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Pianeta Agricoltura

I Fattori Endogeni della Riforma Rurale

I Fattori Endogeni della Riforma Rurale

Il presente articolo è una riflessione personale sul documento preliminare (Analisi), emanato dalla Federazione dei Dottori Agronomi e Forestali della Sicilia. Tenderò ad analizzare e sviluppare ulteriormente i punti elencati nel documento preliminare.
Questo contributo si riferisce alle questioni legate ai fattori endogeni.
1. Eccessiva specializzazione produttiva e scarsa biodiversità interna di molte aziende agricole con eccessiva dipendenza dalle dinamiche di mercato: A dispetto di tanti sforzi (più o meno logici) della politica europea (con assente quella nazionale e regionale) non è concepibile, proprio da un punto di vista ecosistemico e termodinamico, un sistema biologico specializzato.
Tale assurdo indirizzo, avvallato da sistemi agronomici (complice una formazione universitaria da modello consumistico ed industriale) carenti di concetti energetici ed ecosistemici, comporta esasperazioni e squilibri tra sistema suolo e soprassuolo e tra organismi che in natura tendono a convivere con equilibri complessi. I bandi europei, le normative, i mercati, l’uso di una finanza folle e scriteriata ed i prototipi industriali inopportunamente applicati all’agricoltura hanno ingenerato modelli produttivi a bassissima efficienza di trasformazione dell’energia (solare, del suolo, ecc.) e ad altissimo inquinamento ecosistemico (squilibri flora/fauna/suolo, biomagnificazione, desertificazione, ecc.). La Riforma rurale deve promuovere, con sistemi innovativi (su cui dobbiamo lavorare) Aziende agricole ecosistemicamente “allineate” e quindi energeticamente più efficienti (preciso che un sistema energeticamente più efficiente lo è anche economicamente).

2. Preoccupante riduzione della biodiversità agroalimentare ed intraspecifica, con evidente diminuzione anche della tipicizzazione produttiva: l’inseguimento di un mercato non regolamentato ha indotto gli agricoltori alla ricerca delle colture da reddito, tralasciando tutti quegli aspetti su cui era fondata la sapienza di un’agricoltura basata su millenni di esperienza (e che era un patrimonio di scienza agronomica). La diminuzione della biodiversità agroalimentare si è ripercossa su una ingente catastrofe sanitaria mondiale che ha dei costi sociali ed economici non più logici. La riforma deve indirizzarsi verso la vocazionalità agricola, incentivando e promuovendo con sistemi alternativi (ricordo che la finanza è un’adulterazione del sistema quando inserita senza regole e visioni di insieme) aziende a diversità produttiva. Questo sistema, tra l’altro, migliora la distribuzione e la massimizzazione del lavoro aziendale con abbassamento dei costi connessi.
3. Elevato uso dei fertilizzanti ed anticrittogamici di sintesi con disastrose ripercussioni su flora e fauna utile e sulla strutturalità dei terreni (lisciviazione e frane): Tale questione è evidentemente legata alle due precedenti e le conseguenze dell’uso della chimica in agricoltura stanno provocando nel mondo costi sociali ed ambientali che non vogliono essere visti (anzi sono motivo di speculazioni e finanziarie collegate). L’inseguimento di un mercato sempre più esasperato e di un’agricoltura sempre più catena di montaggio ha generato una spirale pericolosissima. E’ necessario aprire un dibattito sul diritto internazionale, considerando reato contro l’umanità l’uso della chimica in agricoltura (quando esistono, e personalmente ho fatto ricerca per oltre dieci anni, sistemi naturali ad efficienza mille volte superiore). Con una scienza ed una ricerca complice delle multinazionali e corresponsabile del reato di genocidio. Ogni distruzione del più piccolo essere vivente (esistente in natura per il suo migliore funzionamento) con la chimica va considerata alla stregua di un atto contro l’umanità e pertanto punito come tale.
4. Preoccupante diminuzione della fertilità dei suoli con perdita del patrimonio pedologico, dovuta anche alla progressiva riduzione degli animali nelle aziende (effetto sulla sostanza organica): Gli indirizzi congiunti tra politica europea, norme sanitarie imbecilli ed orientamenti in controtendenza al libero mercato (quote latte, ecc.) hanno fatto scomparire gradatamente questi importanti anelli biologici del sistema agricolo, innescando un processo di degrado ambientale, dei suoli (diminuzione di sostanza organica) e dell’economia aziendale senza precedenti. Non si può veder la presenza degli animali (all’interno del corretto carico per azienda) come motivo di preoccupazione sanitaria o di norme che servono solo a dare potere a dei sistemi di controllo e di orientamento dei grandi capitali di mercato.
5. Bassissimo indice di chiusura delle filiere produttive: Un’agricoltura specializzata crea aziende ad altissima concentrazione di prodotti dello stesso tipo con una difficoltà di rapporto di filiera col territorio locale – se produco solo frumento come posso piazzare i quintali di prodotto nella piccola distribuzione? – (sempre più volutamente emarginata da grande distribuzione e sistemi bancari). Una delle grandi responsabili della morte della piccola distribuzione e dell’aumento delle grandi catene è proprio la specializzazione agricola (senza alcuna regola agronomica). Se analizziamo quasi tutti i bandi europei vanno in questa direzione. Meno che mai esiste una politica rurale che tutela tale questione. Di questo si dovrà occupare la Politica, grande assente (e complice) di tale disastro.
6. Bassissimo apporto di assistenza tecnica aziendale pubblica e privata: Abbiamo perso la cultura rurale (accumulata e tramandata per millenni) e formato una classe tecnica (di cui ahimè faccio parte) su modelli agronomici da catena di montaggio. Pur tuttavia lo Stato ha speso per questi tecnici milioni di euro su cui si sarebbe dovuta fare una programmazione seria a favore di una crescita congiunta con gli addetti del mondo agricolo. Oggi l’agricoltore è quasi abbandonato a se stesso e i Dottori Agronomi e Dottori Forestali, o atri tecnici del settore, vivono quasi ai margini di questa realtà e quasi esclusivamente coinvolti nella progettazione di bandi europei basati sul modello sacrilego di un’agricoltura improponibile. La formazione è un onere notevole per le tasse dei cittadini e la Politica Rurale (ripeto inesistente) non può disinteressarsi di questo aspetto. Altrimenti chiudiamo università e ricerca (capite la provocazione) e diminuiamo la pressione fiscale.
Le considerazioni fin qui fatte devono essere un ulteriore punto di riflessione per spingere noi tutti a comprendere che l’agricoltura è il fondamento della rinascita politica dell’Europa e del mondo.
Nel 1999 scrissi un libro: Riforma Rurale e Rinascimento Politico ma, credetemi, non pensavo di profetizzare tempi come questi e come quelli che purtroppo dovranno arrivare. Buona riflessione a noi tutti e soprattutto buon lavoro per una nuova direzione a misura dell’Uomo e della Natura.

Guido Bissanti




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