Come si coltiva il cece
Come si coltiva il cece
Il Cece oramai non esiste allo stato selvatico ma solo coltivato; era conosciuto e coltivato dagli antichi Egizi.
Il cece è la terza leguminose da granella per importanza mondiale, dopo il fagiolo e il pisello. La superficie coltivata nel mondo è di circa 11 milioni di ettari. La maggior parte del prodotto è consumata localmente anche se negli ultimi anni i quantitativi esportati sono aumentati soprattutto dalle Americhe.
I semi, consumati allo stato secco, sono un ottimo alimento per l’uomo, ricco di proteine (15-25%) di qualità alimentare tra le migliori entro le leguminose da granella.
In Italia la superficie a cece era scesa fino agli inizi del 2000 per poi riprendere leggermente quota per la necessità di alternare ai cereali delle leguminose (sia per motivi agronomici che alimentari). Oggi si attesta sopra i 4.000 ettari, quasi tutti localizzati nelle regioni meridionali e insulari.
A livello mondiale il cece è la terza leguminosa per produzione, dopo la soia e il fagiolo; la coltivazione avviene principalmente in India e Pakistan. In Italia la coltivazione non è molto diffusa a causa delle basse rese e della scarsa richiesta (ma con un aumento graduale negli ultimi anni); Viene consumato principalmente in Liguria, dove piatti tipici a base di ceci sono la farinata e la panissa, nelle regioni centrali come minestra e nelle regioni meridionali come minestre o insieme con la pasta.
Le condizioni ottimali di coltivazione si hanno in ambienti semiaridi; nei climi temperati viene seminato a fine inverno (data la sua scarsa resistenza al freddo) e raccolta durante l’estate (normalmente fine luglio-agosto). La semina avviene tipicamente con seminatrici di precisione o seminatrici da frumento opportunamente regolate in modo da non spezzare il seme. Questo viene disposto ad una distanza tra le file di 35–40 cm ad una profondità di semina di 5–7 cm e con una densità di 20-30 piante al metro quadro. Per prevenire attacchi crittogamici alla pianta i semi dovrebbero essere prima conciati. Raggiunta la maturazione il cece può essere raccolto sia con il metodo tradizionale (ormai quasi scomparso) estirpando la pianta, lasciandola essiccare in campo e sgranata a mano o con mietitrebbiatrice con pick-up al posto dell’organo falciante, sia con metodi meccanici con l’intervento di mietitrebbiatrici possibili solo in terreni livellati e su varietà a portamento eretto. Anche la mietitrebbiatura diretta può essere fatta con un certo successo, specialmente se il terreno è perfettamente livellato e se le piante hanno portamento eretto.
Dopo la raccolta i ceci riposti in magazzino vanno sottoposti a trattamenti per evitare i danni dal tonchio.
Le rese di produzione sono piuttosto variabili; si va dalle 4 tonnellate ad ettaro fino a rese più basse 1-1,5 tonnellate man mano che si passa in zone più aride e con carenza di precipitazioni primaverili. La produzione di paglia è di scarsa qualità nutrizionali per l’utilizzo zootecnico.
Durante il suo ciclo si usa la concimazione di 40–60 kg/ettaro di fosforo, per quanto riguarda il fabbisogno di azoto, è fornito dai batteri del genere Rizobium i quali, attraverso la simbiosi con questa pianta si occupa della fissazione dell’azoto atmosferico nel terreno. La necessità di diminuire però gli apporti di fosforo di natura chimica e, soprattutto, la rotazione di questa pianta con graminacee va riconsiderata in aziende che abbiamo apporti di sostanza organica proveniente da propri allevamenti e quindi con un recupero interno dei fattori nutritivi.
Dal punto di vista pedologico il cece non sopporta terreni troppo fertili (i quali gli comportano una bassa allegazione), argillosi per asfissia radicale o ristagni idrici.
Tra le malattie crittogamiche più gravi che possono colpire il cece ricordiamo la rabbia o antracnosi (Ascochyta rabiei), che produce il disseccamento della parte aerea e che può provocare la distruzione della coltivazione. Le maggiori speranze risiedono nella costituzione di varietà resistenti; qualche risultato si ottiene con la lotta diretta basata sulla concia del seme e su una irrorazione all’inizio della formazione dei baccelli. Altri funghi che possono provocare danni sono la ruggine del cece (Uromyces cicer-arietini), l’avvizzimento, causato da Rhizoctonia spp., Fusarium spp. Verticillum spp.
I più seri attacchi di animali sono portati dalla Heliotis (sin. Helicoverga) armigera sui baccelli, dalle larve di Liriomyza cicerina minatrice delle foglie, dal Callosobruchus chinensis che attacca i semi in magazzino.
Il cece può essere infestato, anche se con minor gravità della fava, dall’orobanche.
A proposito delle infestanti ricordiamo che il cece è di difficile diserbo, per cui una tecnica che può abbattere la crescita delle future infestanti è quella della falsa semina. In qualche caso si ricorre, ma per alcune aree dell’azienda particolarmente infestate al diserbo manuale. Comunque sia, anche con una certa infestazione se la stagione climatica è proceduta bene la resa del cece può essere ugualmente buona.
Attenzione a non far ritornare il cece sullo stesso appezzamento prima di 4-5 anni. È una pianta che ha la proprietà, tramite il suo apparato radicale, di portare in superficie cospicue quantità di Sali dagli strati inferiori, soprattutto in terreni con elevato contenuto di salinità.