Antichi popoli pugliesi e l’agricoltura
Antichi popoli pugliesi e l’agricoltura
L’agricoltura è la madre della civiltà di interi popoli; luogo di conoscenza e di scambio di saperi tra la natura e l’umanità. Luogo di sofferenze, di riflessione e di proiezione dell’animo umano verso il cielo, che con le sue piogge e con i suoi raggi solari o la luna d notte, è stato visto come immagine di qualcosa di trascendente.
La Puglia, anche per la sua posizione tra Occidente ed Oriente, è una regione che ha visto nell’agricoltura la nascita e l’evolversi di civiltà spesso pacifiche fra di loro, perché l’esperienza tra cielo e terra ha sempre condotto l’umanità alla pace e non alla guerra.
Come per altre regioni e storie antiche la storia di questa regione e dei suoi popoli si fonda soprattutto sull’analisi dei reperti e sulle intuizioni e deduzioni che questi conducono. Reperti che, anche tramite gli attrezzi, a volte rudimentali, raccontano il grado “tecnologico” raggiunto da un popolo ma anche il suo utilizzo e quindi le colture per cui veniva adottato.
Sicuramente in questa regione, ben presto ci fu molto frumento, proprio per la sua collocazione di passaggio dai luoghi della mezza luna fertile. Ma i popoli più antichi che qui risiedevano avevano imparato a conoscere le erbe, i loro frutti, e molto probabilmente i loro benefici non solo dal punto di vista alimentare ma anche da quello “farmaceutico” che ai tempi era un misto di uso e rito.
E con il frumento anche tutte le tradizioni religiose e culturali e gli dei dovettero arrivare ben presto in questa parte dell’Adriatico.
I dati ci dicono che già attorno al X millennio a.C., la raccolta di frumento primitivo, farro e orzo, era pratica comune in Iraq, Siria, Turchia, Iran e Palestina. La diffusione dell’agricoltura e delle prime coltivazioni di frumento dalle regioni della Mezzaluna fertile verso l’Europa fu relativamente veloce: verso il 6000 a.C. si erano consolidati villaggi agricoli lungo le coste del Mar Egeo, e dalla Grecia passò in Italia, proprio, tra le altre, attraverso la Puglia.
Fu solo dopo la scoperta dell’America che giunsero il mais, la patata, il pomodoro, il peperone, la zucca, il fagiolo, l’arachide.
Ma quali popoli erano presenti o si erano intanto insediati, anche tramite le migrazioni agricole in Puglia?
Nel corso dei secoli, per la Puglia sono passati davvero tanti popoli, alcuni provenienti anche da molto lontano: pelasgi, messapi, iapigi, peuceti, dauni; e poi celti, greci, minoici, romani, goti, longobardi; e ancora albanesi, slavi, ebrei, turchi, saraceni, bizantini, franchi, spagnoli, tedeschi, svevi, normanni, arabi, bulgari e armeni.
Le analisi archeologiche e storiche e le loro ricostruzioni portano ad asserire che i primi ad insediarsi nella parte destra dello stivale italiano, tra gli inizi dell’età del Ferro e la conquista romana, furono una popolazione indoeuropea proveniente dall’Illiria: gli Japigi. Gli Japigi, una volta arrivati in Puglia, che nei secoli fu Apulia (in latino), Iapyghia (proprio per la presenza di questo popolo) e Ἰαπυγία (in greco antico), si divisero territorialmente, da nord a sud, in tre grandi gruppi etnici: dauni, peucezi e messapi, creando quindi la Daunia (l’odierna Capitanata), la Peucezia (la Puglia centrale) e la Messapia (l’antico Salento).
I Dauni, prendevano il nome da Dauno, loro condottiero nel trasferimento in Puglia. Questi erano per lo più contadini e, dall’esame dei corredi funerari e dei resti dei loro abitati, è possibile affermare che nei primi secoli il potere era detenuto da ristretti gruppi dominanti, riconoscibili nelle tombe principesche di Lavello o Canosa, mentre nel VI secolo tale ceto emergente andò estendendosi, diminuendo il distacco dal resto della comunità.
Questo popolo sviluppò molti contatti con le popolazioni vicine, pur mantenendo, tuttavia, una precisa “indipendenza” culturale. Tra i reperti più significativi di questa civiltà, spiccano senz’altro le famose “steli daunie”, blocchi lapidei scolpiti, risalenti al VI secolo a.C., trovate nella piana sud di Siponto, presso Manfredonia. Rappresentano figure umane maschili e femminili fortemente stilizzate ed erano infisse verticalmente nel terreno, in corrispondenza delle sepolture di coloro che raffiguravano.
I principali centri dauni erano Casone (presso l’odierna San Severo), Lucera, Merinum (Vieste), Monte Saraceno (presso Mattinata), Siponto, Salapia (nell’attuale agro di Cerignola), Arpi (presso Foggia), Aecae (presso Troia), Vibinum (Bovino), Castelluccio dei Sauri, Ausculum (Ascoli Satriano), Ripalta (presso Cerignola), Canosa, Melfi, Lavello e Venosa.
Altro popolo era quello dei Peuceti, che dovevano probabilmente il loro nome a Peucezio, fratello di Enotrio e figlio di Licaone, a sua volta figlio del leggendario re Pelasgo.
Questa popolazione fu la prima ad arrivare nella Puglia meridionale da dove fu spinta più a nord dalle popolazioni locali che, ben organizzate, respinsero quella invasione. Nacque così a Peucezia, una vasta area che comprendeva il territorio a nord di Egnazia sino a Bari e oltre, e, a occidente, sino ad Altamura e Gravina, al confine con le bellicose popolazioni lucane. Bari non era una città molto importante di questo territorio, soprattutto se paragonata alle fiorenti città di Canosa, Silvium (l’odierna Gravina in Puglia), Bitonto, Azetium (l’odierna Rutigliano), Norba e Trani.
Anche i Peuceti erano dediti all’agricoltura e si distinsero per la particolare pratica di sepoltura dei defunti: l’inumazione del corpo. Il morto veniva inumato in una fossa scavata nella terra e ricoperta da “tumuli” o “specchie”, cioè da monticelli di terra o di pietre, di forma solitamente circolare o ovale, costruiti sopra la sepoltura, che poteva essere tanto individuale quanto collettiva.
In queste tombe, a volte lastricate con pietre, dapprima grezze e successivamente squadrate, è stato possibile trovare depositi di resti ossei animali, interpretati come segno di sacrifici, e altri piccoli oggetti di uso quotidiano, oltre a numerosi oggetti di ceramica policroma a decorazione geometrica, di ottima fattura.
Altra popolazione che abitava comunque la penisola salentina era quella dei Messapi. Questa penisola a sud della Puglia, che i greci anticamente chiamavano Messapia (cioè “Terra fra due mari”), era abitata invece da questo popolo.
I Messapi erano una popolazione di origine egeo-anatolica, che prende il nome da Messapo, un eroe beota (proveniente cioè dall’antica Beozia o Tessaglia) che guidò, pare, una spedizione di coloni nella nostra Puglia, e li condusse ad una “illuminata” integrazione con le popolazioni autoctone.
I Messapi si diedero anche una precisa organizzazione giuridico-militare che raccoglieva i dodici centrio più importanti in una sorta di grande “dodecapoli”. Le città principali, in realtà, dovettero essere almeno 13 e tra queste certamente: Alytia (Alezio), Ozan (Ugento), Brention/Brentesion (Brindisi), Hodrum/Idruntum (Otranto), KaÏlia (Ceglie Messapica), Manduria, Mesania (Mesagne), Neriton (Nardò), Orra (Oria), Cavallino (non si hanno notizie certe del nome antico), Thuria Sallentina (Roca Vecchia) e, ai limiti settentrionali della penisola, l’importante città di Egnazia.
Anche i Messapi praticavano in gran parte le pratiche agricole, molto probabilmente simili, anche per provenienza, a quelle dei loro fratelli pugliesi, anche se a questi è attribuita l’introduzione dell’ulivo in Puglia. I Messapi, comunque, oltre all’agricoltura, alla pastorizia, all’allevamento, alla pesca, all’artigianato, erano dediti al commercio.
Un caratteristico manufatto della loro produzione era, per esempio, il vaso detto “trozzella” così chiamato per le decorazioni sulle anse a forma di rotella.
Dall’esame delle tombe che hanno lasciato (molte, spesso, decorate con pitture murali), si evince che usavano seppellire i loro morti in posizione rannicchiata o supina.
Japigi, Messapi, Peucezi e Dauni, per molti secoli, quasi sempre alleati tra di loro, raramente in contrasto, rivendicarono il loro diritto ad esistere e ci riuscirono, conservandolo per secoli, almeno sino a quando Roma, con la sua potente macchina da guerra, lentamente ma con determinazione, dovendo aprirsi spazi per la conquista dell’Oriente, non li sottomise.
Ovviamente l’agricoltura, l’allevamento e la pastorizia non giravano solo attorno al frumento, ma questi antichi popoli avevano sviluppato anche la coltivazione della vite e su tutte quella dell’olivo. Una cultura millenaria che rappresentava non solo una importanza alimentare ed economica ma anche un simbolo di forza e di pace.
L’Ulivo in Puglia è, quello che alcuni definiscono, una magia che dura da oltre 3.000 anni”. Sebbene l’utilizzo delle olive sia attestato da testimonianze che rimandano alla preistoria, i primi ad introdurre in Puglia la coltivazione degli ulivi, come detto, probabilmente furono gli antichi Messapi.
Questo popolo, anche attraverso i loro maestri, iniziarono circa tre millenni fa, in tutta la Puglia, ad innestare le piante di olivo selvatico, l’olivastro, con l’olivo domestico, più produttivo, per ottenere le olive dalla quale ricavare il preziosissimo olio. la storia ci dice che la prima olivicoltura si sviluppò in paesi come la Palestina, la Siria e Creta, luoghi di origine delle più antiche civiltà, e diverse sono le testimonianze che lo attestano. Invece, la citazione più antica della Bibbia relativa all’ulivo, risalente nella stesura canonica al 1000 a.C., riguarda la biblica colomba della pace quando ritornò all’arca di Noè con una foglia d’ulivo nel becco annunciando il ritiro delle acque dalla terra a uliveti.
Probabilmente furono anche queste popolazioni, insieme ad altre del sud Italia, come in Sicilia, a trasformare nella penisola l’olivicoltura dalla sua forma selvatica alla sua forma come oggi la conosciamo.
La tecnica più antica per piantare un oliveto era proprio quella di innestare gli olivi selvatici diffusi tra la macchia mediterranea con la varietà olea europea sativa. In questo modo risultavano però oliveti disordinati che non avevano un sesto di impianto ordinato come quello che sarà introdotto più tardi in epoca romana. Giulio Columella, nei suoi trattati De re rustica e De arbori bus del I secolo d.C., parla infatti della tecnica di piantare gli ulivi in file regolari, con piante poste a distanza di 60 piedi, equivalenti a 18 metri e che possiamo riscontrare in molti uliveti millenari che si trovano nelle aree vicine all’antica via Traiana d’epoca romana.
Oggi, dopo questi secoli di storia, la parte di Puglia compresa tra il territorio di Ostuni, Monopoli, Fasano e Carovigno rappresenta l’area a maggior concentrazione di ulivi secolari di cui molti certamente millenari. E proprio da questa area che passa una delle vie più antiche, la via Traiana fatta costruire dall’imperatore Traiano circa 2000 anni fa per favorire la comunicazione di Roma con il porto di Brindisi e con l’Oriente. La via Traiana ha permesso lo sviluppo del commercio dell’olio grazie alla migliore comunicazione con i porti vicini, luoghi in cui le navi olearie, cariche di vasi contenenti il prezioso oro giallo, partivano verso il nord Italia e il nord Europa. Questa è la ragione per cui hai ai lati della Traiana sono sorte un gran numero di antiche masserie, ognuna con il loro frantoio ipogeo e i loro alberi d’ulivo di età romana o addirittura messapica.
Riassumendo, si può osservare che la fonte di ricchezza più consistente e diffusa per le genti Japigie e per gli altri fratelli doveva essere la coltivazione della terra, integrata all’allevamento del bestiame: ovini e suini nelle zone montuose e collinari del subappennino dauno e delle Murge, cavalli nelle pianure della Daunia e della Messapia. L’artigianato, fiorente in tutta la regione, deve aver soddisfatto soprattutto le esigenze interne, creando le condizioni di una notevole autonomia, ma producendo anche, come nel caso dei Dauni, manufatti di pregio adatti all’esportazione. Passando, infine, sul piano dell’analisi sociologica, si può ritenere, con tutte le dovute cautele, che nella prima età del Ferro non esistesse ancora un’articolazione in classi. È più probabile che gruppi socialmente indifferenziati fossero guidati da “capi”, cui confluiva il surplus economico della comunità, utilizzato in un ristretto ambito familiare per l’acquisto di beni di prestigio.
Storia millenaria che ha condotto alla creazione di un Paesaggio dove olivi, frumento, erbe officinali, vite, masserie, ecc., hanno creato un equilibrio che ha resistito per millenni e che ha superato, come ci narrano anche certi reperti, carestie, malattie, infestazioni, guerre e quanto altro e che, oggi, nella moderna civiltà, non riesce ad affrontare un nemico, quello della xylella, che rischia di annullare 3000 anni di storia, senza che la progredita scienza e alcune decisioni politiche discutibili riescano a provi rimedio.
Guido Bissanti