Inefficienza energetica e democratica dei megaimpianti
Inefficienza energetica e democratica dei megaimpianti
Mentre ci avviciniamo a grandi falcate verso il 2030, non si riesce a fare chiarezza (o forse non conviene farla) su come raggiungere gli obiettivi energetici per quella data (secondo quanto previsto da Agenda 2030).
Secondo quanto espresso da fonti ENEA, in un recente report, siamo ancora all’11,5% dall’obiettivo fissato dall’Agenda 2030, valore ancora basso e, per di più, aggravato da problemi di stoccaggio dell’energia, macchinosità della burocrazia e mancanza di visione politica.
Dietro alla transizione energetica (dalla fossile alla rinnovabile) ci sono, ovviamente, i grandi interessi dei gruppi mondiali che hanno dominato per decenni la scienza planetaria e che, adesso, devono riciclarsi nella nuova gestione dei monopoli energetici da fonti rinnovabili.
Tutto questo, ovviamente, va già in contrasto con quelle che sono gli aspetti tecnologici e, quindi, strategici delle politiche dell’UE.
La strategia Framework 2030 prevede, in un certo senso, una democratizzazione delle produzioni energetiche da fonti rinnovabili in quanto, una maggiore frammentazione delle fonti (che siano eoliche, fotovoltaiche o di altro tipo) garantisce una maggiore sicurezza ed efficienza (anche strategica in caso di conflitti ed attentati) del sistema.
Tuttavia per assorbire l’energia generata da questi numerosi impianti (in Europa ormai sono milioni, prevalentemente fotovoltaici), consentendone l’ulteriore sviluppo, occorre anche potenziare la rete, sia modificarla concettualmente e rinnovarla tecnologicamente, secondo la logica delle Smart Grids e della digitalizzazione.
Pur non di meno è proprio il concetto di contribuzione con un sistema frazionato che consente tali presupposti ma anche, come detto, la possibilità che ogni cittadino diventi protagonista di un ulteriore livello della democrazia che è quello energetico.
Ne sono un esempio le Comunità Energetiche, strumento voluto, ancora una volta dall’Unione Europea, e contenuto nel pacchetto per l’energia pulita cui l’Europa si affida, per raggiungere i suoi obiettivi a lungo termine, mirando a favorire la transizione energetica e l’adattamento ai cambiamenti climatici di comunità costituite da cittadini e imprese locali, promuovendo al tempo stesso la diffusione di competenze, consapevolezza e accettazione delle tematiche energetiche sostenibili tra la popolazione.
In pratica le Comunità Energetiche sono uno strumento democratico (oltre che energetico) di cittadinanza attiva.
Nonostante tutte queste premesse la produzione di energie rinnovabili da fonti “democratiche” stenta a decollare.
Eppure i dati, gli studi e le ricerche, oramai disponibili, dimostrano che è questa la vera via per dare un futuro energeticamente sostenibile e politicamente equilibrato.
A questa enunciazione, che potrebbe sembrare soggettiva, fa coro un recente studio dell’ENEA.
Secondo questo studio (pubblicato anche dalla rivista Energies – rivista scientifica ad accesso aperto con revisione paritaria bisettimanale), per soddisfare l’intero fabbisogno elettrico del settore residenziale nazionale basterebbe installare pannelli fotovoltaici sul 30% circa della superficie complessiva dei tetti degli edifici ad uso abitativo del nostro Paese. L’Italia, dice anche lo studio, dispone della quasi totalità dell’area idonea all’installazione di questi dispositivi. Il tutto utilizzando solo coperture di edifici esistenti, senza la necessità di ulteriore uso e, quindi, consumo di suolo (a cui, ricordiamolo, sono poste le attenzioni di altre strategie europee) o di mare.
Per entrare nel dettaglio, e dare quindi contezza a chi ci legge, basterebbe occupare interamente la superficie ottimale: circa 450 km². «Nel nostro Paese gli edifici ad uso residenziale sono oltre 12 milioni con una superficie complessiva dei tetti di circa 1.490 km². Di questi. 450 km², pari appunto al 30% circa, potrebbero avere caratteristiche adeguate all’installazione di pannelli fotovoltaici». Questa affermazione è stata riportata da Nicolandrea Calabrese, responsabile del Laboratorio ENEA di Efficienza energetica negli edifici e sviluppo urbano e coautore dello studio insieme al collega Domenico Palladino, ricercatore dello stesso laboratorio.
In pratica, sempre secondo lo studio, se venisse coperta di pannelli solari questa limitata quantità di tetti, si potrebbero generare oltre 79 mila GWh di energia elettrica. Per soddisfare il fabbisogno residenziale elettrico, che è pari a un consumo medio annuo di circa 65,5 mila GWh, basterebbe occupare anche una superficie inferiore (all’incirca 310 km²).
Andando oltre a questo scenario ottimale e facendo riferimento a quello più «probabile», lo studio dell’Ente italiano per l’energia dimostra che la potenza fotovoltaica installata potrebbe essere solo pari a 6 GW, ovvero l’11,5% dell’obiettivo nazionale fissato in 52 GW di nuova capacità fotovoltaica al 2030, vale a dire due volte e mezzo la potenza registrata nel 2020. Al 2050, lo studio stima che la produzione di energia elettrica da fotovoltaico potrebbe coprire potenzialmente poco meno del 40% del fabbisogno nazionale.
Questo autorevole studio era stato preceduto nel 2020, da un’altra ricerca privata, condotta dal Coordinamento Agroecologia Sicilia, che rappresento. In questo studio si ipotizzava la produzione di energie rinnovabili su tetti, tettoie e aree cementificate, sul 10 % delle aziende siciliane, quindi senza consumo di ulteriore suolo.
Non entrando nei calcoli di dettaglio che potete trovare in questo contributo (pubblicato sulla autorevole rivista nazionale QualEnergia), si è stimata una produttività media annua di tali impianti installati in Sicilia pari a circa 1.900 kWh/(kWp ⋅ anno), che possiamo considerare prudenzialmente ridotta a 1.200 kWh/(kWp ⋅ anno) nel prendere in esame le mancate produzioni (di energia) legate a cattive manutenzioni degli stessi.
Questo dato ci ha permesso di stimare la produzione annua (AEP – Annual Energy Production) dell’intero ecosistema produttivo fotovoltaico, di cui sopra, pari a circa 13,6TWh/anno (pari al 5% e all’83% dell’intero fabbisogno elettrico rispettivamente nazionale e siciliano nel 2020, con produzione elettrica proveniente solo dal 10 % delle superfici già disponibili all’interno dei terreni agricoli della Sicilia. Tale dato è stato ricavato dalla ipotesi, molto verosimile, della semplice adesione del 10 % delle aziende agricole al sistema implementato dalla L.R. 21/2021 – legge della Regione Siciliana sull’agroecologia).
È evidente come, sempre più, ricerche, studi ed elaborazioni dati, di enti di ricerca pubblici e privati, dimostrano l’enorme potenziale di energie rinnovabili producibili senza “disturbare” il territorio e lasciandolo sviluppare secondo criteri ecologici e democratici.
Tra l’altro gli ingenti investimenti che si stano effettuando per le Smart Grid (che, ripetiamo, sono reti dette “intelligenti” in quanto ottimizzano la distribuzione dell’energia elettrica, decentralizzano le centrali di produzione dell’energia e minimizzano sovraccarichi e variazioni della tensione elettrica) mal si conciliano con la realizzazione soprattutto di megaimpianti fotovoltaici ed eolici; come dire che i grandi gruppi ricevono fondi per una transizione energetica corretta e fondi per una transizione in contrapposizione con la precedente. Un ossimoro che la politica deve chiarire anche alla Corte dei Conti nazionale ed europea.
Orbene, per poter effettuare, quindi, una corretta transizione energetica (con tutti i crismi della sostenibilità democratica ed ecologica) il primo passo è quello di informare i cittadini e la politica di cosa è corretto e cosa non lo è (e quindi di cosa è legale e cosa non lo è) e di quanta disponibilità da fonti rinnovabili e democratiche disponiamo. Altrimenti avremo grandi apporti di energia per illuminare i nostri territori ma un salto nel buio della democrazia e dell’ecologia.
Guido Bissanti