Uso dei fertilizzanti ed emissioni climalteranti
Uso dei fertilizzanti ed emissioni climalteranti
Con l’avvento dell’agricoltura moderna l’uso dei fertilizzanti ha subito una impennata notevole. Tale andamento se da un lato ha consentito l’aumento delle rese delle produzioni ha avuto però conseguenze molteplici sia a carico della struttura e microbiologia dei suoli ma anche sulle emissioni climalternanti.
Di recente uno studio dell’Università di Cambridge ha condotto delle ricerche per individuare le strategie migliori per ridurre i gas serra derivanti dall’uso di concimi naturali e chimici.
Lo studio, in sintesi, come verrà esposto di seguito, indica che entro il 2050 si possono tagliare le emissioni provenienti dall’uso dei fertilizzanti dell’84%.
Per ottenere questo importante risultato bisognerà avere un uso più efficiente del processo di decarbonizzazione.
Ma facciamo un passo indietro. Attualmente le emissioni dei fertilizzanti sono circa 2,6 GtCO2e l’anno, cioè il 5-6% del totale globale.
Una quantità tale che, se rapportata in termini di superficie, rappresentano un apporto inquinante pari a ogni anno quasi come l’intera Europa.
Per ridurre drasticamente questo effetto, con evidenti ricadute negative anche sulle coltivazioni planetarie (vedi aumento delle temperature e difficoltà di adattamento di alcune coltivazioni), è necessario cambiare alcune strategie nell’uso di queste sostanze.
La riduzione fino al valore dell’84% entro il 2050, secondo quanto verificato da uno studio dell’università di Cambridge (apparso su Nature food) è possibile solo con l’uso di tecnologie che già sono disponibili. Quindi niente di rivoluzionario o tecnologicamente inarrivabile.
Le chiavi per ottenere questo risultato, secondo l’università, sono due, ma nel seguito dell’articolo vedremo che ne esiste una terza che affronteremo in ultimo.
Riguardo alle prime due chiavi bisogna ottenere:
– più efficienza nell’uso dei fertilizzanti azotati;
– decarbonizzazione dei processi di produzione.
Lo studio di Cambridge ha potuto verificare che circa due terzi delle emissioni di fertilizzanti avvengono dopo il loro impiego nelle colture.
L’aumento dell’efficienza nell’uso dell’azoto è la strategia più efficace per ridurre le emissioni. Tuttavia, questa strategia dovrebbe essere combinata con la decarbonizzazione della produzione di fertilizzanti.
I fertlizzanti sintetici azotati, che siano organici o inorganici, cioè sintetici, una volta nel terreno, vengono digeriti dagli agenti microbici presenti nel suolo. Il processo libera grandi quantità di ossido di diazoto (N2O), un gas che ha un potere climalterante 300 volte maggiore di quello della CO2. Il concime, rileva lo studio, ha un tasso emissivo doppio rispetto ad altri prodotti sintetici e quindi non è una buona strategia per mitigare le emissioni dei fertilizzanti.
La strategia è quella di aumentare l’efficienza nell’uso di questi fertilizzanti. Oggi la media globale si ferma al 42%; ciò significa che bisogna usare delle strategie che favoriscono un uso più puntuale. Oltre a ridurlo in termini assoluti: uno dei problemi è che oggi si usa più concime azotato di quanto azoto siano in grado di prelevare le piante (in Italia la media è 67 kg di troppo per ogni ettaro di terreno, il che incide negativamente anche sulla tasca degli agricoltori).
Per migliorare questa efficienza esistono alcune tecniche:
– un’irrigazione adeguata;
– la selezione di colture in grado di utilizzare meglio i fertilizzanti azotati;
– l’applicazione dei fertilizzanti giusti al tasso, al momento e nel luogo corretti (tramite anche l’agricoltura di precisione).
In questo modo, secondo lo studio, si incide su 2/3 del totale delle emissioni dei fertilizzanti.
Inoltre per massimizzare la riduzione di gas serra bisognerà agire sul lato della produzione. Cruciale diventerebbe in questo ambito l’uso di idrogeno rinnovabile per ottenere l’ammoniaca, base per i fertilizzanti. A questo si dovrà aggiungere un uso di energia pulita più massiccio nelle varie fasi di produzione e di applicazione.
Ma la riduzione di queste emissioni tenderà a zero quando il nostro sistema agricolo si convertirà gradualmente all’agroecologia, cioè quel sistema di produzione che mette in atto anche irrigazioni adeguate, selezione di colture che utilizzano meglio i fertilizzanti, incremento di biodiversità aziendale, ecc.
Per chi non conosce ancora bene questa nuova branca e sistema del modo di produrre cibo, materie prime, sostanze ed altri servizi ecosistemici, va detto che l’agroecologia, emulando gli stessi principi di base degli ecosistemi naturali, attiva sistemi di produzione con cicli termodinamici più chiusi, cioè modelli di efficienza produttiva dove le materie prime per il ciclo produttivo vengono maggiormente ottenute all’interno della stessa azienda.
Come è noto dalla fisica i sistemi termodinamici più chiusi hanno una maggiore efficienza di processo (compresa la produttività primaria) e quindi anche meno climalteranti.
La strategia Farm to Fork è infatti la nuova frontiera europea che consentirà, quando perfettamente applicata, una drastica, seppur progressiva applicazione di questi principi.
Intanto già in Sicilia la L.R. 21 del 2021 “Disposizioni in materia di agroecologia, di tutela della biodiversità e dei prodotti agricoli siciliani e di innovazione tecnologica in agricoltura …” si muove nella direzione di questi principi, collegati all’agricoltura di precisione. Nell’attesa che a breve venga emesso il decreto attuativo si apre una nuova stagione per l’agricoltura, augurandoci che dal centro del Mediterraneo inizi una vera rivoluzione verde, sicuramente più a misura d’uomo e di natura della precedente degli anni ’60 del secolo scorso.
Guido Bissanti
Un aiuto alla soluzione è utilizzare Biozon che porta tutti i benefici dell ozono in agricoltura (antibatterico antivirale antifungineo) brevettato Multiossigen.