Scienza
Scienza e Sviluppo Sostenibile
“Ma la scienza può essere creata soltanto da chi sia totalmente vocato alla verità e alla comprensione. Questa fonte emotiva, tuttavia, scaturisce dalla sfera della religione. ….. Possiamo esprimere la situazione con un’immagine: la scienza senza la religione è zoppa, la religione senza la scienza è cieca. …..
e così ho l’impressione che la scienza non solo purifichi l’impulso religioso dalle scorie del suo antropomorfismo, ma contribuisca altresì a una spiritualizzazione religiosa della nostra comprensione della vita.” (Einstein A.).
Così il grande Einstein, nel secolo scorso, si pronunciava a proposito di razionalità scientifica.
Ma per entrare in un contesto di critica costruttiva sulla scienza mi sembra opportuno capire come, da dove e perchè nasce.
Con Galilei e con la metodicità delle osservazioni della materia, della natura, si apre una nuova era della comprensione umana nei confronti del mondo tangibile.
La storia odierna, le nostre abitudini, i nostri costumi provengono dai grandi risultati della innovazione tecnologica degli ultimi tempi, e non sono altro che la sommatoria dei mattoni della conoscenza che l’uomo ha compiuto fin qui, nel suo viaggio all’interno della materia.
L’uomo, per la prima volta nella sua storia, inizia a comprendere e a non subire gli eventi; l’uomo intuisce di poter passare dal ruolo di creatura disorientata, rispetto alle manifestazioni dell’Universo, a quello di navigatore nell’intimità della materia.
Una cultura, una visione delle cose viene ribaltata, l’uomo sente di aver invertito la sua posizione nel Mondo. Tutta la cultura occidentale è figlia di una visione delle cose, del mondo tangibile, spiegabile, “visibile”, col metodo scientifico.
Ma analizziamo un po’ più da vicino questo aspetto, a cui spesso non diamo particolare rilevanza.
Prima del 1600 le “scienze” erano un misto di aspetti derivanti dall’esperienza umana e di altri frutto dell’intuito, della percettibilità umana; non si poteva in pratica misurare il mondo; esso non era, leggibile, “visibile”; non esisteva l’approccio scientifico della realtà.
È facile rendersi conto che i confini tra il vero e l’immaginario erano poco netti e che giusto e non giusto, verificabile e non, si muovevano su piani difficilmente dimostrabili, proprio perché il metodo indagativo non si basava sul concetto della ripetibilità dei fenomeni, a condizioni omogenee.
Sarebbe ingiusto e miope non riconoscere a questa evoluzione metodologica, ed alle sue ripercussioni filosofiche, etiche e culturali, la grande opportunità ed i grandi vantaggi e servizi che ha messo a disposizione dell’umanità; una umanità che, ricordiamolo, anche dalla conoscenza tecnica trae opportunità e sostegno per una migliore crescita e per una migliore realizzazione di se stessa. Da questo momento in poi, l’uomo consapevolmente sente di poter visitare le distese della materia e di dominarla; sente di poter togliere i sigilli del termine “incomprensibile”, buio, di quanto trascende la sua vista.
È così che il metodo scientifico tende a produrre quella corrente di pensiero, quella filosofia che, culminata nell’illuminismo, fa oscillare il pendolo della storia verso la comprensione della materia, verso l’amore per la materia, verso il materialismo.
L’uomo tralascia, in questa frazione della storia, il mondo trascendente, quale realtà indimostrabile (col metodo scientifico ma non con metodi razionali), convinto com’è di poter spiegare tutto, esplorando il cosmo tangibile.
La creatura che ha percorso il castello del creato si chiude nella stanza del materialismo, tralascia l’infinità dell’universo per capire il tangibile di cui è fatto. Dalla Fisica alla Biologia, dalla Matematica all’Astronomia; sembra che ogni meta non gli sia più preclusa.
Attirato dalla comprensione di questo meraviglioso giocattolo, che è il cosmo, dimentica, come un bambino, tutti gli altri bisogni, dimentica di cibarsi; si “chiude” in un piccolo vano di quel castello.
Sarebbe miope considerarlo come un errore dell’umanità, come sarebbe miope proibire ad un bimbo di fare esperienza giocando.
Nel tempo però, ne deriva una cultura che tende a dare a questo “giuoco” un valore assoluto.
Chiuso nella sua stanza, nei suoi sensi, si concentra sul giocattolo, considerandolo l’unica realtà; non si accorge per un attimo (della storia) che c’è un mondo la fuori, un mondo “oltre”. Ritiene se stesso e la natura che lo circonda entità esclusivamente e semplicemente misurabili, tangibili, attraverso la sensibilità materiale.
Nella mente umana si afferma la convinzione che se la “visione” è subordinata sempre e comunque alla percettibilità umana, l’universo delle cose sia sempre riconducibile ai sensi dell’uomo.
In questo tempo l’uomo non riesce ad intravedere, chiuso com’è, il limite filosofico del metodo scientifico applicato alla spiegazione integrale del Cosmo. Non si accorge che i suoi cinque sensi, sono solo interfacce utili per poter scambiare e dialogare col mondo esterno, tangibile, ed hanno, per loro caratteristica, dei limiti ben definiti, ai quali nessuna scienza può sforzarsi di dare valore illimitato. Cioè capacità tali da poter percepire il Tutto.
In poche parole, affidandosi ai cinque sensi, consegna all’esperienza derivata esclusivamente da essi, il compito di definire le conoscenze e la comprensione dell’universo. Il bimbo che sta smontando il giocattolo non si avvede che li fuori ci sono i principi del suo costruttore, pronti a dargli ogni risposta. Nella sua caparbietà, vuole vedere ogni componente, ogni pezzo dimenticandosi di pensare che il giocattolo è frutto di un progetto. Non si accorge che, con i soli cinque sensi, non può oltrepassare la comprensione di ogni singolo pezzo, non è in grado di andare oltre il singolo finito. Si accanisce sull’effetto e non cerca più la causa.
In questo senso l’uomo materiale è chiuso, costretto in un universo parziale che, senza giungere alle estreme conseguenze dello scientismo, lo costringe a trovare sempre nuove, e qualche volta, illogiche soluzioni per spiegare tutti gli “effetti” del Cosmo.
Ne vien fuori una filosofia che tenderà per un certo periodo, fino ai giorni nostri, a separare il razionale (cioè misurabile con i cinque sensi) e lo spirituale (cioè non riconducibile, apparentemente a tipologie razionalizzabili). Tra Scienza e Religione sembra debba aprirsi un effetto deriva insanabile.
La grande difficoltà dell’uomo moderno occidentale si sostanzia in questa stanchezza filosofica; nella difficoltà ad uscire da questo vortice che lo costringe a vivere una vita parziale, generata dalle strutture logiche e mentali che, come codici genetici, gli ha tramandato la storia recente.
La prigionia all’interno di questa categoria di ragionamento, gli impedisce una vita piena e quindi felice, una difficoltà che è notoria non solo nell’uomo cosiddetto materialista, che fonda cioè tutto sul “ciò che vedo esiste” ma anche sull’uomo spirituale che fonda il proprio io sul “c’è qualcosa oltre”.
Tutte e due vivono in una condizione culturale emarginante, una condizione che nasce e si origina su questa matrice del pensiero occidentale. Un pensiero che contiene schemi, ragionamenti e logiche frutto di un modello parziale, i quali tendono ad esaltare la materialità dell’uomo e ad emarginarne la sua spiritualità; tutte e due vivono una condizione fuori dal vero centro.
Una delle sostanziali ed evidenti differenze tra il mondo occidentale e quello orientale sta proprio nella differente provenienza filogenetica nel valutare l’esperienza dentro le cose del mondo. Compenetrato e chiuso il primo, distaccato e, spesso, fuori il secondo. Il senso di imbarazzo che proviamo, quando dobbiamo definirci credenti, deriva dal giudizio, che opera il materialismo razionale, nei riguardi di ciò che non è razionalizzabile con visioni così parziali.
Questo limite deprime la cultura e le coscienze di un mondo che per evolversi deve abbattere questo muro.
La innegabilità, pertanto, dei limiti della filosofia generata dal razionalismo illuministico, deve farci riflettere con serena e corretta coscienza che, se tutto un mondo ci sfugge, e per definizione è nella “proporzione” infinito a finito, una nuova e più matura visione va ridata nell’approccio della conoscenza al mondo “esterno”. Visione necessaria a far progredire le conoscenze verso una comprensione più piena della realtà di cui siamo fatti e che ci ha generati. Sappiamo infatti che nel tempo e nello spazio “l’uomo è naturalmente portato a considerare reale ciò che è tangibile e visibile, per il fatto che considera vera ed unica vita quella del corpo, mentre vera realtà non è ciò che è oggetto dei sensi, ma ciò che è oggetto della ragione.” (Platone – Mondo delle idee).
Oggi purtroppo in molti casi la Scienza ha ribaltato questi principi chiudendosi in un corridoio senza sbocchi.
Non solo, basta pronunciarsi così per essere tacciati di retrogradi ed oscurantisti, ma la scienza che no nasce dal pensiero libero non è più scienza.
Andate a vedere (anche su Internet) quanti scienziati nel mondo (dissidenti) stanno iniziando a mettere in dubbio l’attuale metodo scientifico.
Non comportiamoci però come quei genitori rigorosi; non ergiamoci a giudici di quel bimbo; aiutiamolo a capire che il gioco è finito, è tempo di pensare in grande, è tempo di agire da grande.
Soprattutto non giudichiamo la storia; aiutiamola a crescere.
Guido Bissanti