Un Mondo Ecosostenibile
Guide PraticheSchede

Ruolo del sodio nelle piante

Ruolo del sodio nelle piante

Il sodio (simbolo Na, dal latino Natrium) è un elemento chimico della tavola periodica degli elementi che ha numero atomico 11. Allo stato puro è un metallo soffice, ceroso, argenteo e reattivo.
Nel terreno, questo elemento, è presente solo in composti, prevalentemente come Sali (e quindi nella forma ionica Na+).
Viene adsorbito sui minerali argillosi, con legami più deboli rispetto al potassio e presenta un’elevata propensione ad essere dilavato.
La dinamica di questo elemento nel terreno è legata quindi, non solo alla matrice pedologica del suolo ma anche alla caratteristica pluviometrica e alla presenza di falde nel sottosuolo.
In zone caratterizzate da intense precipitazioni, il sodio viene allontanato (dilavato) verso gli strati più profondi, mentre in aree aride o semi aride si assiste ad un accumulo di sodio negli strati più superficiali, perché il tasso di evaporazione supera quello di precipitazione. Anche in presenza di falde idriche salmastre si può avere un accumulo nel suolo che, come nei climi aridi o semi aridi, può contribuire al deterioramento della struttura del suolo che influisce negativamente sul il bilancio acqua-aria. Infine, al crescere del contenuto di Na, il pH tende all’alcalinità.
Anche l’uso di fertilizzanti e pesticidi che contengono nei loro formulati questo elemento può essere causa di accumulo nel suolo con le suddette conseguenze.
Al livello del metabolismo della pianta il sodio svolge delle funzioni importanti ma può essere, in molti casi, sostituito nella sua funzione dal potassio (K).
Le piante sono in grado di completare il proprio ciclo vitale anche senza questo elemento (ad eccezione delle Chenopodiacee che ne traggono beneficio in termini di migliori performance qualitative e quantitative). Tuttavia, resta un prezioso componente delle piante, destinate all’alimentazione animale. Il sodio, infatti, accresce l’appetibilità dell’erba (pascolo, fieno, insilati). Gli animali tendono ad introdurre più sostanza secca (anche fino al 10% in più), innalzando la produttività.
Nelle chenopodiacee, come la barbabietola da zucchero, il sodio sopraintende alla sintesi di glucosio e la conversione a fruttosio, poi immagazzinato nella radice.
Inoltre nelle pianta il sodio controlla la pressione osmotica cellulare, consentendo un più efficiente uso dell’acqua anche se, come detto, in alcuni processi metabolici e osmoregolatori, gi ioni Na possono sostituire quelli K e viceversa.
Il ruolo del sodio, le sue funzioni e la resistenza delle piante a questo elemento cambiano, inoltre, anche in funzione delle specie e delle cultivar.
Così in funzione del grado di tolleranza al sale (soprattutto con catione Na+), le piante possono essere suddivise in due grandi gruppi: Alofite e Glicofite. Le Alofite sono molto resistenti al sale e sono tipicamente presenti in ambienti salmastri, mentre le Glicofite non sono molto resistenti al sale e vivono solo in ambienti con concentrazioni saline poco elevate.
Inoltre mentre le Glicofite limitano il flusso ionico verso il germoglio attraverso un controllo a livello dello xilema radicale (tessuto vascolare che trasporta acqua e ioni dalla radice al resto della pianta), le Alofite tendono ad assorbire e trasportare più rapidamente lo ione Na+ alla parte aerea della pianta, tanto che le radici, di solito, hanno concentrazioni di cloruro sodico più basse del resto della pianta.
La sopravvivenza delle alofite negli ambienti salmastri è legata ad un bilancio osmotico che si realizza attraverso la compartimentazione intracellulare degli ioni tossici nel vacuolo, attraverso un processo di trasporto attivo. Questo processo, in estrema sintesi, influisce sul bilancio energetico della pianta che può manifestare diminuita crescita degli organi fogliari e degli internodi fino alla presenza di necrosi soprattutto nella parte distale delle lamine fogliari e dei giovani germogli.
Il rapporto poi tra assorbimento di K+ rispetto a quello di Na+ varia in funzione delle specie, della presenza dei due elementi nel suolo e nelle acque di irrigazione.
Così in substrati salini la crescita del germoglio è ridotta rispetto alla crescita della radice.
Alcune delle più importanti risposte dell’allungamento fogliare in seguito a stress salino sono attribuibili al cambiamento dello stato idrico della foglia stessa. Rimuovendo, infatti, il sale dalle zone circostanti la radice, la crescita fogliare riprende, suggerendo che la sola ragione per cui la crescita era ridotta era da attribuire allo stress idrico e non alla tossicità del sale.
La variabilità però degli effetti della presenza del sodio nelle piante è tanto elevata che in molte specie erbacee e alberi da frutta, invece, concentrazioni troppo alte di questi ioni sono tossiche. L’inibizione della crescita e problemi inerenti le foglie come clorosi e necrosi su foglie mature si hanno già a bassi livelli di NaCl. In questo caso lo stress idrico non è il problema di maggior interesse.

Ad alte concentrazioni di sali alcuni enzimi possono essere attivati e disattivati a seconda dell’effetto indotto dal sale nell’intera pianta.
Tra le cause di accumulo del sodio nelle piante, la salinità del terreno, come detto, è il principale fattore che rende il suolo inadatto all’agricoltura e limita, quindi, la produttività delle piante coltivate, in particolare negli areali a clima mediterraneo che, anche in funzione dei cambiamenti climatici e dell’uso scriteriato di fertilizzanti e pesticidi tendono a desertificare.
In dettaglio gli effetti dell’eccesso di sodio nelle piante sono i seguenti:
1. la inibizione della crescita e problemi inerenti le foglie come clorosi: presenza di macchie sulle foglie, e necrosi: presenza di zone morte, che su foglie mature si hanno già a bassi livelli di NaCl. L’inibizione della crescita è l’effetto primario che conduce ad altri sintomi, anche se è stato osservato che la morte cellulare programmata (PCD), può verificarsi anche in casi di grave shock da salinità;
2. una accelerazione dello sviluppo e la prematura senescenza con conseguente morte durante l’esposizione prolungata alla salinità;
3. induce la sintesi di acido abscissico (ABA, un ormone vegetale) che giunto agli stomi ne comanda la chiusura, con conseguente diminuzione della fotosintesi per ridotta assunzione di CO2, fattore che determina un decremento nelle foglie dei prodotti della fotosintesi, che limita la crescita dei germogli a causa del diminuito apporto dei carboidrati richiesti. In tal modo avviene una riduzione dell’assorbimento dei nutrienti e del sale con relativo minore dispendio energetico per la compartimentazione dei sali.
Inoltre un eccesso di ioni sodio a livello della superficie radicale interferisce soprattutto nell’assorbimento della pianta nei riguardi del K+ ma anche di altri macroelementi e microelementi.
Un ruolo importante nell’assorbimento tra sodio e potassio lo ricopre il calcio (Ca2+); infatti l’aumento della presenza di calcio nel terreno, ha un effetto protettivo sulle piante in genere, e molto più marcato per le piante sotto stress da sodio, favorendo il trasporto di potassio e la selettività potassio / sodio.
Le piante riescono a tollerare i danni primari della salinità, attuando delle strategie di difesa:
a) per escrezione dei sali nel vacuolo, analogo a quello della tolleranza allo stress osmotico;
b) tolleranza dell’alterazione del bilancio ionico: richiede che composti e organelli siano capaci di mantenere le normali proprietà anche nella situazione alterata; tolleranza indiretta: si verifica per mezzo di un rapido cambiamento nel metabolismo della pianta, tolleranza diretta: coinvolge le proprietà delle membrane, in particolare dei lipidi e proteine. La proprietà più caratteristica è la permeabilità cellulare.
Analogamente le piante possono intervenire nei confronti dei danni secondari, attuando ad esempio l’osmoregolazione.
La parziale disidratazione è considerata il primo meccanismo messo in atto dalla pianta in risposta a un improvviso aumento della salinità nel mezzo. Tuttavia affinché le piante possano considerarsi tolleranti, è richiesto un aumento netto nella quantità dei soluti cellulari per la crescita in ambiente salino. Tale aumento deve essere sufficiente a ridurre il potenziale osmotico del tessuto sotto il valore del mezzo di crescita, così si verifica una riduzione di potenziale idrico nella cellula favorendo l’assorbimento idrico . Questo processo è chiamato “osmoregolazione” o “aggiustamento osmotico”, dovuto ad un assorbimento attivo di sali o ioni inorganici con un accumulo preferenziale nei vacuoli per preservare il citoplasma e gli enzimi, per sintetizzare soluti organici (“soluti compatibili”) o entrambe le possibilità.
Inoltre molte piante superiori in grado di sopportare lo stress salino con la capacità di accumulare vari composti azotati solubili. L’azoto, infatti, ha un ruolo importante nel limitare gli effetti dello stress salino sulla crescita delle piante.
Il meccanismo di azione ovviamente è differente tra alofite e glicofite.
Generalmente le alofite presentano concentrazioni di prolina crescenti con l’aumentare della salinità nel fusto, in radici, rizomi ed infiorescenze.
Le glicofite hanno una differente capacità di accumulare questi composti.
Nelle piante sottoposte a stress salino, generalmente, diminuisce la biosintesi delle proteine, ma in molte specie vegetali sono state identificate proteine indotte dallo stesso stress.




Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *