L’Agricoltura nella antica Cina II
L’Agricoltura nella antica Cina – II parte
Il problema maggiore della conduzione agricola del periodo in esame era che la quota di terra arabile assegnata a ciascun coltivatore era insufficiente. Da ritrovamenti archeologici recenti si è potuto verificare che l’appezzamento medio di una tipica famiglia contadina affittuaria, con cinque persone in grado di lavorare la terra, non era più grande di 20÷30 mu (corrispondenti a 9173÷13.760 m2 ca.). Una famiglia ideale di agricoltori con cinque membri, per poter condurre una vita normale, avrebbe dovuto possedere circa 100 mu (45.865 m2), e in quel periodo neppure il più ricco dei poderi raggiungeva tale estensione.
I coltivatori dovevano così tentare di aumentare la produttività e, allo stesso tempo, procurarsi entrate esterne aggiuntive. Per accrescere la produttività era necessario aumentare la manodopera, mentre per procurarsi entrate esterne si dovevano avviare attività di altro genere. I coltivatori Han adottarono entrambe le strategie e, alla fine, riuscirono a sviluppare sofisticate tecniche di agricoltura e un tipo di organizzazione economica delle proprietà agricole che furono conservate anche nei secoli successivi.
I sistemi di coltivazione avevano comunque già subito una evoluzione nel periodo delle Primavere e autunni e in quello degli Stati combattenti.
Durante il V sec. a.C. un gruppo di agronomi (nongjia) aveva predicato il valore dell’agricoltura e aveva propugnato la conoscenza delle scienze agrarie.
Nelle antiche bibliografie della Storia della dinastia Han sono citati alcuni titoli delle loro presunte opere, a noi non pervenute. Gli antichi metodi di coltivazione sono comunque descritti in specifici capitoli della letteratura anteriore ai Qin: il Libro del Maestro Guan (Guanzi), forse compilato tra il V e il III sec. a.C., includeva capitoli sulle condizioni del terreno; l’opera di Lü Buwei (Primavere e autunni del Signor Lü, Lüshi chunqiu), del III sec. a.C., ne conteneva di specifici sulla gestione dei campi, su come migliorare la qualità del terreno e sugli effetti di una corretta scelta nei tempi di coltivazione.
Inoltre esistevano dei vecchi almanacchi di attività agrarie in forma di calendario, come il Piccolo calendario dei Xia (Xia xiaozheng) e le Ordinanze mensili (Yueling), capitoli dell’antologia confuciana Memorie sui riti (Liji), entrambi compilati nel tardo III sec. a.C.
In questi veri e propri trattati erano state accumulate, in forma di tradizione scritta, le conoscenze pratiche accumulate nel periodo antecedente l’unificazione Qin e Han.
I principi contenuti in queste opere ritenevano che, per poter aumentare le rese, si dovessero sfruttare al meglio le condizioni ambientali ‒ ossia il clima, le condizioni atmosferiche (come l’umidità), la qualità del terreno, l’approvvigionamento idrico, oltre ad aumentare considerevolmente l’impiego di manodopera.
Le conoscenze accumulate si basavano comunque sulla necessità che i coltivatori prestassero la massima attenzione alla scelta e alla rotazione delle colture, alla selezione delle sementi, all’uso dei vari tipi di concimazione, alla pianificazione dei tipi di piantagione, alla sarchiatura, alla difesa dagli insetti, alle irrigazioni (che dovevano essere corrette e tempestive), e così via.
Tali fondamenti che erano alla base delle tecniche agricole ad alta intensità di manodopera, citati nella letteratura antecedente ai Qin, divennero più sofisticati nel periodo Han.
Infatti nella bibliografia della Storia della dinastia Han, alla voce “agricoltura” vengono elencati nove titoli.
Di queste opere esiste ancora ‒ seppure in frammenti citati da altri testi di agraria ‒ soltanto il Libro di Fan Shengzhi (Fan Shengzhi shu).
Un’altra opera di grande rilievo è quella dal titolo le “Ordinanze mensili per le quattro classi di persone (Simin yueling)” di Cui Shi (?-170 d.C. ca.), un “agricoltore gentiluomo” che compilò questo almanacco come “manuale” per la conduzione delle grandi tenute agricole.
La cosa più interessante è che sia Fan Shengzhi che Cui Shi avevano ricoperto il ruolo di pubblici funzionari, e che quasi sicuramente avevano contribuito direttamente nella promozione dello sviluppo agricolo delle loro rispettive giurisdizioni, un comportamento ed un ruolo abbastanza comune tra gli amministratori Han.
Parallelamente alla evoluzione delle tecniche agricole si era avviata una evidente e notevole evoluzione della realizzazione ed uso degli attrezzi agricoli.
I coltivatori disponevano di un vero e proprio assortimento di attrezzi realizzati sia in ferro battuto che ghisa. Ricordiamo che durante la dinastia Han, l’estrazione e la lavorazione del ferro erano monopolio dello Stato, che si preoccupava direttamente di far disegnare, produrre e distribuire una ricca gamma di strumenti agricoli.
Le scoperte archeologiche ci indicano senza equivoci che le attrezzature durante la dinastia Han, grazie ad una metallurgia di alto livello tecnologico, erano perfetta forgia; il ferro era temprato, battuto allo stato puro, indurito nel carbonio (dunque trasformato in acciaio).
Tutto questo permetteva di produrre numerose macchine utensili nonché attrezzi di ferro, quali vanghe, zappe, escavatori, aratri, falci, falcetti, tutti differenziati in sottotipi in base alle loro particolari funzioni.
Tale specializzazione è più evidente se si esamina l’evoluzione a cui fu sottoposto l’aratro. L’aratro, durante il periodo Han, consisteva di un vomere provvisto di una lama e di un versoio a porca posteriore; questo era trainato da un bue o da una coppia di buoi o cavalli ed era in grado di aprire il terreno in profondità, rovesciandolo in modo da creare appunto delle porche.
La diversa dimensione e forgia degli aratri fa pensare che a seconda del tipo di lavorazione, più profonda o di bonifica, venivano usati gli aratri più pesanti, mentre per frantumare le zolle di terra grumosa si usavano aratri o attrezzi più leggeri.
Interessante era la cura per la preparazione della semina testimoniata dalla realizzazione di seminatrici che erano realizzate da alcuni tubi fissati a un piccolo vomere, attraverso i quali l’agricoltore gettava le sementi nel terreno lavorato potendo così regolare la distanza tra le piante. Per aumentare la fertilità ma soprattutto la bonifica di nuovi terreni il governo Han incoraggiava l’uso dell’aratro e, in modo particolare, esortava le popolazioni che abitavano nelle regioni di confine ad adoperare l’aratro trainato dal bue. Le testimonianze archeologiche che sono state raccolte confermano quanto documentato dai testi, e cioè che in zone assai distanti fra loro si usavano aratri di struttura simile.
Guido Bissanti