La Verità sulle Energie Rinnovabili
La Verità sulle Energie Rinnovabili
Per affrontare la complessa questione dei consumi energetici e quindi della sostenibilità o meno delle fonti è necessario che tutta l’Opinione pubblica sia fortemente coinvolta in un processo di informazione senza il quale non c’è più futuro per come lo concepisce il mondo occidentale.
Chiaramente il ruolo politico e l’impegno sul tema non potranno più essere quelli tanto superficiali e poco professionali odierni.
Attorno alla questione energetica non c’è solo il problema dell’approvvigionamento (e quindi la disputa rinnovabili non rinnovabili) ma soprattutto una diversa conformazione sociale ed urbanistica, senza la quale ogni programma o progetto energetico risulterà un fallimento.
Ricordiamo che oggi l’80 della popolazione europea risiede nelle grandi città, mentre il 20 % nei territori rurali. Questo ci porta ad una grossa riflessione se consideriamo che i grandi centri abitati sono altamente energivori per via delle infrastrutture necessarie, delle lunghezze delle distanze dei trasporti e degli approvvigionamenti alimentari, energetici, ecc.
Senza una rimodulazione urbanistica, produttiva e di distribuzione del connubio produzione energia/consumo della stessa non ha senso alcun dibattito sulle energie. È un puro esercizio di demagogia politica e di contrapposizione faziosa.
“La popolazione umana – ci ricorda poi il demografo Joel Cohen della Columbia University – cresce fra i 75 e gli 80 milioni di persone all’anno. E’ come se al nostro pianeta si aggiungesse un altro Bangladesh ogni due anni”. Inoltre, per effetto dello sviluppo economico, spiega l’esperto energetico Daniel Yergin, “nei prossimi vent’anni due miliardi di persone passeranno da un reddito pro capite di diecimila dollari l’anno a uno compreso fra i dieci e i trentamila dollari”. Conseguenza: entro il 2030 il consumo mondiale di energia elettrica sarà raddoppiato.
Costruire le centrali necessarie per soddisfare questa domanda, costerà 14.000 miliardi di dollari. Ma i costi per l’ambiente saranno immensamente superiori. Se dovesse restare invariata la nostra dipendenza attuale dalle energie fossili, che è circa dell’80%, secondo le proiezioni dell’Ocse in quarant’anni aumenteranno del 50% le emissioni di CO2. Per non parlare dei livelli di inquinamento, che saranno ben oltre ogni soglia di sopportabilità per la salute umana. La conclusione è obbligata: la sopravvivenza dell’umanità dipende dalle energie rinnovabili. Ma non basterà uno sviluppo “lineare” delle fonti pulite.
Una crescita “normale” dell’energia solare, eolica, idroelettrica, ai ritmi degli ultimi anni, sarebbe a malapena sufficiente perché tutte le rinnovabili conservino la loro quota sul totale. Dunque resteremmo all’interno dello scenario Ocse: prevalentemente dipendenti da energie fossili che ci porteranno al disastro.
Come far fare il “grande salto” alle rinnovabili? Bisogna liberarsi di alcune illusioni: la scorciatoia dell’efficienza, quella tecnologica, e quella romantica. Un partito degli ottimisti punta l’indice verso gli straordinari guadagni di efficienza degli ultimi decenni: gli Stati Uniti, pur essendo l’economia più “energivora” del pianeta in proporzione alla popolazione, oggi consumano solo la metà dell’energia che usavano negli anni Settanta per ogni dollaro di Pil in più. Ma questo “risparmio relativo” per ogni unità di prodotto è solo in parte il risultato di progressi tecnologici e nuovi metodi produttivi: in larga parte è stato ottenuto invece delocalizzando nelle nazioni emergenti le industrie ad alta intensità di energia. L’illusione tecnologica è quella che tende ad attribuire effetti miracolosi ad ogni innovazione: l’auto elettrica, per esempio, sta facendo davvero dei passi da gigante. Si tende a dimenticare però che l’impatto ambientale dell’auto elettrica dipende in larga parte dal tipo di centrali installate “a monte”, quelle che generano la corrente per ricaricare le batterie: se sono centrali a carbone, siamo daccapo. (C’è poi una complicazione aggiuntiva per le “terre rare” usate nella produzione delle batterie). La visione “romantica” vede un futuro tutto sole e vento ma tende a sottovalutare i costi complessivi delle rinnovabili, e quindi le resistenze sociali e politiche che incontreranno, se il loro uso dovesse essere esteso nella misura che ci è veramente necessaria. Lo scienziato di Cambridge David MacKay, autore di “Sustainable Energy – Without the Hot Air” (cioè l’energia sostenibile…senza l’aria calda), risale al 1600 per ritrovare un’epoca in cui “l’Europa viveva esclusivamente di energie rinnovabili: legname, mulini a vento e ad acqua”. Quel modello era sostenibile grazie a due fattori: la popolazione che era una frazione di quella attuale, e il tenore di vita modestissimo dell’èra pre-industriale. Basta cambiare l’uno o l’altro, per accorgersi che i conti non tornano. “Oggi perfino se tornassimo ai livelli di consumo di quattro secoli fa, con la popolazione attuale non basterebbe destinare l’intera superficie dell’Inghilterra alle foreste, per essere autosufficienti in energie rinnovabili”. Le equazioni numeriche sono spietate, ma da lì bisogna partire per non fare elucubrazioni irrealistiche. Al termine dei prossimi vent’anni di sviluppo delle nazioni emergenti, quand’anche il pianeta si “fermasse” al livello di consumi energetici di Hong Kong che è di 3,3 kilowatt per abitante – Hong Kong è ricca rispetto all’Asia ma ha un consumo pro capite che è appena un terzo degli Stati Uniti e poco più della metà della media europea – tutte le fonti rinnovabili attualmente disponibili non arriverebbero a coprire la metà del fabbisogno. Gli studi di MacKay sono particolarmente utili a illuminare il nostro futuro perché questo scienziato fisico si è cimentato anche con la responsabilità di consulente del governo inglese. Ha elaborato dei piani di fattibilità, che si possono facilmente estrapolare dal caso britannico a tutte le nazioni sviluppate d’Europa e del Nordamerica. Nei suoi rapporti scientifici per il Department of Energy and Climate Change di Londra dal 2009 a oggi, MacKay ha cercato di rendere “possibile” un futuro di sole energie rinnovabili: esaminando concretamente tutte le sue implicazioni, gli investimenti che richiederebbe. Tra le sue conclusioni, alcune sono assai scomode, per l’opinione pubblica e anche per gli ambientalisti. Per esempio, tra i vari scenari alternativi, basati su ipotesi diverse, quasi nessuno può fare a meno del nucleare dentro il ventaglio delle alternative alle energie fossili. Un’altra conclusione indigesta: è impossibile affrancarsi dalle energie fossili senza accettare pale eoliche invasive sul territorio e nei mari. In quanto al solare, perché riempia il proprio ruolo di alternativa consistente, occorrerà che un paese come la Gran Bretagna vi dedichi almeno il 5% della sua superficie. Il 5% della superficie può sembrare poco? Ma i nostri paesi sono così densamente urbanizzati da rendere molto controversi dei “cambi di destinazione” ben più piccoli. Anche ammesso che le nostre opinioni pubbliche rinuncino all’atteggiamento “Nimby” – “not in my backyard”, non nel cortile di casa mia – e cioè accettino degli stravolgimenti invasivi del proprio territorio, neppure questo potrà bastare. MacKay dopo avere esaminato tutte le opzioni avanza un’altra conclusione: per far tornare i conti a livello mondiale, bisognerà importare elettricità generata da centrali solari “delocalizzate” nei deserti. Gli Stati Uniti, se ne avranno la volontà politica, possono trovare entro i propri confini tutti i deserti necessari. Ma l’Europa, il Giappone, certi paesi emergenti ad alta densità di popolazione, dovranno importare “elettricità solare” da Stati come Arabia saudita, Libia, Algeria, Sudan, Kazakhstan. Cioè, guarda caso, gli stessi dove si concentra oggi una quota importante della produzione petrolifera. Sono aree verso le quali la nostra eccessiva dipendenza ha creato un rischio geostrategico e una conflittualità politico-militare. Siamo pronti ad affrontare per l’Italia un futuro “sostenibile” che richiederà di destinare a pannelli solari e turbine eoliche una superficie vasta come la Toscana? Siamo attrezzati a diventare clienti del solare generato a Tripoli, Ryiad, Algeri, ricadendo nella stessa fragilità in cui siamo vissuti fin qui nell’èra petrocentrica? Un messaggio ottimistico riguarda l’efficacia della leva dei prezzi. Il caro-benzina funziona, basta vedere con che rapidità sta cambiando abitudini l’automobilista americano che è il più energivoro del mondo e ora si converte sempre di più alle auto ibride, ai trasporti pubblici, al “car-pooling” cioè l’aggregazione di quattro vicini di casa su un’auto sola per andare in ufficio. Funzionerebbe ancora meglio con l’adozione di una carbon tax adeguata a livello mondiale, che faccia pagare a tutti i settori industriali i veri costi ambientali delle loro attività. Tra questi costi non si può sottacere al trasporto delle derrate alimentari che ha un’incidenza nel settore energetico spaventoso. Un sistema di prossimità tra produzione e consumo è l’unica via percorribile in quanto si abbatterebbero il 90 % dei consumi energetici del settore.
Ma la vera rivoluzione deve essere creata nei modelli produttivi e negli stili di vita (consumo procapite di energia) e quindi in un approccio olistico nuovo dell’antiquato teorema capitalistico/consumistico.
Pensare ad uno sviluppo secondo il modello occidentale industrializzato è pura follia, così come ipotizzare i liberi mercati per il trasporto delle masse tra Paesi che producono lo stesso bene serve solo alle grandi multinazionali dei vari settori. È pertanto necessario porre la popolazione in una fase di disincentivazione all’uso dalle fonti tradizionali (anche fiscale), all’uso dei mezzi pubblici, ai consumi a Km0 (a prossimità spaziale tra produzione e consumo) e ad una riforma della contabilità nazionale abbandonando l’obsoleto uso del PIL a favore del PINE (Prodotto Interno Netto Ecologico).
È necessario però su tutto una obiezione di coscienza politica che si svincoli dalle pressioni degli interessi delle Multinazionali che vanno in una direzione completamente opposta a quanto sin qui detto.
Se la Politica non si occuperà di questi temi senza un approccio umanistico nuovo determineremo la fine di una Civiltà dell’Impossibile perché non a misura di Pianeta e quindi a misura d’uomo.
Guido Bissanti