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Disponibilità dei fosfati e minacce per la produzione agricola

Disponibilità dei fosfati e minacce per la produzione agricola

Come è noto dai rapporti di alcuni Enti governativi, come la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Comitato delle Regioni del 2013 (sull’uso sostenibile del fosforo) la crisi del fosforo per i fertilizzanti minaccia la produzione agricola mondiale.
La scarsità dell’elemento più usato (insieme a potassio e azoto) per realizzare i fertilizzanti, unitamente alla crisi ecologica ed alla ancora lenta applicazione delle tecniche agroecologiche, rischia di mettere in ginocchio la filiera alimentare in pochi decenni.
Inoltre l’aumento dell’uso di questo fertilizzante, esponenzialmente cresciuto con l’avvento dell’agricoltura intensiva dagli anni’60 in poi del secolo scorso, ha comportato un notevole incremento del fabbisogno di acqua ed energia (per l’estrazione e la distribuzione) incidendo sempre più negativamente sulle emissioni climalteranti.
Il fosforo è, infatti, uno degli elementi più comunemente utilizzati per produrre fertilizzanti, assieme all’azoto e al potassio. Si estrae principalmente dalle rocce e dalle sabbie fosfatiche, che vengono trasportate e lavorate (utilizzando grosse quantità di acqua ed energia) fino ad ottenere il monoammonio e diammonio fosfato, ingredienti base di molti concimi. I rendimenti dell’agricoltura industriale si basano in buona parte sulla disponibilità di questo elemento. Le riserve di fosfati hanno due caratteristiche fondamentali:
– sono concentrate in pochissimi luoghi del mondo – il 70% in Marocco, il 20% in altri 4 paesi, solo il restante 10% nel resto del il mondo.
– per una concorrenza di fattori si stanno esaurendo.
Il fenomeno è noto come «picco del fosforo» o «picco dei fosfati» e se ne parla da diversi anni. I primi studi sull’argomento ipotizzavano che il picco, ovvero il momento di massima estrazione prima del declino, sarebbe giunto già attorno al 2010. Successivamente le stime sono state riviste al rialzo, ma non esiste certezza su quando avverrà il picco del fosforo. Attualmente gli studi più attendibili lo collocano fra il 2030 e il 2100, con l’ampio margine di incertezza dovuto a due fattori: le stime relative alle riserve e – soprattutto – le proiezioni legate ai consumi.

Incremento storico del fosforo in agricoltura

Per fortuna in Italia e in Europa la domanda di fosforo è diminuita negli ultimi 15 anni, anche grazie al contributo dell’agricoltura biologica e, negli ultimi tempi, dell’avvento dell’agroecologia, ma nel resto del mondo ha continuato a crescere, trainata dalle economie emergenti di Cina e India, dalla crescita dei consumi di carne nei paesi in espansione economica (carne che ha un’impronta fosfatica 50 volte superiore alle verdure) e dall’utilizzo dei cosiddetti biocarburanti.
Ovviamente, la crescita della domanda, a cui non corrisponde una crescita dell’offerta, ha fatto lievitare il prezzo, che è più che raddoppiato negli ultimi 15 anni. E il trend non sembra arrestarsi: se non si interverrà con politiche mirate la domanda di fertilizzanti al fosforo è destinata a raddoppiare entro il 2050, e con l’offerta che inizierà a declinare la filiera alimentare mondiale rischia di finire nel caos. Di fronte a questo quadro apocalittico, diverse istituzioni si sono mosse alla ricerca di soluzioni. Nel 2013 è nata la European Sustainable Phosphorus Platform (Espp), una piattaforma che riunisce una vasta gamma di attori europei lungo l’intera filiera del fosforo con lo scopo di trovare soluzioni condivise per una più efficiente gestione della risorsa.
Ovviamente la soluzione al fenomeno non è così immediata, intanto per via delle deboli incidenze della Politica Mondiale nel settore agricolo, come la PAC in Europa, sia per ulteriori fattori che spesso sono di complessa ponderazione.
Tra questi la diminuzione, tra gli altri esseri viventi, degli uccelli. Secondo BirdLife International, Società di ornitologia della Repubblica Ceca e della Royal Society for the Protection of Birds (RSPB), dal 1980, in Europa, l’agricoltura intensiva ed altre attività umane hanno fatto scomparire tra 600 e 900 milioni di esemplari di specie più comuni di uccelli: in pratica una su sei. Con la loro diminuzione è calato drasticamente il loro apporto naturale soprattutto di fosfati e nitrati, come confermato dal Departamento de edafoloxía e química agrícola dell’Universidade de Santiago de Compostela.
A questo si aggiunga il crollo del 45 per cento delle popolazioni di insetti negli ultimi dieci anni. La rivista Science ha cercato di quantificare il calo calcolando una sintesi dei risultati di diversi studi scientifici già conclusi: il risultato, per alcune specie monitorate, è stato, a dir poco, preoccupante.
La diminuzione delle popolazioni degli uccelli, soprattutto marini, con il loro apporto di guano, notoriamente molto ricco di fosforo, e degli insetti, il cui corpo è ricco dello stesso elemento, oltre di altri elementi fondamentali per l’equilibrio della fertilità dei suoli, ha incrinato un delicato equilibrio che si è mantenuto praticamente inalterato negli ultimi diecimila anni di storia dell’agricoltura.
Tra l’altro, a proposito del calo delle popolazioni degli uccelli, secondo i calcoli di alcuni ricercatori, le loro deiezioni sono quantificabili anche monetariamente, equivalendo ad oltre 1 miliardo di dollari all’anno.
Gli scienziati danno un prezzo ai benefici globali del guano, che vanno dai fertilizzanti naturali all’arricchimento delle barriere coralline.
Lo studio “Valuing ecosystem services can help to save seabirds”, pubblicato su Trends in Ecology and Evolution da Daniel Plazas-Jiménez e Marcus Cianciaruso dell’Universidade Federal de Goiás, dimostra che il guano degli uccelli marini è una grande risorsa: contiene sostanze nutritive che stimolano il suolo, ha dato il via all’agricoltura Inca è l’ha sostenuta per secoli e poi, quando i colonizzatori europei l’hanno scoperta, ha dato vita all’epoca dell’imperialismo del guano che ancora oggi viene venduto come fertilizzante organico.
Altri studi, eseguiti da altri ricercatori in varie parti del mondo, hanno sottolineato come la rottura degli equilibri ecosistemici stanno incidendo sempre più negativamente sulla redistribuzione dei nutrienti, non compensabile né ora né mai da un modello agricolo lineare e non circolare.
Purtroppo la governance delle politiche e delle decisioni mondiali sui modelli agricoli e poco supportata da una sufficiente divulgazione ed informazione della ricerca che, a dire il vero, è spesso anche poco ascoltata.
Tutto questo, oltre agli squilibri ecologici ed agricoli, rischia, come già sta avvenendo in alcuni Paesi, soprattutto della fascia tropicale ed equatoriale, di incrementare le disparità umane e politiche generando una escalation dei conflitti interni ed internazionali.

Squilibri geopolitici per l'uso dei fosfati

Eppure le basi scientifiche ed etiche per superare questo imponente vortice che la civiltà mondiale sta alimentando esistono da anni; sono note già dall’inizio degli anni ’80 del scolo scorso; sono rappresentate dall’implementazione di una solida economia circolare, dall’applicazione delle tecniche agroecologiche e dagli equilibri democratici tra popolazioni ricche e più povere.
Sappiamo oramai che tutti questi fattori garantirebbero non solo un incremento delle rese produttive (anche in agricoltura) ma soprattutto un miglior rendimento dei processi energetici, che i cicli termodinamici aperti dell’economia circolare non possono più assicurare.
Le innovazioni legate alle scoperte degli ultimi decenni devono essere tradotte in linguaggio ed azione politica; per fare ciò questa va depurata dalle interferenze nefaste dei grandi interessi economici che assomigliano sempre più al biblico inseguimento degli ebrei da parte dei cavalli del faraone egiziano, egiziani che furono inghiottiti, secondo il racconto, dal ritorno delle acque che “…sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone …”.
Così gli interessi delle multinazionali sembrano non comprendere il probabile destino che le attende e per questo serve una vera presa di coscienza da parte della popolazione verso un “esodo” che ci faccia entrare in una terra “promessa” per le future generazioni.

Guido Bissanti




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