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Legame tra biodiversità e resa agricola

Legame tra biodiversità e resa agricola

Negli ultimi tempi la crisi del settore agroalimentare, legata soprattutto all’impatto ambientale di alcune pratiche agricole ed ai sistemi di distribuzione eccessivamente energivori, ha indotto molti ricercatori di diverse Università a operare analisi e ricerche su nuovi modelli produttivi.
Al centro di queste ricerche il possibile legame tra aumento della biodiversità naturale ed agricola e qualità e quantità dei prodotti ottenuti.
I risultati non si sono fatti attendere e sono stati confermati, altresì, dalle dichiarazioni, tra gli altri, di Giovanni Tamburini, Ricercatore dell’Università di Bari e dell’Università di Scienze Agrarie di Uppsala (Svezia) e principale autore di uno studio sui riflessi della biodiversità su processi agricoli, il quale afferma che: “La tendenza attuale è la semplificazione dei principali sistemi colturali in tutto il mondo. Coltiviamo monocolture su campi che si distendono su paesaggi omogeneizzati. I risultati del nostro studio indicano che la diversificazione può invertire gli impatti negativi che osserviamo nelle forme semplificate di coltivazione sia sull’ambiente che sulla produzione stessa“ (Tamburini G. et Al. 2020).
A rafforzare questo ed altri studi ci ha pensato uno studio inglese, durato circa 10 anni, dove si evidenzia come nelle aziende agricole la rinaturalizzazione delle superfici fa crescere i raccolti.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare (secondo l’assunto della specializzazione colturale) quando si riservano parte delle aree agricole alla natura non si riduce la produttività. I risultati anzi indicano, al contrario, che in certi casi la fa aumentare.
È quanto è emerso, appunto, dallo studio decennale del Centre for Ecology and Hydrology del Regno Unito. Il progetto è stato condotto in un’azienda agricola di 1.000 ettari, a Hillesden, un villaggio dell’Inghilterra, appartenente alla contea del Buckinghamshire.
In questa azienda, sin dal 2005, è stato condotto un progetto di rinaturalizzazione di alcune aree agricole creando una maggiore biodiversità a supporto degli habitat circostanti.
I dati emersi dopo varie annualità (ricordiamo che un ciclo naturale ha bisogno di più annate per avere una rilevanza statistica) è che grazie alle piante inserite in queste zone è aumentata la presenza di insetti utili alla produzione agricola come gli impollinatori e degli insetti predatori di parassiti.

Pertanto al lavoro di Tamburini ed altri, oltre ad altri studi, che qui non citiamo per non dilungarci, l’aumento delle rese è collegato ad un sistema di biodiversità floristica e faunistica che è perfettamente in accordo con la teoria dei Sistemi Dissipativi di Y. Prigogine (premio Nobel per la chimica nel 1977), in cui lo scienziato di origine Russa dimostrò che i sistemi termodinamici più complessi, come gli ecosistemi ricchi di biodiversità, utilizzano meglio l’energia disponibile (in gran parte solare) conducendo ad una Produttività Primaria maggiore.
Nell’area oggetto del decennale studio è, altresì, cresciuto il numero di alcune specie di farfalle, così come quello di piccoli mammiferi e uccelli. Tra questi ultimi è quasi raddoppiata la presenza della cinciallegra (Parus major Linnaeus, 1758), con un incremento dell’88%, e della cinciarella (Cyanistes caeruleus Linnaeus, 1758) che hanno beneficiato del riparo fornito da siepi e margini erbosi.
Il dato interessante, in accordo, tra l’altro, con i principi e fondamenti dell’agroecologia, è che grazie alla presenza di questi insetti e di animali, nonostante una quota della superficie agricola sia stata sottratta alla coltivazione, le rese complessive dell’azienda agricola sono rimaste inalterate e in certi casi migliorate.
I ricercatori hanno affermato che “non conviene coltivare in aree poco produttive dove invece è più vantaggioso lasciare spazio alla natura facendo aumentare la resa media. Avere più natura in azienda influisce positivamente sui raccolti” E, probabilmente, aggiungiamo noi, anche sulla loro qualità, anche per via del minore uso di prodotti chimici di sintesi.
Un’ultima annotazione sullo studio è quella della sua potenziale replicabilità in contesti analoghi. Il progetto è stato infatti condotto in una fattoria di grandi dimensioni, gestita con pratiche agricole convenzionali, in un territorio privo di aree naturali di particolare estensione.
Ciò significa che per poterlo replicare in ambiti dotati di aziende di più ridotte dimensioni si potrebbe pensare ad un progetto pilota a partire dai Biodistretti.
Tra l’altro, proprio in Sicilia, l’emanazione della L.R. 21 del 2021, sull’agroecologia, troverebbe un terreno normativo e regolamentare, è il caso di dirlo, particolarmente fertile.

Guido Bissanti




2 pensieri riguardo “Legame tra biodiversità e resa agricola

  • Maria Beatrice

    Può apparire paradossale ma ritornare “indietro” risulta unica via possibile affinché da una parte sia possibile ristabilizzare equilibrio nella catena alimentare e, d’altra parte, valorizzare le nostre colture che caratterizzano il nostro territorio fino a trovare la vera ricchezza della nostra terra meravigliosa.

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    • ecosostenibile

      Buongiorno, paradossalemte è in parte un ritorno indietro ma, alla luce di ciò che si sa oggi sulla termodinamica dei sistemi complessi (quali appunto quelli ecologici), è un passo avanti sulla base consolidata di una millenaria tradizione di saperi ed esperienze. Come detto da Lei “unica via possibile affinché da una parte sia possibile ristabilizzare equilibrio nella catena alimentare …”. Grazie e ci segua sempre.

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