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Ceratonia siliqua

Ceratonia siliqua

Il carrubo (Ceratonia siliqua L., 1753) è un albero sempreverde, per lo più dioico (in prevalenza con piante con soli fiori maschili e alberi con fiori solo femminili) e raramente monoico (con piante che presentano fiori di ambedue i sessi). Forma con l’Olea europaea la caratteristica associazione fitosociologica Oleo-ceratonion.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico il Carrubo appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Sottoregno   Tracheobionta, Superdivisione Spermatophyta, Divisione Magnoliophyta, Classe Magnoliopsida, Sottoclasse Rosidae, Ordine Fabales, Famiglia Fabaceae, Sottofamiglia Caesalpinioideae, Tribù Cassieae e quindi al Genere Ceratonia ed alla Specie C. siliqua.

Etimologia –
Il nome del genere deriva dal greco “kéras” corno e “téino” io protendo: corno proteso, probabilmente in riferimento alla morfologia e alla consistenza del frutto; il nome specifico dal latino “siliqua” = baccello, sempre con riferimento ai frutti.
Il nome comune di Carrubo pare sia dovuto all’influenza degli Arabi che chiamano questa pianta “charrùba”. In Inghilterra prende il nome di “St. John’s bread” cioè pane di S. Giovanni, perché in un passo della Bibbia si racconta che il santo, trovandosi nel deserto, riuscisse a sopravvivere nutrendosi di locuste, che secondo molti sarebbero le carrube. Ciò, come è noto è errato, in quanto S. Giovanni mangiò proprio le locuste migratorie, ma il nome è rimasto.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
Il Carrubo è una pianta spontanea del bacino del Mediterraneo, lo troviamo dal Portogallo al Marocco atlantici, nelle zone aride di questa regione. In Italia lo si trova allo stato spontaneo nelle regioni del Sud mentre è naturalizzato in Toscana e a nord di questa, dove peraltro è raro. Il Carubbo è originario del bacino meridionale del Mediterraneo orientale e dell’Asia minore; si è esteso con la coltivazione, in tutti i paesi del Mediterraneo nell’orizzonte climaxico delle sclerofile sempreverdi, caratterizandone con Olea europaea L.- Olivo, la fascia più calda dell’Oleo-Ceratonieto.
A.A. sostengono che il Carrubo sia arrivato in Italia nel medioevo, attraverso la Spagna, dove era stato portato dagli arabi. La sua presenza, allo stato spontaneo, ad esempio in Sicilia è considerata, da questi, l’inselvatichimento di forme coltivate. Secondo altri A.A. ha una storia molto più antica e la presenza delle forme spontanee e delle tipiche associazioni vegetali con altre piante autoctone, confermano l’indigenato della specie in Italia meridionale.
L’Habitat di questa specie, lucivaga e termofila, benché poco legata alla natura del substrato, è quello dei terreni calcarei litoranei e stazioni asciutte; macchie, garighe, specialmente vicino alle coste; lo possiamo trovare sino a 600 m s.l.m..

Descrizione –
La Ceratonia siliqua  è una specie arborea a chioma espansa, ramificata in alto. Alcuni esemplari possono raggiungere un’altezza di 10 m.
Possiede un fusto vigoroso, con corteccia grigiastra-marrone, poco fessurata.
Ha foglie composte, paripennate, con 2-5 paia di foglioline robuste, coriacee, ellittiche-obovate di colore verde scuro lucente superiormente, più chiare inferiormente, con margini interi.
I fiori del carrubo sono piuttosto piccoli, di colore verdastro, a corolla papilionacea; questi si formano su corti racemi lineari all’ascella delle foglie.
I frutti, chiamati carrube o vajane, sono dei grandi baccelli, detti “lomenti” lunghi dai 10 ai 20 cm, spessi e cuoiosi, dapprima di colore verde pallido, e poi successivamente a maturazione marrone scuro. Questi presentano una superficie esterna molto dura, con polpa carnosa, pastosa e zuccherina che indurisce col disseccamento. All’interno di questi troviamo dei semi scuri, tondeggiati e appiattiti, assai duri, molto omogenei in peso, detti “carati” poiché venivano utilizzati in passato come misura dell’oro, in quanto ritenuti di peso costante.
I frutti sono molto persistenti, per cui sullo stesso albero possono essere presenti, allo stesso tempo, frutti “essiccati”, di colore marrone, e frutti immaturi, di colore verde.

Coltivazione –
Per la tecnica di coltivazione consulta la presente scheda.

Usi e Tradizioni –
Il carrubo è una delle piante mellifere e se ne può ricavare un miele, ma solo nelle aree dove è presente un certo numero di piante.
È apprezzata nelle regioni d’origine per l’ombra delle chiome; infatti, conservando un fogliame molto fitto, produce zone d’ombra, preziose in luoghi aridi.
Parte dei succedanei del cioccolato sono ottenuti da pasta o semi di carrube.
Molti addensanti e gelificanti di prodotti alimentari sono ottenuti da farina di semi di carrube.
Nelle diete la polvere di carruba è indicata come alternativa al cioccolato perché contiene solo 180 calorie per 100 g ed è dolce e saziante come il cioccolato che però ha molte più calorie quasi 300 calorie per 100 g. Inoltre non contiene sostanze eccitanti come la teobromina che invece il cacao ha e quindi risulta più sana. Ricca di fibre è indicata nelle diete dimagranti perché sazia ed è importante anche per regolare le funzioni intestinali.
È un vero peccato che la carruba sia un frutto dimenticato che evoca in tante persone, specie se anziane, immagini di povertà e di privazione. Se è vero che questo frutto ha contribuito a sfamare le popolazioni più indigenti sin dall’alba della civiltà, specialmente durante i periodi di carestie e di guerre, è altrettanto vero che possiede numerose qualità che lo fanno diventare un alimento prezioso anche ai giorni nostri.
Le carrube sono ricche di vitamina A, D e di vitamine del gruppo B, contengono numerosi minerali fra i quali vi sono il calcio, il potassio, il manganese e il rame.
Le carrube sono ricche di calcio un minerale importantissimo per la salute delle ossa e in genere del corpo umano.
La loro dolcezza è dovuta agli zuccheri della frutta che hanno in abbondanza dal 46 al 56 %. Più della metà di questi zuccheri  è formato da saccarosio,  il resto è fruttosio e glucosio, inoltre possiedono il 5% di proteine e il 6% fibre mentre sono povere di grasso.
La carruba contiene i polifenoli potenti antiossidanti noti per contrastare i radicali liberi e per ridurre il rischio di malattie cardiache.
Alcune ricerche mediche hanno dimostrato come l’assunzione di polvere di carruba può aiutare a ridurre il colesterolo alto.
Se il consumo di polpa fresca di carrube ha una blanda azione lassativa consumare la polpa secca o la farina è utile per regolare le funzioni intestinali e per contrastare la diarrea.
La fibra e i tannini presenti nella farina aiutano a eliminare le tossine responsabili di attacchi di diarrea acuta perché, a differenza di quello che accade ai tannini della maggior parte delle altre piante, quelli della carruba non si dissolvono in acqua.
Inoltre i tannini prevengono la crescita batterica dannosa per gli intestini mentre gli zuccheri naturali aiutano ad addensare le feci molli.
La carruba ricca di calcio e di fosforo contribuisce a prevenire l’osteoporosi e arricchisce il corpo con questi due importanti minerali.
Le carrube non contengono glutine e quindi possono essere tranquillamente consumate anche da chi soffre di celiachia
Le carrube e la loro polvere sono alimenti sani perché la pianta essendo rustica non abbisogna di particolari trattamenti.
La farina di semi di carruba è un naturale,  ottimo addensante e stabilizzante usato in diversi cibi come sostituto del glutine sia per l’alimentazione umana che per quella animale. Da questa farina si ricava la gomma di carruba che è l’uso più importante dei frutti della carruba al giorno d’oggi. Nel cibo in scatola per animali domestici spesso, per ottenere la consistenza gelatinosa, viene messa della farina di semi di carruba.
Oggi i frutti (privati dei semi) vengono usati per l’alimentazione del bestiame. Un tempo furono usati come materiale da fermentazione per la produzione di alcool etilico. Come d’uso nella tradizione popolare, i semi, ridotti in farina, venivano usati come antidiarroici. I frutti si conservano per molto tempo e possono essere consumati, comunemente, freschi o secchi o, in alternativa, passati leggermente al forno.
I semi, durissimi, sono immangiabili; possono invece essere macinati, ottenendosi così una farina dai molteplici usi, che contiene un’altissima quantità di carrubina, la quale ha la capacità di assorbire acqua in quantità pari a 100 volte il suo peso.
Siccome i semi erano ritenuti particolarmente uniformi come dimensione e peso, dal loro nome arabo (qīrāṭ o “karat”) è stato derivato il nome dell’unità di misura (carato) in uso per le pietre preziose, equivalente a un quinto di grammo. In realtà la variazione del peso dei semi di carrubo, presi alla rinfusa, arriva al 25%.
Tipica è, nelle piante molto longeve, la comparsa, dopo le prime piogge d’agosto, del cosiddetto fungo del carrubo (Laetiporus sulphureus). Seppur consumato in alcune zone della Sicilia e della Basilicata, esso è un fungo tossico, che può causare spiacevoli disturbi gastro-intestinali.
Il legno di carrubo, per la sua durezza, veniva impiegato per la fabbricazione di utensili e macchinari in legno soggetti a usura.
In fitoterapia l’estratto secco del frutto è utilizzabile, anche assieme allo zenzero, nel colon irritabile ad alvo diarroico.  A causa dell’elevato contenuto in tannino, la polpa dei frutti può avere effetto irritante, se assunta in grande quantità.
Le origini del carrubo sono così antiche che si fanno risalire alla fine dell’ultima era glaciale; ben 12.000 anni fa.
La sua origine da parecchi studiosi viene situata nelle zone che oggi corrispondono al territorio della Siria e di Israele anche se alcuni di loro ritengono che invece il carrubo sia originario del territorio dello Yemen le cui calde e aride pianure rappresentano un habitat molto adatto per questa specie. Con il tempo questo imponente albero si è diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo.
Prima che iniziasse la coltivazione del carrubo i suoi frutti erano conosciuti ed apprezzati dalle antiche popolazioni mesopotamiche  che abitavano la zona del Medio Oriente oggi indicata come Iraq. Le carrube servivano per produrre succhi di frutta e dolci, il loro succo veniva impiegato anche come medicinale. In testi risalenti a migliaia di anni fa è menzionato il carrubo che viene citato anche nel Talmud ebraico in una parabola sull’altruismo chiamata “ Honi e il carrubo”.
Racconta questa parabola che un giorno il saggio Honi andò a passeggiare e vide un uomo che piantava un carrubo. Gli chiese “Quanto ci vorrà perché quest’albero porti dei frutti? L’uomo gli rispose “Settant’anni”  Honi allora gli disse “Sei sicuro che fra settant’anni ci sarai ancora?” “No, non sono sicuro” replicò l’uomo “Tuttavia non sto piantando questo albero per me ma per i miei figli”.
Anche nel Nuovo Testamento viene ricordato il carrubo e precisamente i suoi frutti. Infatti nel Vangelo di Luca, dove si narra la parabola del “ Figliol prodigo”, vengono citate le carrube. Il protagonista della parabola, solo e affamato dopo aver lasciato la casa del padre, la pensa con nostalgia e vorrebbe avere per sfamarsi le carrube che nella casa paterna venivano date in pasto ai maiali.
L’uso dei frutti di questo albero è così antico che semi e baccelli di carrubo sono stati trovati in tombe egizie. Quindi gli antichi egizi conoscevano questa pianta anche se probabilmente non la coltivavano ma raccoglievano i suoi frutti da esemplari selvatici.
L’inizio della coltivazione del carrubo viene fatta risalite a circa 4000 anni fa. Gli antichi greci iniziarono a coltivarlo e lo diffusero in Grecia e nell’Italia meridionale. Anche gli antichi romani conoscevano questo albero e i suoi frutti e gustavano la polpa dolce delle carrube. Tuttavia fu solo nel Medioevo che la coltivazione del carrubo conobbe la sua massima diffusione ad opera degli Arabi che ne furono i maggiori esportatori ed estimatori. Diffusero questa pianta lungo la costa del Nord Africa e ad est della Spagna.
Più tardi la coltivazione del carrubo si estese anche nel Sud del Portogallo e della Francia. Nel periodo medioevale l’uso delle carrube si diffuse in Europa e furono apprezzate sia come fonte alimentare per uomini e animali sia come un importante farmaco. In tutti i territori che gli Arabi avevano occupato in Africa e nel Medio Oriente il carrubo e i suoi frutti venivano tenuti in grande considerazione sia per curare le malattie che per l’alimentazione.
A quel tempo era difficile conservare il cibo e l’importanza di questo alimento era dovuta anche al fatto che le carrube essiccate si conservavano per mesi fornendo un indispensabile apporto di zuccheri, vitamine e proteine. Il cibo che poteva essere conservato era raro specialmente per la parte povera della popolazione che non poteva disporre, per la sua conservazione, di spezie, olio e sale riservati solo alle persone abbienti.
Nel 1800 la coltivazione del carrubo era così diffusa nell’Italia Meridionale che questi preziosi baccelli venivano esportati nell’Europa centrale sino in Russia.
Nella metà dell’800 missionari spagnoli hanno introdotto la pianta di carrubo nel Continente americano, nel Messico e nella California meridionale. Da qui la coltivazione del carrubo si è diffusa anche in altri Stati limitrofi, in tutti quei luoghi dove il clima mite permetteva la sua coltivazione.
Se in altre parti del mondo, specialmente in Africa e in Asia, il carrubo viene coltivato soprattutto per i suoi baccelli, le carrube, in America questo bell’albero viene particolarmente apprezzato come pianta ornamentale. Per la sua rusticità e bellezza viene usato non solo come esemplare unico ma anche nelle alberature stradali.
Invece in Sud America il carrubo, sempre portato dai missionari spagnoli, serve come alimento per il bestiame, apprezzato per le sue proprietà e per il suo valore energetico.
Furono gli Inglesi che diffusero questa pianta così utile nel resto del mondo, in Sud Africa, in Australia e in Asia e oggi il carrubo si trova in tutte quelle zone del pianeta che possiedono un clima caldo e arido.
In Italia la coltivazione del carrubo fu insegnata dagli Arabi durante la loro dominazione che iniziò nel periodo Medioevale e si protrasse per circa 200 anni, oltre l’anno 1000.
Anche dopo che gli arabi ebbero lasciato il nostro paese il carrubo prosperò nell’Italia Meridionale e oggi la coltivazione del carrubo è una coltivazione fiorente e in crescita.
L’Italia è, dopo la Spagna, la seconda nazione al mondo nella produzione di carrube con le sue 30.800 tonnellate prodotte, seguita dal Portogallo, dalla Grecia, dal Marocco,  dalla Turchia e da Cipro.
Con le sue 5.100 tonnellate annuali di carrube questa isola, Cipro, ha una elevata produzione che si riallaccia alla sua millenaria tradizione sulla coltivazione di questa pianta. Per molte zone rurali di Cipro le carrube rappresentano la principale fonte di reddito e vengono descritte come “l’oro nero di Cipro” per la loro importanza.
Tornando all’Italia è la Sicilia che  ha il merito di possedere i carrubeti più estesi e produttivi coltivati specialmente nelle province di Ragusa, Siracusa e Agrigento. La provincia di Ragusa copre circa il 70% della produzione nazionale e qui si trovano la maggior parte delle industrie che trasformano le carrube in farina e in altri prodotti ricercati dall’industria alimentare soprattutto quella dolciaria.
Il prodotto finito, in special modo la farina di carrube, viene esportata in tutto il mondo dove riceve l’apprezzamento degli esperti. Usata come stabilizzante si trova in molti prodotti alimentari, dalle salse ai condimenti, dai dolci ai gelati.

Modalità di Preparazione –
Per quanto riguarda l’alimentazione umana la gomma di carruba viene usata nell’industria dolciaria e in quella delle conserve alimentari.
Questo ingrediente, che viene indicato con la sigla E410, ha la capacità di assorbire liquido sino a 50-100 volte il suo peso ed è quindi un ottimo e naturale addensante.
Questo tipo di gomma viene anche impiegata nell’industria cosmetica, nei prodotti farmaceutici, nei detergenti, negli adesivi e nell’industria tessile.
La polpa dolce di questo frutto, noto sin dalla più remota antichità, è abbastanza nutriente per cui certi popoli ne fecero, un tempo, una parte importante del loro vitto.
La polpa fresca è assai gradevole e ha un’azione leggermente lassativa; secca, al contrario, è astringente. Dalla fermentazione si può ricavare alcol, mentre i semi forniscono appretti e gomme d’impiego industriale. Inoltre con le carrube si preparano mangimi per gli animali; dalla scorza e dalle foglie si possono estrarre tannini.
Del carrubo non si consuma solo la polpa dei suoi numerosi frutti, anche i suoi semi, opportunamente macinati, danno una farina dolce e proteica che viene usata come addensante e come dolcificante.
L’infuso ricavato da questo frutto serviva nell’antichità per curare numerose malattie, era usato per calmare la tosse, lenire il mal di gola e schiarire la voce.
Di questo benefico succo zuccherino ne fanno uso gli arabi per dissetarsi e rinforzarsi dopo il digiuno rituale del Ramadan.
Ed è una bevanda facile da produrre basta lasciare per alcune ore le carrube spezzate in acqua fredda per ottenere una dolcissima e vivificante bevanda.

Guido Bissanti

Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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