Professione del futuro: Dottori Agronomi e Dottori Forestali
Professione del futuro: Dottori Agronomi e Dottori Forestali
Forse una delle più antiche professioni del mondo, quella degli Agronomi, oggi, all’inizio del secondo millennio, come in ogni processo storico, deve porsi nuove domande ma soprattutto deve trovare nuove risposte a questioni che i nuovi tempi richiedono.
Sia nell’antico Egitto, dal 3.500 a.C. che nell’antica Cina, con dati certi a partire dalla dinastia Shang (1700-1046 a.C.), si formarono delle scuole di tecnica della bonifica e della pianificazione agricola che oggi, forse, non trovano eguali in nessuna parte del mondo.
Le risultanze ed i reperti archeologici ci narrano di tecniche, per quei tempi, incredibilmente sofisticate, sia in campo ingegneristico che in quello più strettamente ecologico.
L’organizzazione delle produzioni e dei raccolti trovava, in quell’epoca, soprattutto nell’antica Cina (in particolar modo nel periodo della dinastia Han, che va dal 206 a.C. al 220 d.C.) una scuola di pensiero e di applicazioni concrete che vedevano un perfetto equilibrio tra le esigenze delle popolazioni e le manifestazioni della natura, che oggi ci troveremmo frettolosamente a battezzare come precursori della permacultura, della biodinamica, dell’agricoltura sinergica e di altre forme di agricoltura conservativa; insomma dei veri e propri precursori comunque dell’agroecologia.
Grandi esempi di professione dell’agronomo si hanno comunque anche in altri Paesi della Storia: dai Maia, agli Aztechi, per arrivare a casa nostra con le grandi scuole dei popoli Etruschi o dei Siculi.
Questa grande tradizione culturale ha visto per millenni la formazione di grandi maestri della materia che, seppur non fuoriusciti da quelle che oggi chiameremmo col termine delle ex. Facoltà di Agraria o Forestale, possedevano conoscenze incredibilmente all’avanguardia anche per i nostri tempi. Potremmo citare, tra gli altri: Varrone, Columella, Plinio il Vecchio e così via.
La cosa che ci deve fare riflettere è che, in origine, le professioni di perito agrimensore, agronomo, erano considerate sacre e di esclusiva attribuzione sacerdotale. Si diventava agronomi o agrimensori per eredità: ma si doveva dimostrare di averne le capacità professionali (una antica forma di abilitazione) e coloro i quali non potevano esercitare per “grazia divina”, potevano farlo dopo aver frequentato una specifica scuola. Terminati gli studi, gli allievi dovevano sostenere un esame di maturità e ottenere così il titolo di magisteri agrorum geometrie o di professi o di auctores; dopo un ulteriore periodo di praticantato, i candidati dovevano sostenere un ulteriore esame per poter esercitare in proprio.
I primi indizi preistorici che riferiscono sulla figura sacerdotale dell’agronomo la troviamo presso i Sumeri, una civiltà neolitica che nel corso del III millennio a.C. si insediò nella Mesopotamia, in quella che fu poi denominata “mezza luna fertile”.
Questi, anche per via del loro modello religioso, furono i fondatori delle norme etiche scritte e delle strutture giuridiche, politiche e sociali, traghettando la civiltà occidentale dalla preistoria alla storia.
Tra le cariche sociali di maggior rilievo abbiamo la testimonianza di una figura, di natura economico-amministrativa, imperniata sui sacerdoti “agronomi del tempio” da cui dipendevano sorveglianti, esattori, ispettori impegnati in fattorie grandi e meno grandi, sostenitori di un’agricoltura solida e tecnicamente avanzata per l’epoca, come risulta dalle testimonianze rinvenute nelle “Georgiche … di Ninurta”.
L’ingente patrimonio culturale e tecnico dei Sumeri costituì le fondamenta su cui si svilupparono tutte le agricolture e le civiltà agrarie successive, compresa quella ellenistico-romana e quella islamica.
Eppure se andiamo a leggere la storia moderna, improvvisamente, intorno alla metà del secolo scorso avviene qualcosa che interferisce prepotentemente in vari ambiti professionali ma soprattutto nei riguardi di una categoria professionale, quella dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali.
Questa interferenza è legata essenzialmente all’avvento nel campo delle scienze agronomiche e forestali dell’uso della chimica; di tecniche cosiddette “innovative” che battezzate con l’epiteto di Rivoluzione Verde, interrompono una soluzione di continuità dei Saperi che procedeva da migliaia di anni. Una soluzione di continuità che ha investito prepotentemente, fino quasi a smembrarla e a distruggerla, una sapienza che apparteneva anche ad una classe di agricoltori che aveva ricevuto il Sapere non per testamento ma per testimonianza.
L’uso della chimica ha così operato una frattura tra le conoscenze dei “fatti della Natura” ed i Professionisti del settore che, non pretendendo che ridivengano sacerdoti “agronomi del tempio”, di fatto sono stati trascinati verso un “apparente progresso” che, oggi, sta mostrando tutte le sue lacune culturali, epistemologiche e metodologiche.
Tale processo ha trascinato con se anche la struttura formativa di questa professione e ci riferiamo alle ex Facoltà di Scienze Agrarie e Scienze Forestali, oggi Dipartimenti di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali, che di fatto hanno dovuto assistere ad una pericolosa diaspora di alcuni Saperi.
Come se non bastasse, questa interruzione non è stata poi nemmeno funzionale ad una unificazione del pensiero scientifico e tecnico con branche come la Biodinamica, la Permacultura ed altre che, un po’ come succedeva ai tempi del Savonarola, sono state spesso oggetto, nel caso migliore, di diffidenza.
Ma oggi la categoria dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali si trova, unitamente ai Dipartimenti suddetti, nella necessità di recuperare il tempo perduto.
Non è più ipotizzabile che si diventi professionisti per “grazia divina” o semplicemente dietro iter formativi che spesso sono lontani dalle sfide di questa prima parte del millennio.
Il Pianeta ci chiede una figura che comprenda gli ambiti energetici, termodinamici, ecologici e quantistici, che stanno alla base di quelli che amo definire “Codici della Natura”, senza i quali le grandi questioni legate al fabbisogno alimentare mondiale, alla sua salubrità, alla salvaguardia degli Habitat, alla vita all’interno dei centri urbani (habitat uomo/natura) rischieranno di non essere risolti ma ancor più aggravati.
Materie come l’agroecologia ma ancor prima quelle legate ai rendimenti ed agli equilibri dei processi ecologici, sia dei sistemi naturali che produttivi, all’innovazione della meccanica quantistica, alla termodinamica dei sistemi complessi, alla Pianificazione degli Ecosistemi, con tutte le propedeuticità che queste richiedono, non possono restare fuori dalla formazione professionale e quindi da moderni Dipartimenti di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali.
Urge una contestuale riforma che veda i Ministeri competenti, in primis quello dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, verso una revisione ex novo che ci permetta nuovamente di svolgere quel ruolo “sacrosanto” che la storia ci chiede.
Discorso parallelo va fatto nei riguardi dell’altra struttura fondamentale per questa categoria, cioè gli Ordini dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali che, nell’attesa che venga quel giorno, che ci auguriamo arrivi più presto possibile, si attivino con iter formativi e di aggiornamento senza i quali rischiamo di far restare indietro non solo il Paese ma anche la Storia.
Semmai ce ne fosse stato bisogno, i recenti eventi legati al Coronavirus COVID-19, ci stanno dimostrando che dobbiamo rimboccarci le maniche per recuperare non solo il tempo perduto ma, soprattutto, riprendere quel filo che, iniziato migliaia di anni fa ha visto nascere con questa professione gli albori della Civiltà umana.
Guido Bissanti