Agroforestazione
Agroforestazione
L’agroforestazione o agroselvicoltura è la tecnica tramite la quale si crea un sistema di produzione agricola e/o zootecnica promiscui a sistemi forestali o alberi per produzione legnosa. Una definizione largamente accettata è: “L’agroselvicoltura prevede la deliberata combinazione di colture agrarie e/o attività zootecniche con piante legnose perenni (alberi arbusti ed affini) nell’unità di gestione.“
Come si può immaginare esistono però molteplici definizioni di sistema agroforestale. L’elemento centrale è senz’altro la unità di gestione della vegetazione arborea e arbustiva, mentre solo alcune definizioni sottolineano aspetti quali quello sociale e ambientale.
In questo senso si prevedono ed organizzano apprestamenti produttivi che prevedono la combinazione di alberi e/o arbusti ed affini, gestiti razionalmente con la coltura agraria o con l’attività zootecnica di riferimento nell’appezzamento aziendale.
L’agroforestazione non è, ovviamente, una tecnica nuova tant’è che anche in Italia, sparsi nelle campagne di molte regioni, sono ancora visibili i “relitti” di sistemazioni agroforestali antiche, che precedentemente caratterizzavano fortemente il territorio.
Tipici esempi di apprestamenti agroforestali sono le “piantate” dove le piante di vite venivano fatte “maritare” ad alberi come l’Acer campestre e l’Ulmus minor.
Questo modello semplice di consociazione aveva un duplice scopo, sia come supporto vivo per la crescita della vite e sia come integrazione alimentare del bestiame durante il periodo invernale.
L’obiettivo della agro forestazione è quello di una gestione integrata dei sistemi ecologici e sull’uso sostenibile di risorse naturali che attraverso l’integrazione di alberi nel sistema agricolo diversifica e sostiene la produzione per aumentare i benefici sociali, economici ed ambientali dell’uso della terra a tutti i livelli.
Il concetto di sistema agroforestale (SAF) e lo studio delle sue possibili applicazioni nasce a metà degli anni ’70.
Nel 1975 l’International Development Research Centre, IDRC, affida a John Bene uno studio che sarà pubblicato due anni dopo con l’eloquente titolo di “Trees Food and People”.
L’obiettivo dello studio era quello di analizzare l’interdipendenza tra agricoltura e selvicoltura nei paesi tropicali economicamente meno sviluppati e all’individuazione di programmi di ricerca in campo forestale, che potessero produrre risultati concreti sul piano economico e sociale nei Paesi in via di sviluppo.
Tale studio sottolinea chiaramente come i SAF siano una pratica millenaria, l’importanza strategica della quale viene messa in evidenza dalle attuali conoscenze scientifiche. Si può dire quindi che nel 1977, in particolare con la creazione dell’International Council for Research in Agroforestry (ICRAF), quale diretto effetto dello studio condotto da Bene e dal suo team, per la prima volta, l’antica pratica dell’Agroselvicoltura viene istituzionalizzata e riconosciuta a livello internazionale.
Pur se lo studio si soffermava sulle potenzialità delle condizioni di vita degli abitanti delle foreste tropicali, la sua attuazione e modellazione concreta, può avere benefici di interessante risvolto ecologico ed economico soprattutto nel contesto dei principi dell’Economia Circolare.
Bisogna inoltre chiarire come lo stesso Bene sottolinei che, non è tanto la conoscenza delle potenzialità dei sistemi agroforestali a dovere essere accresciuta, essendo già piuttosto accettata dalla comunità scientifica, quanto piuttosto gli sforzi affinché tale pratica contribuisca effettivamente a migliorare le condizioni di vita degli abitanti delle foreste tropicali. (Bene et al.,1977). Questa considerazione ci introduce alla complessità di tale disciplina che non può e non deve limitarsi allo studio prettamente agroforestale ed economico, ma deve necessariamente interfacciarsi con le implicazioni socioambientali, in quanto determinante della qualità della vita delle popolazioni e in particolare della loro sovranità alimentare e territoriale.
Il rovescio della medaglia è costituito dal fatto che non era concepibile al tempo e, in buona parte ancora oggi, la messa in dubbio dell’agricoltura industriale specializzata quantomeno nei paesi Occidentali. Molta strada però è stata da allora percorsa per la conoscenza e la promozione dei SAF anche in ambito temperato. Se tale disciplina trova sempre maggiore spazio, è soprattutto grazie alla dimostrazione della sua maggiore efficienza in termini di produttività ad ettaro, in alcuni casi superiore di 1,4 volte se confrontata alla monocoltura (Dupraz C, Talbot G INRA 2012); quella stessa produttività ad ettaro che l’agricoltura industriale ci ha abituato a considerare quasi come unico e inconfutabile parametro per giudicare la validità di una coltura o di una tecnica colturale.
Per tale motivo l’obiettivo di implementare sistemi agroforestali è quello di creare un modello di benessere che annulli il conflitto esistente tra Sviluppo Sociale, Economico e salvaguardia dell’Ambiente.
Per ovviare a questa lacuna concettuale e storica bisogna cambiare sostanzialmente le regole di base dell’Economia che, negli ultimi decenni si sono basate su due aspetti principali:
– Il reperimento di fonti energetiche e materie prime non rinnovabili e spesso concentrate nelle mani di pochi;
– Il concetto del liberismo senza regole con conseguente predominanza e tendenza colonizzatrice sui sistemi e tipicità locali.
Lo scenario, di fatto, viene già tracciato dal modello di sviluppo di Agenda 2030 che pretende un modello di crescita che si basa su tre fondamenti:
– La creazione di fonti energetiche diffuse e rinnovabili;
– La creazione di modelli economici basati sull’Economia Circolare e, quindi sulla prossimità tra chi crea il servizio e chi lo utilizza.
– La compatibilità dei sistemi produttivi con i sistemi ecologici ed umani.
Consideriamo adesso che il 21 % del territorio nazionale italiano viene ritenuto a rischio desertificazione, del quale almeno il 41 % si trova nelle regioni dell’Italia meridionale. La Sicilia è la regione più colpita. Il 61,1 % presenta un’alta sensibilità alla desertificazione, il 16,6 % mediamente sensibile, il 3,5 % potenziale e il 12,7 % non sensibile.
Andiamo a vedere i dati relativi al disagio sociale. Tralasciando, preliminarmente, valori di natura diversa, come aspettative di vita, cultura, disorientamento sociale, ecc., gli ultimi dati (2017) dicono che sempre più italiani, per scelta o necessità, decidono di vivere all’estero. In prima fila sempre i giovani, ma crescono molto gli over 50. In particolare dai dati delle partenze nel 2017, con 243 mila italiani, con una crescita del 3%, che ha lasciato l’Italia, dei quali 52,8% per espatrio pari a 128.193 italiani.
Esiste, in pratica, una connessione diretta tra emigrazione e desertificazione ambientale.
Uno dei settori da sempre trascurato e devastato da secoli di incuria, emarginazione e mancanza di pianificazione è quello forestale che non va più visto nella statica e deforme concezione di semplice gestione ma nella più ampia visione di strumento per il benessere sociale, ecologico e spirituale.
Ricordiamo che le foreste italiane sono la più importante infrastruttura verde del Paese: interessano circa 11,8 milioni di ettari, pari al 39% del territorio nazionale, con una crescita costante (in media 800 metri quadrati di nuove foreste al minuto). La sola filiera legno genera l’1,6% del prodotto interno lordo e offre 300 mila posti di lavoro.
Un PIL che potrebbe essere notevolmente incrementato se si ipotizza una transizione ecologica verso l’uso del “legno”, come materia prima rinnovabile, e come azione per l’inversione dei fenomeni di desertificazione e degli effetti negativi dell’Effetto Serra.
Evidentemente non è un procedimento né rapido né semplice. Rientra in dinamiche sociali e storiche che hanno bisogno di tempi di sedimentazione e di assimilazione.
Guido Bissanti