in ogni modo rende inutilizzabile il prodotto in quanto le ferite praticate permettono l’ingresso di agenti microbici che provocano marciumi e fermentazioni.
Altre avversità a carico del fico d’India sono causate da agenti patogeni, fra i quali spiccano alcuni agenti fungini ubiquitari, agenti di marciumi alle radici (Fusarium sp. e Phytophtora sp.).
La Botryosphaeria ribis (forma sessuata di Dothiorella ribis) è responsabile, con altre specie dello stesso genere, della formazione di lesioni umide sul fusto di varie piante. Fra le crittogame specifiche più frequenti in Sicilia si cita la ruggine scabbiosa, causata dal fungo Phyllosticta opuntiae.