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Il Frumento che sta distruggendo i ghiacciai

Il Frumento che sta distruggendo i ghiacciai

Il frumento, come è noto, non è solo uno degli alimenti di maggior consumo planetario ma anche il simbolo della nascita dell’agricoltura.
Il frumento fu, infatti, tra le prime piante ad essere coltivate. Com’è noto il centro della sua domesticazione è stato identificato dagli archeologi in località diverse dell’ampia area che dai rilievi iraniani e dalle montagne dell’Anatolia raggiunge la costa della Palestina, comprendendo la valle del Tigri e dell’Eufrate, area che per la sua forma è stata definita la Mezzaluna Fertile.
Questo simbolo della storia di interi popoli e di incredibili civiltà sta divenendo oggi il simbolo di una civiltà incredibilmente contraddittoria ed incapace di risolvere problemi, oramai di livello globale.
La civiltà moderna, accecata dal dio profitto, non riesce più a superare contraddizioni talmente evidenti da apparire semplici anche ad un bambino.
Le leggi di mercato sono divenute come dei dittatori che sovrastano ragioni di Stato ma anche ragioni umane, creando le premesse per quello che potrebbe divenire il più grande cambiamento e quindi catastrofe climatica dal Pleistocene ad oggi.
I cambiamenti climatici stanno intaccando gli immensi ghiacciai antartici e, soprattutto, artici, con conseguente indebolimento di quel permafrost che contiene quantità enormi di gas serra.
Se lo scioglimento dei ghiacci continuerà al ritmo attuale – molto più veloce, peraltro, di quanto i modelli climatici avevano previsto – tale fenomeno immetterebbe in atmosfera, in pochi anni, un tasso di emissioni pari a quello del primo inquinatore mondiale: la Cina, un’eventualità che non possiamo permetterci.
Gran parte del riscaldamento globale è oggi dovuto alle attività umane, come industria, agricoltura e servizi ma anche ad un sistema di trasporti che è fuori da ogni logica energetica e termodinamica.
Autovetture, furgoni, camion e autobus producono oltre il 70 % delle emissioni di gas a effetto serra generate dai trasporti. La quota restante proviene principalmente dal trasporto marittimo e aereo.
Inoltre i trasporti continuano a costituire anche una fonte significativa di inquinamento atmosferico, soprattutto nelle città.
Così dall’inizio della rivoluzione industriale la temperatura della terra è salita di oltre un grado. Con l’accordo di Parigi i 190 paesi firmatari si sono posti l’obiettivo di contenere l’aumento al di sotto dei due gradi, e se possibile di un grado e mezzo. Il trattato di Parigi, senza precisi impegni, fatica però a produrre effetti misurabili. Gli studi più recenti sui trend delle emissioni lo confermano. Ma anche se fosse applicato non basterebbe a fermare la catastrofe se non cambiamo le regole che sovrastano le leggi di mercato.
Nel settore agricolo, per entrare in un ambito specifico, siamo addirittura al paradosso.
Ingenti quantità di merci attraversano il Pianeta senza un reale bisogno nutrizionale ma per soddisfare condizioni di mercato, spesso artatamente create, per favorire un esportatore a sfavore di un importatore.
È il caso del frumento del Canada esportato in Italia. Questo alimento, al di la della questione del contenuto in glifosato, micotossine ed altri biocidi, che non dovrebbe nemmeno vederlo classificato come idoneo all’alimentazione animale, e su cui tanto si scrive e si dibatte, porta con se un carico altrettanto grave.
Per poter essere convogliato e trasportato (oltre che prodotto), tramite i principali porti canadesi, il frumento può percorre distanze che possono oscillare in una media che va dai 7.000 ai 10.000 Km.
Con questa percorrenza, facendo dei calcoli più o meno complessi si arrivano a bruciare, per ogni Kg di frumento, oltre 6 Kg di petrolio con una emissione di circa 18 kg di CO2.

Una immensità che, in barba al Protocollo di Kyoto ed ai recenti Accordi di Parigi, non trova alcuna giustificazione (se non quella di alcuni speculatori) e che, secondo altri calcoli stechiometrici un po’ più complessi, incide ben oltre (per la sua quota parte) ai famosi due gradi di cui agli Accordi di Parigi.
Per tornare infatti al concetto stabilito da questi Accordi, James Hansen, famoso climatologo americano a lungo in forza alla NASA, definisce lo scenario dei due gradi una “ricetta per il disastro” sul lungo periodo. Per capire di cosa stiamo parlando, un aumento inferiore a due gradi significa la distruzione totale della barriera corallina – la metà è morta quest’anno – il livello dei mari che cresce di alcuni metri e l’abbandono del Golfo Persico.
Ma c’è di peggio, per Robert Watson, ex direttore del Panel Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, lo scenario più plausibile è un aumento di tre gradi. A questa temperatura avremo foreste al circolo polare artico e scomparirà la maggior parte delle città costiere. Con un aumento di quattro gradi l’Europa resta senz’acqua mentre vaste aree della Cina, dell’India e del Bangladesh sono invase dal deserto. La Polinesia è inghiottita dall’oceano e la gran parte del sud degli Stati Uniti diventa inabitabile. Cinque gradi mettono a rischio la sopravvivenza stessa della specie umana. La ricetta per il disastro sul lungo periodo, quei due gradi evocati a Parigi, è ormai divenuta la nostra migliore chance di sopravvivenza.
Ironia della sorte (ma chi la fa l’aspetti e la cosa, umanamente, non ci consola affatto) gli effetti devastanti di questo fenomeno colpiranno soprattutto il Canada che sarà costretto a pagare un prezzo altissimo con lo scioglimento in atto del Ghiacciaio Hubbard, un ghiacciaio situato nell’Alaska (Stati Uniti) e in parte nel territorio dello Yukon (Canada), dove il fronte del ghiacciaio è in continuo movimento e nel maggio del 1986 ha bloccato l’uscita verso il mare del “Russell Fjord” (a sud-est del fronte del ghiacciaio) formando il lago “Russell” il cui livello, durante l’estate, si è alzato di 25 metri. In ottobre però la diga di ghiaccio ha ceduto e circa 5,3 chilometri cubi di acqua nell’arco di 24 ore si è riversata nel mare.
Stessa cosa sta succedendo ad altri ghiacciai senza che nessun Governo abbia il coraggio di alzare la voce contro lo scempio di un libero mercato senza regole che trascinerà con se cavallo e cavaliere.
Se per un attimo ritorniamo nel nostro piccolo Paese, cioè l’Italia, all’interno di una Unione Europea al cui cospetto una Talpa sembra un’Aquila con una vista profonda.
Non si capisce (ovviamente al di la della predominanza di grandi interessi) come sia possibile che questo scempio non sia fermato.
Si continua a parlare (e a ragion veduta) della questione sanitaria del frumento proveniente dal Canada (ma il problema è molto più vasto e il Canada rischia di divenire il capro espiatorio di una tela molto più vasta) senza che si stia comprendendo che la questione è molto più grave e, continuando così, il dibattito non coinvolgerà solo umanità ed animali ma la febbre di un Pianeta che ogni giorno sale sempre di più per l’ignavia di una politica che ha perso, troppo spesso, il potere dell’Ordine del Giorno, ed il senso etico delle regole.
Se agli Accordi di Parigi non verranno abbinate regole certe sulle infrazioni non aspettiamoci più tanto dalla storia, perché in questo modo con il Pianeta stiamo bruciando il futuro dell’umanità.
Serve un grido forte, una presa di posizione concreta, anche a rischio (e sarebbe ora) di mettere in discussione i principi su cui si basano le politiche di grandi Stati come gli Stati Uniti, l’Unione Europea o la Cina, per citare i più in vista.
Ci aspettiamo una Politica che riconduca l’economia verso l’ecologia; ci aspettiamo Voci di grida nel deserto di una Politica attuale talmente miope da affrontare, ed in maniera spesso maldestra, le questioni sugli effetti ma incapace di ragionare sulle cause.
Andiamo oltre le apparenze, muoviamoci verso il nocciolo della questione. Il caso del frumento che sbarca continuamente nei nostri porti e solo la punta di un iceberg e va molto al di la di quegli aspetti sanitari su cui gli stessi regolamenti europei, ed il sistema dei controlli, stanno mostrando tutta lo loro fragilità.
Forniamo nuove visioni alla Politica per rivestirla di una rinnovata dignità.

Guido Bissanti




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