I Celti e l’agricoltura
I Celti e l’agricoltura
I Celti furono un insieme di popoli indoeuropei che, nel periodo di massimo splendore (V-III secolo a.C.), erano stanziati in un’ampia area dell’Europa, che andava dalle Isole britanniche fino al bacino del Danubio, oltre ad alcuni insediamenti isolati più a sud, frutto dell’espansione verso le penisole iberica, italica e anatolica.
I Celti, uniti dalle origini etniche e culturali, dalla condivisione di uno stesso fondo linguistico indoeuropeo e da una medesima visione religiosa, rimasero sempre politicamente frazionati; tra i vari gruppi di popolazioni celtiche si distinguono i Britanni, i Galli, i Pannoni, i Celtiberi e i Galati, stanziati rispettivamente nelle Isole Britanniche, nelle Gallie, in Pannonia, in Iberia e in Anatolia.
I Celti erano portatori di un’originale e articolata cultura, furono soggetti a partire dal II secolo a.C. a una crescente pressione politica, militare e culturale da parte di altri due gruppi indoeuropei: i Germani, da nord, e i Romani, da sud. Furono progressivamente sottomessi e assimilati, tanto che già nella tarda antichità l’uso delle loro lingue appare in netta decadenza e il loro arretramento come popolo autonomo è testimoniato proprio dalla marginalizzazione della loro lingua, presto confinata alle sole Isole britanniche. Lì infatti, dopo i grandi rimescolamenti altomedievali, emersero gli eredi storici dei Celti: le popolazioni dell’Irlanda e delle frange occidentali e settentrionali della Gran Bretagna, parlanti lingue brittoniche o goideliche, le due varietà di lingue celtiche insulari.
Origini –
Secondo la maggioranza degli archeologi e dei linguisti i Celti furono il popolo portatore della cultura di La Tène; cultura sviluppatasi durante l’età del ferro dalla precedente cultura di Hallstatt. Tale identificazione consente di individuare la patria originaria dei Celti in un’area compresa tra l’alto Reno (da Renos, vocabolo di origine celtica il cui significato è “mare”) e le sorgenti del Danubio (dal celtico Danuvius, il cui significato è “che scorre veloce”), tra le attuali Germania meridionale, Francia orientale e Svizzera settentrionale: qui i Protocelti si consolidarono come popolo, con una propria lingua, evoluzione lineare di un vasto continuum indoeuropeo esteso in Europa centrale fin dall’inizio del III millennio a.C..
Secondo alcuni studiosi si ritiene che i primi Celti colonizzarono le isole britanniche già nel periodo calcolitico (cultura del vaso campaniforme).
Nell’area di La Tène si registra una continuità nell’evoluzione culturale sin dai tempi della cultura dei campi di urne (a partire dal XIII secolo a.C.). All’inizio dell’VIII secolo a.C. si affermò la cultura di Hallstatt, la civiltà protoceltica che mostrava già le prime caratteristiche culturali che poi saranno proprie della cultura celtica classica. Il nome deriva da un importante sito archeologico austriaco distante una cinquantina di chilometri da Salisburgo. La Cultura di Hallstatt, con base agricola ma dominata da una classe di guerrieri, era inserita in una rete commerciale piuttosto ampia che coinvolgeva Greci, Sciti ed Etruschi. È da questa civiltà dell’Europa centro-occidentale che, intorno al V secolo a.C., si sviluppò, senza soluzione di continuità, la cultura celtica propriamente detta: nella terminologia archeologica, la Cultura di La Tène.
Agricoltura –
I Celti furono un popolo di abili agricoltori; questa popolazione coltivava campi di forma quadrangolare, non molto grandi: la dimensione media era di dieci-quindici are, corrispondenti a quanto era possibile arare in un solo giorno. I campi erano delimitati da siepi per proteggerli dal calpestio degli animali selvatici.
Fondamento dell’agricoltura dei Celti erano le colture cerealicole. I dati archeologici attestano che i Celti coltivavano un’antica varietà di farro piccolo (Triticum monococcum) oltre a frumento, segale, avena, miglio, perfettamente adatti ai terreni di queste regioni con rendimenti molto elevati (fino a tre tonnellate per ettaro); ma coltivavano anche grano saraceno (cereale particolarmente adatto a terreni poveri e a una coltura in altitudine) e orzo, usato soprattutto per produrre una forma primitiva di birra, denominata in gallico cervesia (secondo la trascrizione latina).
Nell’agricoltura dei Celti ricopriva un ruolo importante l’allevamento. Il bestiame aveva un ruolo fondamentale nell’alimentazione delle genti celtiche. Di riflesso, il rango dei vari capitribù dipendeva più dal numero dei capi di bestiame da essi posseduti che dall’estensione dei terreni di loro proprietà adibiti a coltivazione. Venivano allevati bovini di piccola taglia e dalle lunghe corna (Bos longifrons). I maiali domestici erano di dimensioni assai più piccole rispetto al cinghiale o ai maiali attuali, ma la loro carne era particolarmente apprezzata, soprattutto nei banchetti. I ritrovamenti archeologici di resti ossei, rinvenuti nelle loro cittadelle, confermano che era certamente la carne maggiormente consumata. Le capre, al contrario, erano allevate soprattutto per il loro latte; nei loro villaggi erano inoltre presenti oche e galline.
Bisogna riconoscere, malgrado le affermazioni degli autori antichi (Strabone, Cicerone o Tacito) che i Celti insieme alle popolazioni del centro e dell’occidente dell’Europa erano perfettamente in grado di praticare l’agricoltura: le loro incontestabili predisposizioni per le attività belliche lasciavano posto ad attività più pacifiche: la stessa natura delle terre da loro abitate li portava d’altra parte a considerare in modo diverso rispetto ai paesi mediterranei il metodo, per esempio, di lavorare la terra, o anche di fondare sulle risorse a loro disposizione una economia un po’ diversa da quella mediterranea, con ordinamenti originali e tecniche altrove ignorate o trascurate.
I Celti erano, in definitiva, una società in gran parte agricola, che ha avevano a loro disposizione due ricchezze, elementi di un paesaggio molto difforme da quelli abituali nel Mediterraneo: la prateria e la foresta.
L’ingegnosità dei Celti, nel momento in cui queste popolazioni perdono, l’una dopo l’altra, la loro indipendenza, si manifesta in tutti i campi e soprattutto in quello agricolo, in cui si devono loro ascrivere delle invenzioni meccaniche, come il grande aratro a ruote, una specie di adattamento del carro, illustratoci da Plinio, Naturalis Historia, XVIII, 171, 3: una curiosa macchina mietitrice, descritta dal medesimo autore (ibid., 296), con una cassa montata su ruote e munita di denti, che staccavano le spighe alla sommità dello stelo.
Artigianato e metallurgia –
Lo sviluppo dell’agricoltura andò di pari passo con lo sviluppo e l’evoluzione dell’artigianato e della metallurgi. Già a partire dall’VIII secolo a.C., la capacità di lavorare il ferro permise ai Celti di fabbricare asce, falci e altri attrezzi al fine di effettuare sgombri di territori su vasta scala, prima occupati da foreste impenetrabili, e di lavorare la terra con facilità. La crescente abilità nella lavorazione dei metalli permise inoltre la costruzione di nuovi equipaggiamenti, come spade e lance, che li resero militarmente superiori rispetto alle popolazioni loro vicine e li misero in grado di potersi spostare con relativa facilità, giacché poco temevano gli altri popoli. Estratto sotto forma spugnosa, il ferro era sottoposto ad una prima lavorazione di fucina e distribuito in lingotti, pesanti cinque-sei chilogrammi e a forma bipiramidale. In un periodo successivo, i lingotti furono sostituiti da lunghe barre piatte, già pronte per essere lavorate in lunghe spade; tali barre erano tanto apprezzate da essere utilizzate perfino come moneta, insieme al rame e alle monete d’oro.
Guido Bissanti