Artemisia arborescens
Artemisia arborescens
L’assenzio aromatico (Artemisia arborescens, L., 1763) è una pianta perenne della famiglia delle Asteraceae.
Si trova nelle regioni mediterranee fino ai 1000 m s.l.m., dove si sviluppa in arbusti alti anche più di un metro. Cresce su terreni aridi e incolti, prevalentemente rocciosi.
Etimologia –
Il nome del genere è dedicato ad Artemisia, dea greca della natura, protettrice delle piante medicinali. L’epiteto specifico dal lat. “arborescens” (“arbor”, albero), cioè che diviene albero, arbusto.
Distribuzione Geografica ed Habitat –
Cresce sulle rocce presso il mare, rupi calcaree, bordi stradali, tufi, garighe, da 0 a 1000 m s.l.m., Xerofita tipicamente mediterranea dei litorali rocciosi e delle pendici sassose nelle vegetazioni dell’oleo-ceratonieto e dell’oleo-lentisceto, e colonizzatrice delle lave vulcaniche.
Descrizione –
È una fanerofita arbustiva perenne, di odore aromatico, alta 50-150 (200) cm, a portamento cespuglioso, con fusti eretti, bianco-tomentosi, molto ramificati, lignificati alla base. Le foglie (3-5 cm) alterne, bianco-sericee, tripennatosette, lungamente picciolate, con segmenti lineari, ottusi all’apice, larghi 1-2 mm; foglie superiori minori e sessili, bipennatosette. I capolini globosi, emisferici (5-6 mm di Ø), peduncolati, penduli prima della fioritura, disposti in densa pannocchia fogliosa un po’ unilaterale; squame dell’involucro lineari, sericee e scariose ai margini. I fiori sono tubulosi, di 2 mm, di color giallo brillante, successivamente brunastri, i periferici femminili, quelli del disco ermafroditi; ricettacolo peloso. Il frutto è una cipsela (achenio) cuneiforme, cosparsa di ghiandole gialle.
Coltivazione –
Per la tecnica di coltivazione leggi la scheda seguente.
Usi e Tradizioni –
Come tante altre specie del genere Artemisia, ha un odore fragrante di “vermouth” e contiene principi attivi ed oli essenziali (tra cui camazulene e monoterpenoni) che hanno proprietà anti-infiammatorie, emmenagoghe, aperitive e digestive, antistaminiche, antielmintiche, antivirali e antimicrobiche. Viene utilizzata anche in profumeria e come repellente per tarme e topi.
I fiori dell’artemisia sono molto usati per produrre creme, pomate e altri prodotti cosmetici ed erboristici; le foglie, invece, sono commestibili. L’arborescens non va mai confusa con l’artemisia absinthium, varietà facente parte sempre delle asteraceae con la quale si producono, oltre a prodotti erboristici, liquori come l’assenzio o il vermut.
Le radici della pianta hanno azione sedativa, in grado di rilassare il sistema nervoso, perciò sono indicate in caso di sovraccitazione e stanchezza generale.
Le sommità fiorite dell’artemisia contengono olii essenziali (linaiolo, cineolo, beta tujone, alfa e beta pinene, borneolo, neroli, mircene), lattoni sesquiterpenici (vulgarina) e flavonoidi, che conferiscono alla pianta azione antispasmodica (attenua gli spasmi muscolari in caso di dolori mestruali e dismenorrea) e azione emmenagoga (regola il flusso mestruale in caso di amenorrea e irregolarità del ciclo mestruale).
La presenza nel fitocomplesso degli olii essenziali oltre a renderla un efficace rimedio antisettico ed espettorante in caso di tosse, viene impiegata anche contro parassitosi intestinali, mentre per l’azione eupeptica è utilizzata nella digestione difficile, soprattutto nella formulazione di liquori naturali. Pare che alcuni ramoscelli di Artemisia messi in cantina scaccino le bratte.
È una pianta apparentemente modesta, che si trova facilmente nei campi, sul ciglio della strada. Ha in realtà un notevole passato, vanta doti e capacità assolutamente eccezionali. Ce ne sono tante, di artemisie. C’è l’artemisia vulgaris, amara e vivace, color verde scuro. C’è l’Artemisia dracunculus, – il famoso Dragoncello usato nelle insalate, coadiuvante del sistema digestivo. C’è appunto l’Artemisia arborescens di Linneo, con cui i siciliani – ce lo racconta M. Pitre – usano intrecciare croci da disporre sui tetti delle case. Così Gesù, quando torna al cielo, potrà benedirle e a loro volta le artemisie, poste nelle case, potranno proteggerle nel corso dell’anno. C’è anche l’Erba bianca, “nome locale”, per un’erba abbastanza nota universalmente. Ce ne sono tante altre. E soprattutto, c’è il celebre assenzio, l’Artemisia absinthium.
L’uso dell’artemisia come pianta medicinale è molto efficace e diffuso. Le maggiori proprietà sono quelle antiepiretiche, vermifughe, toniche, stimolanti, antielmintiche, antipiretiche. Inoltre l’artemisia era adoperata già in antichità per provocare le mestruazioni o indurre il parto grazie alle sue proprietà emmenagoghe. Dell’artemisia si usano solo le estremità fiorite ricche di resine e le foglie essicate in luogo ventilato e ombroso in quanto l’azione diretta del sole potrebbe indebolirne il principio attivo. Oltre all’uso interno l’assenzio è adatto come cicratrizzante delle ferite e può essere utile sottoforma di pomata o olio essenziale per contrastare la foruncolosi e le lesioni acneiche.
Si parla di Artemisia già ai tempi di ippocrate che la consigliava per far espellere la placenta alle donne dopo il parto. Nel XVI secolo l’artemisia veniva usata per calmare i sintomi dell’epilessia mentre nel XIX secolo questa pianta diventò celebre in tutta Europa grazie al suo impiego, nella variante artemisia absintium, nella preparazione del potente liquore assenzio, chiamato “fata verde” dalla corrente dei poeti maledetti per le sue spiccate proprietà alcooliche ed allucinogene.
Madre di tutte le erbe, l’artemisia, ha speciali virtù per quanto attiene alle donne: regola quindi le mestruazioni, impedisce le false gravidanze, è d’aiuto nei parti. Ha anche ulteriori capacità: secondo Apuleio, un suo rametto fa sì che il viandante senta meno il peso della via. Scaccia i diavoli, neutralizza il malocchio e la iettatura.
Due belle leggende, a proposito di quest’erba. La prima riguarda una ragazza che andando a passeggio finisce, per incidente, in una buca piena di serpenti. Sul fondo dell’abitacolo c’è una pietra luminosa. I serpenti, affamati, sono condotti lì dalla regina dei serpenti. Leccare la pietra e saziarsi è tutt’uno. La ragazza ben presto imita i serpenti e con loro sopravvive. Ed ecco, l’inverno è passato, si fa avanti, faticosamente, la primavera. I serpenti si snodano, intrecciano le code in modo da formare una scala: la ragazza può uscire all’aperto, può rientrare nel mondo. Prima che questo avvenga la regina dei serpenti le fa un dono: le dà facoltà di comprendere il linguaggio delle erbe, di conoscere le loro proprietà medicamentose. In cambio, lei non dovrà mai nominare l’artemisia. La giovane donna ben presto si rende conto di comprendere, in effetti, tutto ciò che le erbe si dicono, quello che suggeriscono. Un brutto giorno però un uomo le domanda, senza preavviso, come si chiami la piccola pianta che nasce nei campi, ai bordi dei sentieri. E lei, senza riflettere, risponde: è l’artemisia. E di colpo, ecco che il linguaggio delle piante le diviene estraneo, ecco che non lo comprende più cosa sussurrano i fiori dei campi: ha dimenticato tutto. E’ per questo, conclude la storia, che l’artemisia – Cernobil, in russo – è detta anche “pianta dell’oblio”.
La seconda storia ricordata da A. De Gubernatis ci viene dalla Piccola Russia e riguarda il cosacco Sabba. Questi aveva legato il diavolo – col quale era per altro in generale in buoni rapporti – promettendogli di romperne i legami se fosse stato aiutato ad impadronirsi di alcuni cavalli polacchi cui ambiva. Il diavolo accetta, chiama i suoi amici che slegano i cavalli, di modo che Sabba possa impadronirsene. L’erbetta che geme, calpestata, sotto gli zoccoli dei cavalli polacchi, e fa: “bech! bech!” è per l’appunto l’artemisia. Il suo nome, da allora in poi, in Ucraina, ricorderà il gemito dell’erba, calpestata dai cavalli polacchi in fuga. Sarebbero già, da sole, storie di grande suggestione, ricche di molteplici spunti. Ma la storia dell’artemisia è ben più ricca, è molto antica. È nota nel mondo greco-romano per la sua efficacia in caso di convulsioni, può essere usata con buone speranze contro le crisi di epilessia. Quindi, contro il noto “male di luna”. Pierre Lieutaghi, nel suo Dizionario delle erbe ricorda che l’artemisia è la “erba santa” degli antichi, oltre che un ottimo tonico amaro. Ha effetti diuretici, febbrifughi, vermifughi e qualità antisettiche: pianta che è bene tenere in casa o in giardino.
Nell’Artemisia sembra che l’architettura gotica ne abbia immortalato le foglie. Fiori e foglie dell’Artemisia – che vanno raccolti insieme – hanno avuto, nella storia della medicina, un posto di tutto rispetto. L’assenzio contiene infatti un olio essenziale detto absintolo, particolarmente ricercato e utile. Contiene anche acido tannico e resine. Ha proprietà toniche, stimolanti, febbrifughe. Interviene efficacemente contro gli avvelenamenti da piombo. In passato gli si riconoscevano capacità di tipo reattivo rispetto all’impoverimento del sangue, dalle anemie a varie forme di leucemie.
L’Artemisia era conosciuta sembra, dal centauro Chirone: maestro di saggezza, medico illustre, pedagogo di Achille. L’erba ha un ampio spazio nella mitologia latina. Forse, il suo nome deriva da Artemide, la casta dea delle foreste e delle selve, che ama la vita solitaria, le notti. Che è anche Selene o Diana, la luna. Oppure, l’erba deriva il nome da Artemide regina della Amazzoni: le figlie della Grande Madre, dispensatrici di morte funesta per l’uomo. Entriamo comunque, con l’artemisia, in un mondo di femminilità, di istintività. È fondamentale il richiamo alla luna, ai suoi ritmi. La luna induce abbassamento della coscienza di veglia – ci dice la tradizione popolare che non bisogna dormire alla luce della luna. E i fiori di artemisia sprigionano absintina: un principio amaro che ha giocato in passato il ruolo di una moderna, contemporanea droga, che provoca “allucinazioni, delirio e morte. Di questa morte furono vittime alcuni poeti ed artisti dell’ottocento”. L’assenzio è amaro. È temibile. Lo sa bene Giovanni l’Evangelista. Suona infatti la tromba il terzo angelo, ed ecco “precipitò dal cielo una stella grande accesa come una fiaccola, e cadde nella terza parte dei fiumi e alle sorgenti delle acque. Il nome di quella stella è Assenzio. E una terza parte delle acque si mutò in assenzio e molti degli uomini morirono di quelle acque perché s’erano fatte amare”. L’Artemisia ha virtù mediche e capacità venefiche.
L’Assenzio è anche la più celebre, forse, delle note “erbe di S. Giovanni”, di Giovanni il Precursore. È l’erba di cui ci parla Manlio Barberito, quella che si è posta sulla strada del serpente, che ha cercato di intralciarne il viaggio. Nei roghi che per secoli hanno rischiarato le notti di mezza estate, hanno consumato le loro brevi stagioni rovi e cardi, allori e ulivi, eucaliptus e ruta, rosmarino e incenso. Agli e cipolle, spighette e iperico, mentuccia e scilla, per anni, hanno protetto il cammino dei viandanti, in notti magiche quali sono quelle del solstizio estivo: e con loro, l’artemisia.
La si è portata addosso, per la sua virtù di scacciare demoni e spiriti malvagi, influssi negativi. La si è portata in tasca, perché ha sempre favorito i viaggi. Si ricorda l’uso, in varie zone d’Europa, “di dipingere una artemisia sulle portiere delle carrozze, specie quelle di servizio pubblico, come apotropaico contro gli incidenti e per garantire un felice viaggio”: uso passato poi alle macchine e protrattosi almeno fino al 1920. Erba del paradiso terrestre, erba di S. Giovanni, l’artemisia non protegge solo i viaggi fisici, ma anche, evidentemente, quelli spirituali, quelli che volgono verso mete celesti. Ci rassicura anche, quest’erbetta, sul cammino del sole, “sul felice viaggio e il ritorno certo dell’astro”. E’ pianta connessa alla luna, certo. Ma è un’erba di S. Giovanni, erba del sole: ci protegge quindi contro i fuochi negativi, i fuochi nemici: basterà un mazzetto di artemisia dietro l’uscio per proteggere la casa dalla folgore. Non per nulla, secondo alcune versioni, la notte di S. Giovanni è in grado di secernere un carbone che è efficace contro i fulmini, particolarmente protettivo se preso quella notte. Ancora una virtù ha l’artemisia: ed è quella di “donare l’incorruttibilità e di vincere la caducità delle cose”.
Un tempo si temperava l’inchiostro col succo di artemisia, per rendere la carta inattaccabile dalle tarme.
L’uso popolare le ha sempre riconosciuto capacità diverse, legate alle sommità fiorite. L’artemisia ha sempre avuto spazio nell’immaginario magico, sin da quando ingentiliva le processioni per Iside, in mano ad antichi sacerdoti. Ha protetto, in passato, i parti. Era nota per le capacità ipnotiche e abortive: le capacità sono di segno inverso e contrario. Se usciamo dalla visione dell’artemisia come erba giovannea, e teniamo presenti le sue radici greco-romane, la derivazione dalla dea delle belve – o dalle Amazzoni – ecco che è chiaro che l’artemisia è un’erba che presenta rischi, che può avere lati oscuri: molto dipendente dalle intenzioni, dall’uso che se ne fa.
L’artemisia come pianta temibile è connessa alla luna, alle Menadi selvagge di Dioniso, affini per più versi alle Amazzoni: sono immagini inquietanti che rispecchiano il timore della donna dotata di autonomia, della donna come essere istintuale. Pianta quindi, l’artemisia, di santi e di angeli, pianta del paradiso terrestre, aiuto per Eva, avversaria di Satana.
Guido Bissanti
Fonti
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.
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