Vi siete mai chiesti perché gran parte delle politiche dei paesi occidentali, di qualunque colore e lingua, non riescono oggi a risolvere i grandi problemi legati allo sviluppo sociale (che non va confuso unilateralmente con quello economico) e all’equilibrio ambientale?
Vi siete mai chiesti perché il divario tra paesi ricchi e poveri va sempre (e pericolosamente) allargandosi.
Il fatto concreto è che un vecchio modello di fare politica e gestione delle risorse sta oramai volgendo al tramonto (come tutte le cose della vita che nascono, crescono e muoiono).
A questo modello è legato il principio ideologico del capitalismo occidentale che basava tutto il suo credo sul binomio lavoro e capitale, dove il capitale era solo quello capace di essere prodotto (in tutte le sue forme) dall’ingegno e dall’imprenditoria umana.
Oggi però le nuove teorie dello sviluppo sostenibile e dell’ecological economics* ci pongono davanti all’idea di un’economia non più basata su due parametri, il lavoro e il capitale, ma su un’economia ecologica che riconosce l’esistenza di tre parametri, il lavoro, il “capitale naturale” e il “capitale prodotto dall’uomo”. Intendendo per “capitale naturale” l’insieme dei sistemi naturali (mari, fiumi, laghi, monti, foreste, flora, fauna, territorio), ma anche i prodotti agricoli, i prodotti della pesca, della caccia e della raccolta e il patrimonio artistico-culturale presenti nel territorio, si vede come sia fondamentale oggi investire in questa direzione.
Investire in questa direzione equivale a rimodulare gli aspetti ideologici e speculativi che stanno alla base delle nostre politiche, da quelle di quartiere a quelle internazionali; nulla cambia, perché proprio dalla capacità di comprendere nel piccolo, ogni dettaglio di questa nuova concezione della vita, si creeranno i presupposti per costruire le basi della politica internazionale degli anni futuri.
Herman Daly scrive: “Per la gestione delle risorse ci sono due ovvi principi di sviluppo sostenibile. Il primo è che la velocità del prelievo dovrebbe essere pari alla velocità di rigenerazione (rendimento sostenibile). Il secondo, che la velocità di produzione dei rifiuti dovrebbe essere uguale alle capacità naturali di assorbimento da parte degli ecosistemi in cui i rifiuti vengono emessi. Le capacità di rigenerazione e di assorbimento debbono essere trattate come capitale naturale, e il fallimento nel mantenere queste capacità deve essere considerato come consumo del capitale e perciò non sostenibile”. Il tema della complessità ecologica si può così leggere attraverso le seguenti parole di Herman Daly: “Ci sono due modi di mantenere il capitale intatto. La somma del capitale naturale e di quello prodotto dall’uomo può essere tenuta ad un valore costante; oppure ciascuna componenente può essere tenuta singolarmente costante. La prima strada è ragionevole qualora si pensi che i due tipi di capitale siano sostituibili l’uno all’altro. In questa ottica è completamente accettabile il saccheggio del capitale naturale fintantoché viene prodotto dall’uomo un capitale di valore equivalente. Il secondo punto di vista è ragionevole qualora si pensi che il capitale naturale e quello prodotto dall’uomo siano complementari. Ambedue le parti devono quindi essere mantenute intatte (separatamente o congiuntamente ma con proporzioni fissate) perché la produzione dell’una dipende dalla disponibilità dell’altra. La prima strada è detta della “sostenibiltà debole” la seconda è quella della “sostenibilità forte”. (…) Oggi stiamo vivendo la transizione da un’economia da ‘mondo vuoto’ ad un’economia da ‘mondo pieno’: in questa seconda fase l’unica strada possibile per la sostenibilità passa attraverso l’investimento nella risorsa più scarsa, nel fattore limitante. Sviluppo sostenibile significa quindi investire nel capitale naturale e nella ricerca scientifica sui cicli biogeochimici globali che sono la base della sostenibilità della biosfera”.
*Definizione del Prof. Rober Costanza, presidente dell’International Society for Ecological Economics (I.S.E.E): “l’economia ecologica è un tentativo di superare le frontiere tradizionali per sviluppare una conoscenza integrata dei legami tra sistemi ecologici ed economici. Un obiettivo chiave in questa ricerca è quello di sviluppare modelli sostenibili di sviluppo economico, distinti dalla crescita economica che non è sostenibile in un pianeta finito. Un aspetto chiave nello sviluppare modelli sostenibili di sviluppo è il ruolo dei vincoli: vincoli termodinamici, limiti biofisici, limiti di risorse naturali, limiti all’assorbimento dell’inquinamento, limiti demografici, vincoli imposti dalla ‘carryng capacity’** del pianeta e, soprattutto, limiti della nostra conoscenza rispetto a ciò che questi limiti sono e come influenzano il sistema”.
Guido Bissanti
**Per ‘Carryng Capacity’, definita dai vincoli biofisici del pianeta, s’intende la capacità di portare, di sostenere la popolazione e tutte le altre forme viventi di cui l’uomo e la natura hanno bisogno di sopravvivere: questa è la base della sostenibilità.