Rifiuti di plastica ed Ambiente marino
Rifiuti di plastica ed Ambiente marino
La produzione di plastica ha raggiunto negli ultimi anni livelli al di sopra di ogni immaginazione e la cosa più sconcertante è che si fa poco o quasi niente per porre rimedio a questa che si annuncia essere una delle più grandi catastrofi ecologiche (come se ne mancassero) del terzo millennio.
Nel Mediterraneo, ad esempio, i rifiuti in plastica stanno cambiando la vita degli animali marini, tanto che secondo un recente studio la tartaruga Caretta caretta è la specie più soggetta ad intrappolamento.
Secondo l’ISPRA (dati 2019) quasi 50.000 esemplari di 116 specie diverse hanno ingerito rifiuti in plastica.
Oramai i rifiuti in plastica, che contaminano mari e oceani a livello mondiale, sono in grado di interferire con la vita acquatica a più livelli e nessuno di questi può portare ad un lieto fine. Il recente lavoro dell’ISPRA, incluso nel capitolo del libro “Plastics in the Aquatic Environment – Current Status and Challenges”, aggiorna la letteratura scientifica in riferimento all’impatto di questi rifiuti sulla vita marina nel Mare Nostrum, attraverso una puntuale e ampia analisi di tutte le ultime pubblicazioni sul tema.
I risultati, come purtroppo ci si aspettava, ci confermano che i rifiuti in plastica stanno gravemente la alterando salute e la vita di numerosi organismi, dal corallo rosso ai capodoglio, costituendo un pericolo su più livelli.
Secondo tale studio, sono stati trovati fino ad ora rifiuti in plastica in quasi 50.000 esemplari di 116 specie diverse. Di queste, il 59% è rappresentato da pesci ossei – inclusi quelli di interesse commerciale come sardine, triglie, orate, merluzzi, acciughe, tonni, scampi, gamberi rossi – ed il restante 41% costituito da altri animali marini come mammiferi, crostacei, molluschi, meduse, tartarughe, uccelli.
Oltre all’ingestione la presenza di plastiche, in varie forme e manifatture, crea ulteriori problemi come quella dell’intrappolamento: almeno 44 specie marine risultano essere soggette a questo inconveniente soprattutto a causa delle vecchie reti da pesca, con conseguente rischio di morte per affogamento, strangolamento o denutrizione.
Ma accade spesso anche che rifiuti come buste e bottigliette diventino vettore di trasporto per gli organismi marini o persino di batteri patogeni.
Se a questo poi aggiungiamo la questione legata alle microplastiche ed alla loro veicolazione anche a livello delle cellule di tutti gli esseri viventi, così come dai dati riportati durante la giornata del 12 dicembre 2019 del Movimento Azzurro, presso la sala Cavour del Ministero dell’Agricoltura di Roma, dalla Professoressa Margherita Ferrante, Responsabile del Environmental and Food Laboratories (LIAA) Department Ingrassia di Catania, relativi alle nano e microplastiche, allora il problema diviene di dimensioni più che allarmanti.
Questo perche, sempre secondo ISPRA, la produzione mondiale di plastica è passata dai 15 milioni del 1964 agli oltre 310 milioni attuali, e ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di rifiuti in plastica finiscono negli oceani del mondo.
Di fatto a fronte di tanti allarmismi degli anni passati il trend di produzione di plastiche è in incremento.
Per limitare i danni, l’Unione europea ha approvato una direttiva contro la plastica monouso, che rappresenta una delle principali tipologie di rifiuti in plastica trovate nel Mediterraneo, ma tutto questo non è ovviamente sufficiente.
È evidente, ormai, come il problema legato alla plastica deve essere affrontato in tutte le sue fasi: soprattutto a partire dalla progettazione dei prodotti, passando per la produzione, il consumo e infine il corretto avvio a riciclo del prodotto una volta divenuto rifiuti.
Occorre pertanto l’intervento concreto di tutti i Governi al fine di attivare, anche tramite quanto proposto da Agenda 2030, un serio programma di cambio tecnologico che, nell’ottica dell’implementazione dell’Economia Circolare, vada verso incentivi in tale direzione.
A nulla servono gli allarmismi se non si investe in questa direzione. La questione più seria sembra essere la solita: cioè quella di una valutazione economica di questi interventi al di la del criterio del parametro del PIL, non più idoneo a risolvere questioni non direttamente monetizzabili ma di assoluta intuizione anche per i meno addetti.
Guido Bissanti