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Ginkgo biloba

Ginkgo biloba

Il Ginko o Ginco o albero di capelvenere (Ginkgo biloba (L., 1771)) è l’ unica specie sopravvissuta della famiglia Ginkgoaceae.

Sistematica –
Dal punto di vista sistematico appartiene al Dominio Eukaryota, Regno Plantae, Divisione Ginkgophyta, Classe Ginkgoopsida, Ordine Ginkgoales, Famiglia Ginkgoaceae e quindi al Genere Ginkgo ed alla Specie G. biloba.
Sono sinonimi i termini Salisburia adiantifolia Smith, 1797 e Pterophyllus salisburiensis Nelson, 1866.

Etimologia –
Il termine Ginkgo proviene da ginkyo, nome giapponese di questa pianta che significa albicocca (kyo) d’argento (gin). Un banale errore di trascrizione, del botanico tedesco Engelbert Kaempfer, ha trasformato il nome originale in questo quasi impronunciabile, ma tuttavia valido e non modificabile. L’epiteto specifico deriva da bis, due volte e lobus, lobo: con due lobi, bilobato.

Distribuzione Geografica ed Habitat –
Ginkgo biloba è una specie arborea antichissima le cui origini risalgono a circa 250 milioni di anni fa nel Permiano; per questo è una specie relitta considerato un fossile vivente.
La pianta sembrerebbe originaria della Cina, Paese nel quale sono stati rinvenuti fossili che risalgono all’era paleozoica. Recentemente sono state scoperte almeno due stazioni relitte nella provincia dello Zhejiang della Cina orientale ma non tutti i botanici ritengono che queste stazioni siano davvero spontanee, in quanto la Ginkgo biloba è stata estesamente coltivata per millenni dai monaci cinesi.

Descrizione –
La Ginkgo biloba è una specie arborea che può raggiungere i 40 m di altezza ed, in condizioni ottimali, grandi circonferenze del tronco (fina a 8 metri). La chioma è piramidale, rada in età giovanile che si addensa a maturità. La corteccia è liscia da giovane e di colore grigio-argenteo per assumere poi un colore marrone scuro; presenta inoltre delle costolature suberose evidenti.
Si possono distinguere macroblasti che sono inizialmente di colore verde arancione e che successivamente tendono al grigio argenteo della corteccia; i brachiblasti hanno forma claviforme con cicatrici fogliari e una gemma apicale. Le foglie hanno una tipica forma flabelliforme (a ventaglio), di colore verde o giallo al momento dell’abscissione. Si distinguono foglie macroblastali, portate alterne sparse con margine superiore smarginato spesso bilobato, e foglie brachiblastali riunite in ciuffetti e con margine intero e ondulato. La specie è dioica, con gli “amenti” portati dalle piante maschili e gli ovuli, riuniti a coppie da un peduncolo, portati dalle piante femminili. La pianta raggiunge la maturità sessuale verso i 30-40 anni e l’impollinazione, che è anemofila, avviene a primavera. La fecondazione è ritardata di 4-6 mesi, un ovulo abortisce e l’altro cade non ancora maturo. Il seme termina la maturazione a terra e germina nella primavera successiva.

Coltivazione –
La Ginkgo biloba è una pianta eliofila che preferisce quindi zone soleggiate e un clima fresco. Pur se abbastanza rustica preferisce i terreni acidi e non asfittici. La pianta sopporta temperature fino a -35 °C. Si moltiplica generalmente per margotta. Nell’uso ornamentale è preferibile coltivare gli individui maschili per evitare lo sgradevole odore dei semi, che cadendo a terra si disgregano e provocano un cattivo odore a causa degli acidi carbossilici che contengono, anche se il sesso della specie è difficilmente riconoscibile in quanto la pianta non presenta un sufficiente dimorfismo sessuale prima della maturità sessuale. Per la coltivazione si ricorre a individui maschili ricavati agamicamente per innesto. È una pianta che non sopporta bene la potatura in quanto i rami accorciati seccano.

Usi e Tradizioni –
La Ginkgo biloba è stata coltivata da tempi remoti sia in Giappone che in Cina è perché era ritenuta una pianta sacra. In Estremo Oriente i semi di questa pianta sono considerati una prelibatezza e vengono mangiati dopo essere stati arrostiti. La pianta è stata introdotta in Europa nel 1700 ma non riveste particolare interesse forestale a causa del suo legno abbastanza fragile. La prima pianta introdotta in Italia, nel 1750, si trova nell’Orto Botanico di Padova (Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO). Si tratta di un esemplare maschile maestoso su cui, verso la metà dell’Ottocento, è stato innestato, a scopo didattico, un ramo femminile.
Il legno, di colore giallastro, viene usato per la costruzione di mobili, lavori di tornio e intaglio, ma è di bassa qualità data la sua fragilità.
Oggi la Ginkgo biloba viene utilizzata, pertanto, soprattutto come pianta ornamentale e da alberatura stradale in quanto è una pianta molto resistente alle avversità climatiche, all’inquinamento ed ai parassiti; viene anche coltivata per scopi industriali in Europa, Giappone, Corea e Stati Uniti per l’utilizzo medicinale delle sue foglie.
È anche diffuso il suo utilizzo per farne bonsai.
La Ginko biloba detiene una serie di interessanti potenzialità fitoterapeutiche. I composti che si ritiene siano responsabili dell’azione terapeutica sono:
– il terpene trilattone Bilobalide, che rappresenta il 2,6-3,4% del peso secco;
– i Gingkolidi A, B e C (che rappresentano in totale il 3-3,6% del peso secco):
– i Ginkgolidi J e K (0.3-0.6%) e gli M, Q, P (presenti in quantità minori).
Sono presenti acidi carbossilici denominati Acidi Ginkolici, che però potrebbero avere degli effetti tossici e che sono perciò presenti in basse concentrazioni negli estratti (5-10 ppm). Altri acidi carbossilici presenti nella pianta sono il Ginkolo e l’acido Shikimico. Tra le altre molecole bioattive presenti in basse concentrazioni troviamo:
– Procianidina (fino al 10% del peso secco);
– Quercitina e Isoramnetina (sotto forma di glicosidi);
– flavonoidi e Kaempferolo.

Modalità di Preparazione –
Dal Gingo biloba si possono ricavare una serie di estratti che devono però essere usati con cautela in pazienti che assumono anticoagulanti, acido acetilsalicilico, ticlopidina, diuretici tiazidici, pentossifillina, trombolitici, caffeina, ergotammina; non associare a prodotti a base di aglio o derivati dal salice per aumento dei rischi di gastrolesività.
Gli estratti di questa pianta sono stati sperimentati per un grandissimo numero di patologie e per alcune di esse si sono ottenuti notevoli riscontri di efficacia terapeutica. Le maggiori risultanze si sono ottenute per il trattamento del declino cognitivo, della claudicatio intermittens, nel trattamento di alcuni disordini con origini vascolari e sindromi metaboliche.

Guido Bissanti

Fonti
– Acta Plantarum – Flora delle Regioni italiane.
– Wikipedia, l’enciclopedia libera.
– Treben M., 2000. La Salute dalla Farmacia del Signore, Consigli ed esperienze con le erbe medicinali, Ennsthaler Editore
– Pignatti S., 1982. Flora d’Italia, Edagricole, Bologna.
– Conti F., Abbate G., Alessandrini A., Blasi C. (a cura di), 2005. An annotated checklist of the Italian vascular flora, Palombi Editore.

Attenzione: Le applicazioni farmaceutiche e gli usi alimurgici sono indicati a mero scopo informativo, non rappresentano in alcun modo prescrizione di tipo medico; si declina pertanto ogni responsabilità sul loro utilizzo a scopo curativo, estetico o alimentare.




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