Agroecologia – verso Agenda 2030
Agroecologia – verso Agenda 2030
Dal 1972, anno della Conferenza di Stoccolma sull’Ambiente Umano, ad oggi, sono passati quasi 50 anni, che corrispondono a due generazioni.
Se invece il riferimento lo facciamo col trattato di Roma del 1957, le generazioni diventano quasi tre.
Eppure nell’arco di quasi tre generazioni abbiamo dilapidato un patrimonio ecologico senza precedenti, rispetto alle circa 450 generazioni che nei 10.000 anni precedenti avevano praticato l’agricoltura.
Vediamo dei dati sintetici:
Secondo i dati forniti soprattutto dall’UNCCD (United Nations Convention to Combat Desertification) e dalla FAO siamo di fronte ad una perdita della biodiversità senza precedenti, ad una erosione delle varietà e delle cultivar agricole, ad una perdita della fertilità dei suoli preoccupante; per es. la Sicilia, secondo i dati ufficiali dell’IRSSAT, ha un livello di desertificazione che interessa oramai il 70 % del suo territorio (Cipro è al secondo posto con il 55 % circa).
Secondo i dati della IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) la metà (il 47%) delle specie di mammiferi marini monitorate e quasi un quarto degli uccelli (24,4%) subiscono l’impatto negativo dovuto al deterioramento degli habitat ed ai cambiamenti climatici. In totale si tratta di circa 700 specie: tutte a rischio di estinzione in tempi più o meno brevi.
Non ultimo, tra i vari fenomeni, la perdita di suolo e la destrutturazione degli stessi con i conseguenti fenomeni di diminuzione della fertilità e della impermeabilizzazione, soprattutto nelle zone ad agricoltura più intensiva, come nelle aree pianeggianti ove si pratica la serricoltura.
Ricordiamo che poi nei confronti dei riflessi della desertificazione e sul riscaldamento globale l’agricoltura incide per un valore intorno al 50 %.
Tutto ciò ci porta a dover rivedere non solo il criterio di come si produce il cibo ma anche di come si distribuisce e come si consuma.
Va ripensato soprattutto il concetto di efficienza ecologica ed energetica delle produzioni agricole.
È oramai chiaro, non solo da un punto di vista intuitivo, ma soprattutto da evidenze scientifiche come i criteri, troppo semplicistici, dell’agricoltura da reddito e di una conseguente agronomia vadano totalmente rivisti.
A questo proposito Ordini Professionali e MIUR debbono iniziare un dialogo che, a dire il vero, non è mai stato semplice.
Siamo infatti di fronte alla necessità di dover rivedere totalmente i testi di agronomia, i concetti relativi ai modelli energetici dei sistemi agroalimentari, i modelli di raccordo tra la produzione e la fruizione del cibo, i sistemi di mercato, le economie correlate, la determinazione del giusto compenso per il bene cibo, prodotto in relazione ad un concetto di salubrità alimentare ed eco sostenibilità.
All’orizzonte di questo scenario stiamo assistendo al sorgere di alcuni nuovi paradigmi come quello dell’Economia Circolare, della Agroecologia e conseguentemente della Sovranità Alimentare.
La prima locuzione, inizia a muovere i primi passi intorno alla metà degli anni ’60; questa ci fa comprendere come il sistema liberistico degli scambi, soprattutto per alcuni tipi di merci non sia più proponibile. Spiego questa affermazione con una considerazione semplicissima:
– ogni kg di prodotto agricolo che trasportiamo comporta una emissione di gas ad effetto serra, tanto maggiore quanto più lunga è la percorrenza. Per fare un esempio, un Kg di arance trasportate dalla Sicilia alla Cina emette nell’atmosfera qualcosa come 550 gr di CO2.
Questo significa che non può essere solo la legge della domanda e dell’offerta a regolamentare gli scambi commerciali ma algoritmi più adeguati che prevedano, per es. fiscalità di vantaggio; premialità, secondo gli Accordi di Parigi; vantaggi per gli scambi commerciali virtuosi (corto raggio, accordi di filiera, ecc.).
Questi concetti portano automaticamente al principio della Sovranità Alimentare, locuzione che fu coniata da membri di Via Campesina, che non ha nulla a che vedere con i modelli autarchici di storica reminiscenza italiana, e che nasce nel 1996 quando venne enunciato per la prima volta, alla conferenza internazionale della coalizione svoltasi a Tlaxcala (Messico).
Si arriva così, in una estrema sintesi, ad una convergenza tra i principi dell’Economia Circolare, della Sovranità Alimentare e dell’Agroecologia.
Tutto questo comporta, senza alcun possibile compromesso, la necessità di una nuova politica che non può interessare solo l’agricoltura, come fattore di produzione di cibo e servizi e che, seppure con tutte le difficoltà che possiamo immaginarci, Agenda 2030 ha individuato attraverso i 17 obiettivi e i suoi 169 “target” o traguardi.
In questa ottica bisogna una volta per tutte dipanare una serie di questioni e di falsa o distorta informazione:
– L’Europa, così come tra l’altro voluta dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre del 2009, ha bisogno di un nuovo e più forte ordinamento normativo (e quindi Politico) che non può più prescindere da politiche concertate con i territori che tengano conto delle loro peculiarità.
A tal proposito mi piace riprendere l’enunciato esteso della Sovranità Alimentare: “il diritto dei popoli, delle comunità e dei Paesi di definire le proprie politiche agricole, del lavoro, della pesca, del cibo e della terra che siano appropriate sul piano ecologico, sociale, economico e culturale alla loro realtà unica. Esso comprende il vero diritto al cibo e a produrre cibo, il che significa che tutti hanno il diritto a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato, alle risorse per produrlo e alla capacità di mantenere se stessi e le loro società”.
Ricordiamo che l’Enciclica di Papa Francesco, la Laudato sì, riprende accoratamente questi concetti anche se poi li estrapola alla necessità di un nuovo modello sociale che chiama: l’Ecologia Sociale.
Andando un po’ più sul pratico significa che non possiamo più pensare, per restare in Sicilia, di promuovere un nuovo sistema agricolo senza la possibilità di dotarci di leggi e norme che vadano in questa direzione, non possiamo pensare di scambiare ancora i fondi strutturali (come il PSR) come sostitutivi delle politiche rurali e, soprattutto, non possiamo pensare ad un nuovo PSR incardinato su ottiche ormai morte e sepolte, quali:
– quelli degli investimenti in vista del solo mercato;
– di chiusure di filiere disancorate dai principi dell’agroecologia;
– della sovranità alimentare;
– dell’economia circolare.
Che ci piaccia o meno questo scenario è già cambiato e gran parte dei fallimenti del PSR 2014-2020 sono dovuti al fatto che è stato pensato con un vestito in partenza già vecchio e logoro.
Non possiamo più pensare, ad esempio, di premiare sistemi produttivi che siano nettamente in contrasto con criteri di efficienza ecologica, di salvaguardia della diversità e di una vera e reale salubrità alimentare.
Non possiamo più pensare a modelli agricoli aperti, che hanno un rendimento energetico ed economico pari fino ad 1/10 di quelli chiusi.
Per intenderci modelli aperti e chiusi sono concetti termodinamici applicati all’agroecologia che conferiscono all’organizzazione produttiva scenari completamente innovativi e che non è questa la sede di approfondimento.
In questo senso riproporre un PSR senza le fondamenta di una nuova politica agricola della Regione Siciliana è come un motore senza un telaio.
Ritornando, tra l’altro, al Trattato di Lisbona, ed in virtù del Principio di Attribuzione, l’Unione Europea, ha una competenza concorrente con gli Stati membri nel settore dell’agricoltura e della pesca. Questo Significa che non è l’Europa che sta sopra la Costituzione Siciliana, ma viceversa, e che comunque l’impalcatura di qualunque norma regionale o nazionale non deve ledere i principi sanciti dal Trattato di Roma prima e di Maastricht successivamente.
Questo comporta, pertanto, una dinamica articolata in cui il Parlamento Europeo dovrà sempre più svolgere la sua attività in raccordo con i livelli delle politiche nazionali, ivi comprese anche quelle delle Regioni a Statuto speciale come la Sicilia.
Non è una dinamica politicamente semplice, ce ne rendiamo conto, ma di fatto Agenda 2030 ha sancito, o meglio, specificato e chiarito questo percorso.
Un percorso che pretende non solo e tanto una nuova coscienza politica, all’interno della quale immaginarci un’Europa dei territori, ed all’interno del quale ogni territorio, così come cellule e corpo, nella loro diversità, cooperino per il bene comune.
Per fare questo dobbiamo cambiare gli attuali criteri di intendere la politica, le norme, la finanza.
In pratica dobbiamo applicare a politica, norme e regole gli stessi principi contenuti nei codici della natura e dell’ecologia.
Immaginiamo per un istante come se questi codici fossero scritti su un grande volume, con un indice semplice e leggibilissimo e noi, cittadini di questa nuova Ecologia Sociale, siamo in possesso di un software che sia in grado di convertire i principi contenuti nell’ecologia in norme, leggi e decreti per questo nuovo livello della Politica.
La parola d’ordine è in pratica quella di rendere sincroni o, se preferiamo, polarizzare i due sistemi.
Ma questo non si può raggiungere e non si può ottenere senza una graduale opera di conversione delle nostre coscienze e conoscenze. Se non convertiamo le coscienze (i nostri sistemi operativi) a poco servono scienza e tecnica.
Questa considerazione era già nota ad alcuni scienziati e filosofi, anche del secolo scorso, tant’è che Einstein la rappresentò con la sua famosa regola che recita: “Non puoi risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che hai usato per crearlo”
Il riscaldamento globale, i processi di desertificazione, la perdita della biodiversità, le povertà umane, sono le manifestazioni tangibili di questo macroscopico errore.
I dati scientifici correlati all’implementazione di un modello ecologico sociale basato su agroecologia, economia circolare e sovranità alimentare, ci dicono che questo Pianeta, se non lo manomettiamo definitivamente, è ancora in grado di assicurare una vita dignitosa a molte più persone di quelle che oggi lo abitano. Ma non con questo sistema, dove grandi interessi si oppongono a questi concetti, dove per es. scambiarsi i semi (che è stato il fondamento per l’incremento della biodiversità dell’agricoltura) è divenuto reato, e dove le regole da mettere in campo conducono, proprio da un punto di vista ecologico ed energetico, alla fine delle multinazionali, per lo meno come oggi sono configurate.
La questione, seppur apparentemente complessa, è invece, nei suoi principi incredibilmente semplice e chiara. Ed è proprio in questa direzione che la Consulta per la lotta alla desertificazione ha intenzione di lavorare.
Con un approccio integrato, con una visione trascendente, senza la quale rischiamo soltanto di creare ulteriore confusione e complessità di norme e di burocrazie, senza cogliere il vero significato che sta alla base della Vita umana, che non sono i mercati, non è la finanza, né una economia pericolosamente lontana dalla dignità Umana e dalla salvaguardia di quel bene che, a prescindere da come lo vediamo, è quella Natura che ci è stata donata e che dobbiamo trasmettere alle generazioni future.
Guido Bissanti
* Relazione del Convegno del 22 novembre 2019
Una nuova politica per la tutela dell’ambiente e la salute dell’uomo
Polo Universitario di Agrigento