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L’Agricoltura nella antica Cina IV

L’Agricoltura nella antica Cina – IV parte

Segue dalla III parte

Tra le altre tecniche agricole un metodo nuovo fu la “semina a ciotola” (ouzhong), che è descritto nel Libro di Fan Shengzhi. Questa tecnica consisteva nel seminare e far crescere ogni singola pianta dentro una piccola buca, usando un’alta concentrazione di concime. La produzione presunta per unità, in base a quanto indicato nel testo, era incredibilmente alta.
Lo svantaggio di questa tecnica era l’elevata richiesta di manodopera necessaria per la cura delle piante; inoltre, la divisione del terreno in piccoli appezzamenti non consentiva l’uso di animali o di macchinari, quali l’aratro.
Così questo metodo di orticoltura non era molto adottato, se non per produrre raccolti redditizi ad alto valore di mercato.
Un altro contributo sulla conoscenza delle tecniche del tempo ci viene dal Libro di Fan Shengzhi, che conteneva anche alcune discussioni sull’organizzazione delle risaie; questo teso ci da delle interessanti notizie sulla coltivazione del riso greggio, molto importante, ai tempi, nel Sud della Cina.
Si scopre, per esempio, quanta attenzione e quali tecniche venivano adottate per la regolazione del livello e del getto dell’acqua. La semina in semenzaio (tecnica a tutt’oggi usata dai coltivatori cinesi), oltre a ottimizzare l’uso della terra, permetteva alla piantina giovane di crescere in condizioni simili a quelle garantite dalla coltivazione in buca.
Naturalmente, tutti questi metodi prevedevano un elevato impiego di manodopera. Le famiglie, infatti, dovevano estirpare incessantemente le erbacce ed eliminare gli insetti dai campi, smuovere e spianare il terreno nei solchi e attorno alle radici, raccogliere e preparare (di solito, mediante fermentazione) diversi fertilizzanti, dal concime vegetale ai rifiuti animali. Dovevano anche trattare i semi con uno strato di agente fertilizzante prima di piantarli. Si può, pertanto, affermare che un elevato uso di manodopera era la caratteristica più evidente dell’agricoltura durante gli Han. Anche se la richiesta di manodopera era più elevata durante la semina e il raccolto, ogni famiglia di agricoltori doveva comunque poter disporre, in qualunque momento, di una squadra di lavoratori.
Questo era uno dei motivi per cui tutti i membri della famiglia partecipavano alla produzione, mentre alcuni lavori, come l’estirpazione delle erbacce e il controllo degli insetti, erano delegati soltanto alle donne e ai bambini.
Inoltre, proprio in uno concetto di sistema agricolo a ciclo chiuso, le famiglie degli agricoltori allevavano spesso animali domestici (quali polli, maiali e cani) che, oltre a fornire fertilizzante organico, molto importante nel bilancio della fertilità aziendale, costituivano la principale fonte di carne per l’alimentazione.
Notevoli tracce sul molte attività a carattere non agricolo, ma collegate con queste, ci sono pervenute inoltre dalle Ordinanze mensili per le quattro classi di persone; in queste sono contenute interessanti informazioni sulla lavorazione di prodotti locali di maggior consumo (per es., la fabbricazione di candele, mobili per arredamento, ecc.), che avevano dato il via a vere e proprie industrie artigianali rurali.

I proprietari terrieri infatti, a beneficio dei quali le Ordinanze mensili erano state compilate, si occupavano anche ‒ e sempre per lucro ‒ della vendita e dell’acquisto di granaglie.
L’agricoltura del periodo Han era strettamente correlata con le attività di mercato e le industrie artigianali rurali avevano poche possibilità di competere con una forte economia urbanizzata. Tuttavia, il governo Han, dopo un periodo di tolleranza, preoccupato dell’influenza dei ricchi uomini d’affari, iniziò a prendere ripetute misure per contenere le attività dei settori economici privati.
Ben presto la produzione del sale e del ferro, attività molto redditizia, fu posta sotto il monopolio dello Stato. Le persone più facoltose delle province furono, quindi, costrette a trasferirsi nella regione intorno alla capitale per curare meglio i loro affari. Il colpo finale e decisivo fu assestato nel 117 a.C. quando, a seguito di una vasta operazione volta a smascherare un giro di frodi fiscali, furono confiscate le proprietà e i beni di coloro i quali avevano avviato attività commerciali e imprenditoriali in città, lasciando così nuovo spazio alle industrie artigianali rurali.
Tutto questo portò un certo beneficio sia ai coltivatori che ai proprietari terrieri, che in tal modo riuscirono ad ampliare i margini dei loro redditi. In conclusione, per bilanciare uno sfavorevole rapporto uomo-terra (dovuto a un’enorme pressione demografica), il modello di organizzazione economica poté sostenersi grazie a un sistema di coltivazione ad alta intensità di manodopera.
In definitiva fu proprio grazie alla conoscenza e alla padronanza delle tecniche di coltivazione intensiva che gli agricoltori del periodo Han possedevano da rendere possibile uno sfruttamento razionale e continuativo dei terreni arabili, necessario per alimentare la vasta popolazione di un territorio con spazi arabili limitati.
In questo ambito, lo Stato interveniva promuovendo sia la coltivazione di determinati raccolti sia l’uso di certi utensili; inoltre, a diversi livelli di amministrazione, sosteneva la realizzazione di progetti per il controllo idrico. In alcuni casi i pubblici funzionari si adoperavano per diffondere in aree più vaste l’adozione di tecniche di coltivazione già sperimentate in altre zone. Allo stesso tempo, lo Stato tentava di limitare l’economia urbana, originariamente forte, dando così all’industria artigianale rurale l’opportunità di entrare in una rete di scambi commerciali che integrasse le entrate degli agricoltori. Lo sviluppo dell’agricoltura Han, nella sua complessità, fu dovuto al verificarsi di numerosi fattori, quali la pressione demografica, la potenzialità del mercato, gli interventi governativi, le differenze di produzione a livello regionale, e così via. L’agricoltura non fu affatto il frutto dello sforzo consapevole di un indirizzo politico atto a crearne un progresso lineare; tuttavia, possiamo affermare che dopo uno sviluppo durato quattro secoli, prese forma in Cina un’economia rurale di mercato.
Così come nella scienza moderna agricola vengono applicate le conoscenze biologiche, pedologiche ed ecologiche ai processi agricoli e usati in via sperimentale per migliorare la produttività delle colture, allo stesso modo, nel contesto cinese esisteva una scienza dell’agricoltura che applicava la conoscenza cosmologica delle forze e dei processi naturali alla coltivazione; i suoi seguaci, gentiluomini di campagna o contadini analfabeti che fossero, si sforzavano di armonizzare i principî astratti della cosmologia con la loro sottile conoscenza empirica dell’ambiente e delle tecniche di cui si servivano per aumentare la fertilità del suolo. I trattati di agraria, come le Tecniche essenziali per il popolo (Qimin yaoshu), composte da un uomo di cultura che era anche proprietario di un’azienda agricola, riflettono il complesso intreccio tra teorie naturali ed esperienza empirica, tra conoscenze libresche e saperi pratici che caratterizzava la scienza agricola cinese.

Guido Bissanti

Segue V parte




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